Il governo cinese sta investendo massicciamente in Italia: non solo Eni ed Enel, ma anche negli ultimi giorni Fiat, Telecom e Prysmian (ex-Pirelli cavi). Tutte partecipazioni di poco superiori al 2%, tali da far scattare l’obbligo di segnalazione alla Consob e quindi la pubblicità all’evento. A queste operazioni si aggiunge poi la partecipazione in arrivo in Terna e Snam Rete Gas, tramite CDP Reti.
Secondo i dati riportati da La Stampa, nel primo semestre gli operatori cinesi hanno investito all’estero 32 miliardi di euro, in 2.766 imprese di 146 Paesi diversi. E l’Italia ha giocato un ruolo di primo piano, con un controvalore di circa il 20% del totale: come si è detto, chi ha i soldi compra, chi non li ha vende.
Che il governo cinese investa anche per migliorare l’immagine del Paese in Italia è plausibile e spiegherebbe il sistematico sforamento della quota del 2%. Ma da un’operazione di marketing, oltre che di portafoglio, a una progressiva rottura del rapporto Italia-USA o a un affossamento del trattato di libero scambio transatlantico – come ipotizzato in alcuni commenti – ce ne passa parecchio.
C’è anche chi commentando si è dato alla fantapolitica, paventando una caduta di Renzi per mano americana. Non entro nel merito, ma forse varrebbe la pena tenere distinta la cessione della quota in Snam Rete Gas da pare di CPD dalla possibile vendita di Saipem da parte di Eni: si tratta di due aziende completamente diverse.
Certo, Saipem per i cinesi sarebbe un’acquisizione interessante dal punto di vista industriale, ma l’azienda, una delle società di ingegneria più grandi al mondo, non è specializzata in non-convenzionale. Non cambierebbe, insomma, le sorti della corsa cinese al gas da argille, settore nel quale peraltro le aziende cinesi stanno spendendo miliardi di dollari e acquisendo tecnologia e servizi direttamente dal mercato statunitense.
Quando giungerà l’ora del governo Renzi, bisognerà insomma trovare una giustificazione più plausibile. Ma magari intanto varrebbe la pena di interrogarsi seriamente sul modello di supervisione dei settori strategici una volta che il processo di privatizzazione andrà ancora avanti. Uno Stato in grado di regolare e monitorare le attività dei privati non è uno Stato più debole, ma uno più forte.
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