Secondo quanto riportato da FT, dall’inizio dell’anno GazpromNeft ha iniziato a regolare le proprie esportazioni di petrolio verso la Cina in renminbi anziché in dollari.
In particolare, secondo il report dell’azienda russa relativo al primo trimestre del 2015, le esportazioni attraverso l’oleodotto East Siberian Pacific Ocean sono state di circa 50.000 bbl/g, per un controvalore di 250 milioni di dollari alle quotazioni attuali.
La decisione di GazpromNeft, ossia del governo russo che la controlla, va letta nel contesto della reazione alle sanzioni occidentali e alla scelta di riorientare le strategie di esportazioni russe verso i mercati asiatici, in più forte crescita e politicamente meno problematici rispetto ai tradizionali partners europei.
La necessità di ricorrere a prestiti cinesi per costruire le infrastrutture di esportazione energetiche in Siberia orientale ha peraltro senza dubbio contribuito alla scelta russa. Si tratta in ogni caso di una cifra tutto sommato modesta (pari circa 1 miliardo di dollari all’anno) se paragonata al totale delle esportazioni petrolifere russe (oltre 200 miliardi all’anno) o all’interscambio Russia-Cina (86 miliardi nel 2013).
Tuttavia segnala un nuovo passo avanti in una tendenza di lungo periodo, conseguenza inevitabile dell’ascesa cinese, che i russi hanno da tempo iniziato a sostenere in ottica di contenimento degli Stati Uniti.
Dal punto di vista dei mercati petroliferi, l’egemonia del dollaro non è al momento in discussione: l’impatto della decisione russa è poco più che simbolico, dati i volumi in questione. Resta però sul tavolo la questione dell’inevitabile superamento dell’unicità della posizione del dollaro e del disancoramento dei prezzi del greggio dalle politiche monetarie statunitensi.
Per noi europei potrebbe non essere poi così male.