Prosegue il processo di aggiustamento del prezzo del greggio (siamo a quota 70), alla ricerca di un nuovo punto di equilibrio tra i fondamentali. Ossia tra una domanda più debole del previsto e un’offerta in continua espansione, grazie anche al non convenzionale statunitense.
E visto che i sauditi hanno deciso di non tagliare le quantità, il riequilibrio dei fondamentali sta passando da un riaggiustamento dei prezzi. Come da manuale di economia. Quanto durerà questo calo e fin dove si spingerà è difficile da prevedere, ma dipende molto da quanto elastica si rivelerà la domanda, a cominciare da quella cinese. E naturalmente da quanta produzione uscirà dal mercato nei prossimi trimestri.
E sono proprio i produttori indipendenti nordamericani, quelli che hanno investito nel non convenzionale, che ora sembrano quelli destinati a pagare le conseguenze più care del calo dei prezzi.
Perché loro, a differenza degli operatori dei grandi giacimenti convenzionali, devono rifinanziare su base annuale le continue trivellazioni. Un’operazione facile sopra i 100 dollari, molto difficile quando i prezzi di mercato e i costi di produzione si avvicinano così tanto. Tanto è vero che ora stanno letteralmente crollando in borsa, ma sono rischi del mestiere.
In ogni caso, per mettere le cose in prospettiva, è utile guardare ai prezzi del greggio degli ultimi quaranta anni, in dollari del 2013. Quel che salta all’occhio non è quanto sia basso il livello di oggi, ma quanto fosse alto quello di sei mesi fa.