Paolo Scaroni ha annunciato nuovi investimenti in esplorazione in Algeria, dopo aver incontrato il Ministro dell’Energia algerino, Youcef Yousfi.
Eni ha anticipato un interesse alla collaborazione con la compagnia di stato Sonatrach (socio obbligato al 50%) per nuove attività di esplorazione nel Paese, sia offshore sia nell’area dell’Atlante, situata 100 chilometri a sud di Algeri.
A pesare non sono solo i rischi geologici (Scaroni ha definito l’attività “high risk high reward”), ma soprattutto politici. L’Algeria si prepara infatti da mesi alla transizione post-Bouteflika.
L’anziano presidente è rientrato martedì scorso dopo diversi mesi in Francia, dove era stato ricoverato per le conseguenze di un ictus. Le sue reali condizioni mediche sono avvolte dal mistero e ad Algeri è già aperta la competizione in vista delle elezioni presidenziali di aprile 2014.
L’Algeria è riuscita a evitare le conseguenze più destabilizzanti delle rivolte nei Paesi arabi e delle guerre in Libia e Mali, grazie ai solidi apparati di sicurezza e ai proventi delle esportazioni energetiche.
Il continuo aumento di popolazione, la possibilità che la lotta per la transizione si trasformi in scontro aperto, la minaccia di una ripresa delle attività terroristiche islamiste (favorite dalla porosità dei confini sahariani) rappresentano altrettanti elementi di rischio che rendono gli investimenti nel Paese una vera e propria scommessa.
Anche in caso di instabilità, tuttavia, le conseguenze di un’eventuale instabilità potrebbero essere solo transitorie. Come dimostrato anche dal caso libico, la prima priorità di chiunque prenda il potere resta sempre quella di accedere ai flussi di cassa generati dalle esportazioni, a tutto vantaggio di chi già gode di una posizione consolidata nel Paese.
E Eni sembra anche in questo caso avere le carte in regola: presente in Algeria dal 1981, partecipa in 8 permessi in fase di sviluppo e in 24 già in produzione, che l’hanno resa nel 2012 il primo produtte del Paese (come Libia). Un rischio calcolato, insomma.