Segnalo un’analisi di Brenda Shaffer pubblicata su Foreign Affairs col titolo Gas Politics After Ukraine. Azerbaijan, Shah Deniz, and Europe’s Newest Energy Partner.
La firma è di livello, ma il pezzo ha parecchi limiti: il contributo statunitense (a differenza del BTC) è stato marginale mentre la funzione principale delle istituzioni europee è stata quella di fare schiamazzo mentre le compagnie e i governi facevano il lavoro. Washington dista quasi 10.000 km, e si sentono tutti.
Un passaggio brilla poi per indifferenza rispetto alla realtà: nonostante abbia indicato che il gas azerbaigiano darà un contributo modesto in termini di volumi, si lascia andare a scrivere che «[the] interconnecting gas pipelines in Europe, filled with Azerbaijani gas, will ensure that Russia can no longer switch off the heat in eastern Europe and the Caucasus on a whim».
A quanto pare, l’idea che Gazprom voglia e soprattutto possa davvero tagliare le forniture ai propri clienti in Europa per oscuri ricatti politici va ancora di moda. Ma forse qui siamo nel reame del giudizio di valore (e mi taccio).
Per quanto riguarda però il Caucaso, è da un po’ che la Russia ha smesso di esportare gas in Georgia (almeno, nella parte non occupata). Quanto poi alla distanza che separa la Bulgaria dalla Slovacchia e dalle Repubbliche del Baltico, rimando invece a Google Maps…