Sergei Komlev, dirigente di Gazprom Export specializzato in prezzi e contratti, è da alcuni mesi impegnato in una vera e propria “offensiva teorica” votata a difendere lo status quo dei contratti di lungo periodo indicizzati al petrolio con clausola take-or-pay. Segnalo, per chi volesse approfondire, il paper Pricing the “Invisible” Commodity.
Come riportato oggi dalla Staffetta, in Italia l’ultimo numero di Energia ospita un articolo di Komlev. Sintetizzando molto, l’argomentazione centrale è che gli attuali prezzi spot agli hub europei sono frutto di una dinamica marginale, ossia basata sui volumi residuali rispetto alle forniture take-or-pay e che quindi non è in realtà possibile sostenere che i prezzi agli hub sono determinati da dinamiche di domanda e offerta autonome.
La conseguenza è che un meccanismo basato sempre più su prezzi agli hubs che si formano in modo ibrido sia insostenibile, tanto da portare al progressivo smantellamento dei contratti di lungo periodo.
Komlev vede nel fatto che gli hubs non trattino tutta la domanda e tutta l’offerta dei mercati europei una debolezza insanabile, che li rende di fatto ancora strettamente legati ai prezzi dei contratti di lungo periodo (assumendo – senza dimostrare – che questo sarebbe un male per i consumatori europei).
Komlev fa bene il suo lavoro, ma non convince. Il punto è che cercando di argomentare sulla dinamica di mercato, omette di affrontare il punto chiave: l’indicizzazione al petrolio non ha più ragion d’essere e distorce irrimediabilmente i fondamentali del mercato. Il fatto che l’inerzia contrattuale – nonostante i tanti arbitrati – attribuisca ancora un ruolo a questa consuetudine commerciale non è una buona ragione per mantenerla, se non per chi vende.
Qui subentra il secondo punto: il mercato è lunghissimo e la Russia si trova con un potenziale di esportazione completamente orientato verso il mercato europeo, dove la domanda langue e continuerà a languire. A correre rischi sono soprattutto gli esportatori, che si trovano a competere per vedere e che dall’indicizzazione lucrano margini che la domanda reale non giustificherebbe.
Per chiudere, un’ultima nota: superare le attuali formule di indicizzazione non significherebbe in alcun modo che i contratti di lungo periodo debbano necessariamente essere abbandonati, ma solo che sarebbe il mercato a prezzare questa soluzione, in base alla domanda dei clienti. Magari evitando di imporre ai consumatori finali strani meccanismi di assicurazione dalla dubbia utilità.