L’avanzata di ISIL in Iraq. Il governo di Kiev incapace di domare i ribelli. Le sanzioni occidentali alla Russia. Le fazioni libiche impegnate in un nuovo giro di fragili alleanze. Gli ingredienti dell’instabilità geopolitica, qualunque cosa significhi, sembrano esserci tutti.
E nelle attese di molti, il prezzo del greggio era destinato a toccare nuovi record, minacciando la debole ripresa economica europea o la crescita asiatica. E invece, dando un’occhiata ai grafici, appare evidente come in realtà gli operatori abbiano mantenuto la calma, dopo un breve picco a 115,19 dollari al barile il 19 giugno.
A spiegare l’arcano è l’Oil market report di Agosto della IEA. Innanzitutto, la domanda globale è attesa più debole delle attese: il taglio nelle previsioni relative 2014 è di un milione barili al giorno, poco più dei consumi italiani.
A questo si sono aggiunti l’aumento di produzione dell’Arabia Saudita e un modesto recupero delle esportazioni libiche. Inoltre, le scorte dei Paesi OCSE hanno continuato a crescere, arrivando a 2.671 milioni di barili.
L’effetto combinato di tutti questi fattori è stato dunque quello di spingere i prezzi verso il basso e di mantenere la calma sui mercati internazionali.
Gli operatori peraltro scontano anche l’effetto di alcuni fattori strutturali già chiaramente emersi: il declino della domanda europea, l’aumento della produzione statunitense (e quindi le minori importazioni), investimenti cumulati di circa 500 miliardi dollari in nuovo upstream petrolifero solo per il periodo 2014-2020.
Insomma, meglio non sopravvalutare la cosiddetta geopolitica. O quantomeno, leggerla in un quadro più ampio.
Sul tema segnalo anche un articolo della BBC: Oil prices dip to nine-month low.
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