L’accordo tra l’Iran e le potenze mondiali (il 5+1) è stato raggiunto questa notte, dopo mesi di trattative altalenanti. Come riportato dai media, l’accordo prevede uno stop alle attività di arricchimento dell’uranio potenzialmente connesse a scopi bellici.
Quale sarà l’impatto sui mercati energetici, considerando che l’Iran è il quarto Paese al mondo per riserve di petrolio (157 miliardi di barili, 9,4% del totale) e il primo per riserve di gas (36.000 Gmc, 18% del totale)?
Nel breve periodo, l’impatto sul mercato petrolifero sarà molto limitato. In base agli accordi, l’Iran potrà mantenre gli attuali livelli di esportazione (1 milione di barili al giorno, contro i 2,5 di inzio 2012): nessuna improvvisa immissione sul mercato di nuovo greggio liquido, dunque, e nessuna pressione ribassista sulle quotazioni. Almeno per il momento e al netto della volatilità che la notizia potrebbe avere sui mercati dei prossimi giorni.
Nel caso del gas, l’impatto sarà nullo, perché in ogni caso l’Iran non ha effettuato investimenti sufficienti in capacità produttiva e di esportazione per portare sui mercati internazionali le sue enormi riserve con così poco preavviso. Anche in caso di sblocco completo delle sanzioni, occorreranno anni per avere effetti rilevanti sui mercati internazionali.
L’accordo resta in ogni caso un elemento molto positivo non solo per la stabilità regionale, ma anche per i mercati energetici, perché nel breve periodo riduce il rischio di interruzioni dei transiti nell’area del Golfo e nel medio-lungo periodo pone le condizioni per l’arrivo sui mercati energetici di nuova capacità produttiva in grado di far fronte alla crescente domanda asiatica. A vantaggio di tutti i consumatori, oltre che degli iraniani.
Secondo quanto riportato dal Telegraph, se i negoziati proseguiranno senza intoppi, l’anno prossimo dovrebbero arrivare sul mercato mondiale 800.000 barili al giorno di greggio iraniano.
Citando uno studio di Citigroup, il Telegraph sostiene anche che la crescita delle esportazioni iraniane potrebbe ridurre il prezzo del barile di 13 dollari, portando il Brent sotto quota 100 e il WTI sotto quota 85. E inguaiando un bel po’ di produttori, dalla Russia agli Stati Uniti.