L’Economist di questa settimana non è tenero con le supermajor petrolifere, prevedendo per loro un futuro più mini e più votato al gas naturale. Probabile, le argomentazioni sono plausibili (leggere per credere).
La parte più interessante del discorso riguarda le previsioni di domanda petrolifera. Partendo dalle previsioni al 2030 di consumi a 100 milioni di barili al giorno (Mbbl/g), si enumerano tutti i fattori che potrebbero ridurre la crescita (concentrata fuori dall’OCSE, naturalmente).
In ordine di apparizione: l’aumento di efficienza cinese (-3,8 Mbbl/g), la metanizzazione dei consumi statunitensi per trasporto (-3,5 Mbbl/g), la riduzione dei consumi per generazione elettrica e dei sussidi in Medio Oriente e negli altri Paesi produttori (-3 Mbbl/g).
Sommando questi fattori, si potrebbe scoprire che forse il picco petrolifero è di domanda (e non di offerta, con buona pace dei nipotini di Malthus) e che arriverà prima dei 100 Mbbl/g (oltre che prima del 2030).
Conseguenze? Prezzi in discesa e Paesi produttori in difficoltà. A cominciare dalla Russia, visti i costi crescenti di produzione, e dai Paesi mediorientali, vista la mancata diversificazione delle economie.
In ogni caso, c’è solo una certezza: poche cose sono aleatorie come le previsioni sul settore petrolifero.
Infatti, c’è da ritenere che sia in atto un conflitto di carattere economico contro i PIL di taluni Paesi che lo hanno tutto centrato sull’esportazione energetica. Ad ogni modo, sono da escludere questi effetti su alcuni Paesi medio-orientali (vedi Iran) dove in parte è stata avviata una diversificazione economica e dove gli effetti dei consumi interni stavano dando un contraccolpo alle capacità estrattive. Invece, per la Russia vale in pieno quanto appena sopra scritto. La èlite russa non ha competenze e volontà, oltre capacità, di far crescere questo Paese, ed i contraccolpi presto si faranno sentire… se non correrà in aiuto la Cina con l’intensificazione delle importazioni di gas russo e il raddoppio dei gasdotti. Vedremo come evolveranno gli accordi della SCO
La diversificazione (indotta) dell’economia iraniana è certamente un bene, ma è anche segno del fatto che in questo momento di alti prezzi il governo non ha saputo/voluto cogliere l’occasione per fare cassa sui mercati internazionali, mantendendo una posizione rigida in politica estera (ma forse le cause sono da cercare nel processo politico interno e nella struttura del regime…). Morale: sarà meno esposta a eventuali cali delle quotazioni domani, ma intanto oggi perde un’importante occasione di crescita.
Per quanto riguarda la Russia, non sono affatto convinto che l’élite sia così incompetente o manchi di volontà: esistono complessità tali nell’industria energetica russa e nel suo rapporto con gli apparati di governo che ogni cambiamento richiedete tempi lunghi (consiglio la lettura di questo interessante paper sul tema dell’élite russa di oggi e di domani). A mio modo di vedere, proprio l’apertura alla Cina è un esempio di visione strategica da parte russa.
Concordo con Matteo, secondo me l’élite russa ci sa fare più di quella italiana ma si trova ad operare il un teatro ancora più complesso di quello del nostro paese e pure (strano a dirsi) molto più corrotto ed infido. Non dimentichiamo che molti di questi magnati escono dalle file del KGB e hanno fior di lauree conseguite nelle proverbialmente difficili università russe.
Inoltre c’è un forte sentimento di rivalsa dei russi nei confronti dell’occidente, in quanto si sentono di essere stati diminuiti e derisi dalla storia dopo la caduta del muro. Lo sbilanciamento a oriente ha anche questa componente a mio parere.