La scelta dell’Unione Europea di continuare la propria fuga in avanti nella riduzione unilaterale delle emissioni di CO2 si sta rivelando sempre più costosa e velleitaria.
La sussidiazione delle rinnovabili che ne è derivata ha sconvolto il settore elettrico, ha mandato in fumo centinaia di miliardi di capitalizzazione degli operatori del settore per via amministrativa e ha creato posizioni di rendita i cui costi sono direttamente scaricati sulle bollette dei consumatori finali.
Della marginalità delle emissioni europee ne abbiamo già parlato. Vale la pena però sottolineare ancora come secondo la IEA, nel decennio in corso l’UE diminuirà le proprie emissioni di 342 Mt, mentre il resto del mondo le aumenterà di 3.776 Mt. Nel prossimo decennio andrà un po’ meglio: UE -455 Mt, resto del mondo “solo” +2.353 Mt.
Anche di fronte a dati come questi, la Commissione sottolinea continuamente l’importanza del dare l’esempio a livello mondiale, tracciando la strada. Tuttavia, la politica del predicozzo globale non sembra essere particolarmente efficace, dati alla mano.
Secondo lo scenario attuale della IEA, al 2030 l’UE ridurrà le emissioni del 33% rispetto al 1990. Coi nuovi obbiettivi, l’asticella sale al 40%. E gli altri? Nello stesso periodo, le emissioni globali aumenteranno del 74%, con la Russia a -19% e gli Stati Uniti a -3%, la Cina a +349% e l’India a +469%.
Quando inizieremo a riprendere contatto con la realtà?
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