Navigando sul sito on-line del Sole 24Ore, ho scoperto che qualche giorno fa l’Agenzia Internazionale dell’Energia (AIE) ha pubblicato un rapporto sugli investimenti in campo energetico necessari a livello globale da qui al 2035.
Insoddisfatto per le scarne e un pò confuse informazioni riportate dal giornalista sono andato sul sito dell’AIE, dove ho scoperto delle cose interessanti.
Secondo l’Agenzia da qui al 2035 ci sarà bisogno a livello mondiale di quasi 50.000 miliardi di dollari di investimenti nella produzione di energia e in efficienza energetica. Una cifra enorme, che vale suppergiù 30 volte il PIL dell’Italia, cifra che peraltro non sarà sufficiente a garantire il rispetto degli impegni contro i cambiamenti climatici assunti dai vari governi negli ultimi anni.
Al di là del valore assoluto fornito da queste previsioni a 20 anni, su cui più volte ho sottolineato la necessità di essere estremamente cauti, quello che mi preme sottolineare sono alcune considerazioni fatte dal capo economista dell’AIE Birol.
Per Birol il livello attuale degli investimenti non è sufficiente e questo è dovuto anche al basso prezzo dell’energia sui mercati all’ingrosso (NB: il prezzo che i consumatori finali pagano è dato dal prezzo all’ingrosso più il costo del servizio di vendita al dettaglio, le tasse e i vari balzelli parafiscali). Questo è vero soprattutto in Europa, dove molte utility stanno perdendo denaro, perchè i prezzi del gas o dell’energia elettrica sono in calo.
In queste condizioni, investire in nuovi impianti o in nuove infrastrutture di trasporto non conviene. Il rischio allora è che mano a mano che gli impianti esistenti invecchiano e la domanda riprende a crescere, l’Europa si trovi con un’offerta di energia insufficiente o non affidabile: la luce potrebbe non rimanere accesa.
Urge allora ripensare il disegno del mercato, in modo che sia garantita la remunerazione degli impianti che offrono la garanzia di poter produrre energia su richiesta. Insomma, un qualche meccanismo di finanziamento della capacità, che vada ad affiancarsi agli attuali mercati dell’energia e che non gravi troppo sulle bollette di famiglie e imprese.
A ciò si deve aggiungere un quadro regolatorio e geopolitico stabile in modo che gli investitori si sentano più sicuri e decidano di investire alcune migliaia di miliardi di dollari in progetti che richiedono 30 o 40 per ripagarsi.
Una bella sfida, senza dubbio.
Ps: la necessità di un quadro regolatorio stabile e prevedibile è uno dei leitmotiv che ormai ho sentito fino alla nausea. In giro sono però troppo numerosi gli investitori che pur con tassi d’interessi a zero e numerose garanzie pubbliche non sono disposti a scucire un quattrino per investimenti che non abbiano natura finanziaria e non abbiano quindi un’elevata liquidita. In questo senso il problema non è solo di politica industriale, ma anche di politica fiscale, monetaria e di organizzazione del sistema finanziario.