Il titolo dice già tutto: Energy companies are recruiting the wrong people. E a scriverlo è Nick Butler, ossia la voce del FT sull’energia.
L’argomentazione è lineare: negli ultimi anni, i criteri di reclutamento delle compagnie energetiche si sono concentrati sempre di più su profili tecnici o – al più – economici.
Tralasciando completamente il reclutamento e l’inclusione nelle strutture aziendali di persone con formazione non-tecnica, in particollare storica, umanistica, sociale. E – aggiungo io – anche di persone con formazione giudirica non specialistica, che in parte compensavano questo vuoto di capacità.
Di fronte a realtà operative sempre più complesse e a fattori non traducibili in quantità analizzabili con tecniche matematiche, le compagnie si sono trovate così prive degli strumenti per comprendere la realtà circostante e rispondere adeguatamente alle sfide presenti e future.
Un dato che riguarda da vicino le compagnie energetiche, ma che chiaramente interessa anche altri settori e – mutatis mutandis – alcuni apparati dello Stato.
Boh, sono davvero poco d’accordo.
A me sembra che nei board delle compagnie energetiche ci siano persone dalla formazione più diversa — semplicemente la formazione non rileva se sei maggiorente politico anziché ‘tecnico’. Ben vengano dunque i tecnici, che spesso hanno formazione tecnica.
Tornando al versante della formazione, oltretutto, capisco che si possa avere ancora nostalgia dell’epoca nella quale i grandi giochi erano oligopolio ancora più ristretto, ma a mio parere la nostra visione è condizionata dal vuoto di contenuti che colmiamo solo con l’inerzia della lottizzazione (Mattei ERA un tecnico ritrovatosi coinvolto nella storia, mentre Cefis aveva una formazione ben più politica — e il mito di un Mattei che si muoveva in piena autonomia non potrebbe sopravvivere senza la realtà di un governo implicato a livello persino locale, soprattutto al sud). Mi fa davvero strano che argomentazioni simili provengano proprio dal FT, anche se si può immaginare qualche retroscena tra Butler e la dirigenza Hayward o Dudley (chi meno tecnico e più stratega di quest’ultimo, tra l’altro: a man with a fucking vision!).
In sintesi, in un mondo dove si riduce lo spazio del convenzionale e i giochi sono ancora più scopertamente politici grazie alle NOCs, non vedo vertici pericolosamente sbilanciati verso il ‘tecnicismo’ e, anzi, mi pare che le compagnie energetiche siano tra i pochi luoghi in Occidente dove chi vuole primeggiare deve spendersi sia nell’analisi, sia sul campo di battaglia.
Oh, ho capito solo adesso che Butler parla soprattutto di quadri e non di vertici. I miei punti sono ancora validi, ma solo in risposta a un articolo inesistente! :p
🙂
Completamente in accordo con l’autore.
Purtroppo le società energetiche non hanno ancora capito che la realtà diventa sempre più complessa e di fronte ad essa le formule dell’ingegneria o della matematica non valgono.
La tecnica aiuta a semplificare, ma il sistema… va prima compreso.
Il problema non è solo nelle aziende energetiche.
L’ultimo quinquennio ha palesemente dimostrato che il multipolarismo è penetrato ad ogni livello: significa sostanzialmente che l’applicazione di una singola forma mentis sotto forma di tecnicismo iperspecializzato – forma mentis di tipo americano – ha sostanzialmente fallito di fronte a sistemi dinamici complessi di moriniana memoria, manifestatisi ad ogni livello (politico, economico, culturale, sociale, etc.)
A livello geopolitico l’aveva intuito Huntington, a livello di intelligence ci erano arrivati altri americani già negli anni 60 ma sono stati snobbati salvo la ripresa di Petreus degli ultimi anni di certi argomenti.
Il paradosso è che in Italia già lo sapevamo: non per niente Gentile aveva diviso le formazioni tra dirigenziali e tecniche.
Il punto, però, deve essere chiaro: non è la laurea. Vero è infatti come ha detto qualcuno che Mattei non poteva essere definito un non tecnico, così come Olivetti era laureato in ingegneria e non di certo in scienze politiche.
Il punto infatti è un altro: i due sopra menzionati erano ben lungi dall’avere una formazione ultraspecialistica quale quella che hanno i tecnici di oggi.
Lo hanno capito perfino i rednecks americani che quando ti proietti all’estero – armato o meno, per trivellare o meno – devi avere una COMPRENSIONE del diverso che di certo l’ingegneria o un MBA non ti danno.
La questione – sostanzialmente – non è se debellare i tecnici. Bensì, lasciare ai tecnici la tecnica e le questioni più larghe a quegli analisti e a quei decisori che hanno una formazione più ampia.
C’è chi ha candidato un paper su un argomento simile a “il mondo dell’intelligence”, magari lo pubblicano.
Grazie per le riflessioni, che non possono che condividere.
Ti prego di segnalarcelo, se per caso avrai notizia della pubblicazione del paper. 🙂