Il presidente Putin ha emesso ieri un ordine esecutivo che vieta alle società strategiche controllate dalla Stato russo di fornire informazioni sensibili ad autorità straniere senza la preventiva autorizzazion governativa.
La scelta si inserisce nel quadro della guerra avviata dalla Commissione europea nei giorni scorsi contro Gazprom, accusata di pratiche lesive della concorrenza.
Restano dei dubbi di applicabilità della disposizione alle società contrallate dallo Stato russo ma registrate e operanti all’interno dell’UE. Nondimeno, la scelta è quella di politicizzare la questione, portando la questione in un terreno dove la Commissione risulterebbe in difficoltà per assenza di legittimità e di mandato politico.
Il rischio per Gazprom è quello di vedersi comminare una multa piuttosto salata (fino a 10 miliardi di euro) ma soprattutto di vedere danneggiate le proprie attività commerciali in Europa orientale, in un periodo già segnato dal calo dei consumi europei e dalle rinegoziazioni dei contratti take-or-pay, costate alcuni miliardi di sconto (a volte retroattivo, come nel caso di E.On).
A parte il merito della questione Gazprom-Commissione, il dato preoccupante che emerge è che sembra sempre più difficile fare business in Europa per le aziende straniere: rischio economico (una crisi infinita), rischio politico (sussidi alle rinnovabili generosi e scarsamente prevedibili, che erodono quote di mercato), rischio regolatorio (con l’antitrust utilizzato per colmare l’assenza di politiche energetiche strutturate, per tacere delle questioni monetarie) sono tutti fattori che spingono i capitali via dai mercati europei, in un ottundimento completo della nostra élite politica.