Come ampiamente riportato dai media, Stati Uniti e Cina hanno raggiunto un accordo sulle emissioni di CO2, definito storico. Ma a ben vedere, l’accordo tanto rilevante non è, come spiega bene questa analisi dell’ISPI, di cui riporto uno dei passaggi centrali.
Che valore ha davvero l’accordo sul clima?
Nonostante l’enfasi posta sull’intesa tra Obama e Xi, l’analisi dei dati ci dà un’interpretazione differente sul suo reale impatto. L’incongruità degli obiettivi definiti dai due paesi – dal lato americano si fa riferimento ai livelli di CO2, da quello cinese si parla maggiormente della struttura energetica – rivela come l’accordo sia stato costruito su elementi già noti.
Infatti, se si osservano le previsioni della crescita del nucleare e delle rinnovabili e gli obiettivi di riduzione del carbone nella struttura energetica cinese emerge come fosse già nei piani di Pechino l’aumento della quota di produzione di energia da combustibili non fossili, nello specifico circa il 10% dal nucleare e l’11-12% dalle fonti rinnovabili, ovvero proprio quel 20% che è stato incluso nell’accordo.
Inoltre, già da tempo gli esperti si aspettano che la quota di fonti rinnovabili e nucleare venga ulteriormente aumentata nel Tredicesimo piano quinquennale che sarà in vigore nel 2016-2020. Ciò detto, la Cina non ha di fatto dovuto modificare alcunché della proprio politica energetica per aderire all’accordo con gli Stati Uniti, e anzi si è mantenuta su stime di cautela.
Il resto dell’analisi è disponibile qui.