Nonostante l’instabilità in diverse aree produttive, a cominciare da quella mediorientale, i prezzi del greggio stanno conoscendo in queste settimane uno stabile declino. Qui la serie storica dell’IEA, aggiornata a tre giorni fa.
In queste settimane, il Brent si aggira sui 95 dollari al barile. Secondo le previsioni dell’IMF di settembre, nonostante una generalizzata aspettativa di rialzo, anche per l’anno prossimo il rischio di un calo sotto i 100 dollari al barile è molto concreta: 51%. Per il terzo mese consecutivo, l’istituto ha rivisto al rialzo il rischio: a giugno le probabilità erano del 26%.
A pesare, oltre alla nota debolezza dei consumi in molti Paesi occidentali, c’è anche l’attesa di un rallentamento della crescita economica nei Paesi emergenti, che ridurrebbe a sua volta la nuova domanda di materie prime, tra cui l’energia.
In altre parole, cresce la percezione che i fondamentali del mercato petrolifero stiano cambiando, a prescindere dalle oscillazioni dovute alle crisi di breve periodo. La minor crescita della domanda starebbe infatti spingendo strutturalmente verso il basso le quotazioni del greggio, proprio mentre molti investimenti effettuati negli anni passati stanno arrivando sul mercato.
Il calo delle quotazioni potrebbe in particolare colpire due Paesi molto importanti per l’Italia: Russia e Algeria. Nel caso della Russia, la situazione è delicata: le esportazioni di gas e petrolio rappresentano il 74% delle esportazioni e il 18% del PIL. Inoltre, il bilancio pubblico per i prossimi anni si basa su un prezzo di riferimento di 100 dollari al barile, più basso che in passato ma in ogni caso elevato.
Il fondo di riserva e il fondo pensionistico sono però consistenti (180 miliardi di dollari), così come le riserve di valuta (468 miliardi a luglio), mentre il bilancio presenta ampi margini di manovra, sia sui tagli, sia sull’indebitamento. Inoltre, attualmente il deficit è dello 0,6% del PIL: nonostante le sanzioni, esiste per il governo anche la possibilità di raccogliere fondi, sia russi sia stranieri.
La situazione è decisamente più grave per l’Algeria: le esportazioni di gas e petrolio valgono il 98% del totale delle esportazioni e il 32% del PIL. Il dato più preoccupante è tuttavia quello del bilancio pubblico: la bozza per il 2015 prevede un deficit pari al 22% del PIL, in aumento di 16 punti percentuali. E questo con il petrolio previsto a 100 dollari al barile.
Nonostante il fondo di regolazione (70 miliardi) e le riserve di valuta (200 miliardi, più o meno 100% del PIL), in caso di calo strutturale delle quotazioni i rischi di un rapido peggioramento della situazione sono molto concreti. A peggiorare il quadro concorre inoltre il fatto che la spesa pubblica sia usata per finanziare una serie di sussidi al consumo (cereali, petrolio, gas) vitali per il mantere il sostegno al governo.
Insomma, come sempre è meglio vigilare su tutti i fronti.