Ucraina: 5 miliardi dall’Occidente per garantire i flussi?

RIA Novosti - Prodan: Ukraine, Russia Disagree on Gas Payment Schedule, Final Deal Still on TableLa negoziazione sul Winter Package è ancora in corso e si chiuderà probabilmente questa settimana. Iniziano tuttavia a essere più chiari i termini e le cifre in gioco.

Inizialmente – almeno al sottoscritto – non erano apparsi chiari i termini del possibile accordo. A un’analisi più approfondita delle diverse dichiarazioni, tra cui quelle del ministro ucraino dell’energia Prodan, emerge come la cifra che il governo ucraino complessivamente dovrebbe pagare quest’anno sia di almeno 5 miliardi di dollari.

Un totale di 3,1 miliardi sarebbero pagati in due o più tranches, a titolo di estinzione del debito. Si tratta di un cifra corrispondente alla valutazione del debito fatta dalla parte ucraina e che sarebbe dovuta anche in caso di una decisione favorevole a Kiev al termine dell’arbitrato.

A questa cifra si aggiungerebbero 1,925 miliardi di dollari per la fornitura di 5 Gmc a un prezzo di 385 dollari/kmc, da pagare anticipatamente rispetto alla consegna. Un eventuale ulteriore consegna di 2 Gmc, indicata come necessaria da Miller, aggiungerebbe 770 milioni, portando i pagamenti per il gas da consegnare a 2,695 miliardi e il conto totale a 5,795 miliardi. Il tutto nei prossimi tre mesi.

Oltre alla cifra complessiva, le parti divergono però anche sull’ordine con cui effettuare i pagamenti: Kiev vorrebbe prima pagare il gas in anticipo e poi iniziare a saldare il debito. Gazprom sembra invece inamovibile nel voler ricevere almeno una prima tranche di pagamento del debito, prima di accettare il pre-pagamento del gas e quindi iniziare le consegne.

Per i governi europei, la paura è che questo sia solo l’inizio di un’emorragia finanziaria necessaria a sostenere il governo di Kiev, sembre più debole economicamente. Paura che temo risulterà fondata.

Russia-Ucraina: accordo sul gas forse in settimana

Bloomberg - Russia, Ukraine Move Toward Interim Gas Deal Before Winter Un accordo temporaneo sulla ripresa delle forniture di gas russo all’Ucraina, il cosiddetto Winter Package, potrebbe arrivare giovedì o venerdì durante un incontro a Berlino.

L’accordo prevederebbe un pagamento da parte ucraina da 3,1 miliardi di dollari: 2 a ottobre e 1,1 a dicembre. In cambio, Gazprom fornirebbe subito 5 Gmc per il mercato ucraino, indispensabili per aumentare il livello di riempimento degli stoccaggi ucraini prima dell’inizio dell’inverno. Ora è al 52%, col nuovo gas russo salirebbe al 68%. Una spiegazione alternativa è che in realtà i nuovi volumi sarebbero usati per alimentare i consumi interni ucraini e prevenire un ulteriore svuotamento degli stoccaggi.

Il prezzo indicato è di 385 dollari ogni mille metri cubi e i 2 miliardi di ottobre servirebbero da pagamento anticipato per tutti e cinque i Gmc. Il saldo di dicembre potrebbe servire per ulteriori 3 Gmc, ma non è stato chiarito. : il pagamento anticipato dei volumi (1,9 miliardi di dollari) andrebbe a sommarsi ai 3,1 miliardi che Naftogaz pagherebbe per gli arretrati.

Sul tavolo resta la questione del debito di Naftogaz verso Gazprom. La cifra, secondo quanto riportato da Reuters, sarebbe di 5,3 miliardi di dollari. Intanto, Gazprom e Naftogaz hanno in sospeso un arbitrato per 4,5 miliardi (dei 5,3 totali) presso la Stockholm International Arbitration Court.

Il Winter Package servirebbe a scongiurare il rischio che Naftogaz devi i flussi di gas russo destinati ai mercati europei per coprire i propri consumi interni, come successo nel 2006 e nel 2009. Sarebbe tuttavia un accordo temporaneo, fino a marzo, in attesa che nella seconda metà del 2015 arrivi una decisione da Stoccolma, in base alla quale regolare i contratti futuri.

L’unica certezza resta in ogni caso l’origine dei fondi usati dal governo di Kiev per pagare, quelli del Fondo Monetario Internazionale, che in maggio ha concesso prestiti per 17 miliardi. E che potrebbe allargare ancora i cordoni della borsa,  concedendo a Kiev ulteriore credito per diversi miliardi. Dietro garanzia dell’Unione Europea, come dichiarato dal Commissario Oettinger.

Aggiornamento: in un’intervista su Russia24, Alexei Miller ha sottolineato come i 5 Gmc potrebbero non bastare a mantenere la stabilità del sistema e che occorre arrivare ad almeno 7 Gmc in totale per garantire la stabilità dei flussi.

Al via oggi TriesteNext

Italia: un hub per l'Europa meridionale?Al via questa mattina la terza edizione di TriesteNext, una tre giorni di incontri dedicati all’energia, alla ricerca scientifica e alla divulgazione. Ricercatori, imprenditori e decisori pubblici si incontreranno per discutere del presente e delle possibili evoluzioni future di tutto quello che ruota intorno al settore energetico, con particolare attenzione all’innovazione tecnologica.

Segnalo in particolare l’incontro Italia: un Hub per l’Europa meridionale?, in calendario il 27 settembre 2014 alle 17:30 presso il Ridotto Teatro Verdi. Oltre al sottoscritto, interverranno Giampaolo Russo, amministratore delegato TAP Italia, e Antonio Sileo, ricercatore dello IEFE della Università Bocconi. A moderare sarà Luca Pagni, giornalista di Repubblica.

Tap: tutti d’accordo, ma chi ci guadagna?

L'Espresso - Tap: tutti d'accordo, ma chi ci guadagna?Segnalo un articolo dal titolo Tap: tutti d’accordo, ma chi ci guadagna?, pubblicato da Stefano Vergine sull’Espresso. Il pezzo ricostruisce la questione in modo chiaro e solleva alcuni giusti interrogativi.

Nell’articolo mi viene attribuita una stima del valore delle tariffe di transito incassate da Snam Rete Gas per un’ipotetica ri-esportazione di tutto il gas azerbaigiano pari a 200 milioni di euro all’anno. L’autore – incolpevolmente – riporta una cifra, pubblicata in un mio articolo apparso sul Caspian Report, frutto di un errore di stampa: la cifra stimata (riportata qui in orginale) è di 150 milioni di euro.

Prezzi del greggio in discesa, rischi per i produttori

UP - Brent e WTI (al 23/09/2014)Nonostante l’instabilità in diverse aree produttive, a cominciare da quella mediorientale, i prezzi del greggio stanno conoscendo in queste settimane uno stabile declino. Qui la serie storica dell’IEA, aggiornata a tre giorni fa.

In queste settimane, il Brent si aggira sui 95 dollari al barile. Secondo le previsioni dell’IMF di settembre, nonostante una generalizzata aspettativa di rialzo, anche per l’anno prossimo il rischio di un calo sotto i 100 dollari al barile è molto concreta: 51%. Per il terzo mese consecutivo, l’istituto ha rivisto al rialzo il rischio: a giugno le probabilità erano del 26%.

A pesare, oltre alla nota debolezza dei consumi in molti Paesi occidentali, c’è anche l’attesa di un rallentamento della crescita economica nei Paesi emergenti, che ridurrebbe a sua volta la nuova domanda di materie prime, tra cui l’energia.

In altre parole, cresce la percezione che i fondamentali del mercato petrolifero stiano cambiando, a prescindere dalle oscillazioni dovute alle crisi di breve periodo. La minor crescita della domanda starebbe infatti spingendo strutturalmente verso il basso le quotazioni del greggio, proprio mentre molti investimenti effettuati negli anni passati stanno arrivando sul mercato.

Il calo delle quotazioni potrebbe in particolare colpire due Paesi molto importanti per l’Italia: Russia e Algeria. Nel caso della Russia, la situazione è delicata: le esportazioni di gas e petrolio rappresentano il 74% delle esportazioni e il 18% del PIL. Inoltre, il bilancio pubblico per i prossimi anni si basa su un prezzo di riferimento di 100 dollari al barile, più basso che in passato ma in ogni caso elevato.

Il fondo di riserva e il fondo pensionistico sono però consistenti (180 miliardi di dollari), così come le riserve di valuta (468 miliardi a luglio), mentre il bilancio presenta ampi margini di manovra, sia sui tagli, sia sull’indebitamento. Inoltre, attualmente il deficit è dello 0,6% del PIL: nonostante le sanzioni, esiste per il governo anche la possibilità di raccogliere fondi, sia russi sia stranieri.

La situazione è decisamente più grave per l’Algeria: le esportazioni di gas e petrolio valgono il 98% del totale delle esportazioni e il 32% del PIL. Il dato più preoccupante è tuttavia quello del bilancio pubblico: la bozza per il 2015 prevede un deficit pari al 22% del PIL, in aumento di 16 punti percentuali. E questo con il petrolio previsto a 100 dollari al barile.

Nonostante il fondo di regolazione (70 miliardi) e le riserve di valuta  (200 miliardi, più o meno 100% del PIL), in caso di calo strutturale delle quotazioni i rischi di un rapido peggioramento della situazione sono molto concreti. A peggiorare il quadro concorre inoltre il fatto che la spesa pubblica sia usata per finanziare una serie di sussidi al consumo (cereali, petrolio, gas) vitali per il mantere il sostegno al governo.

Insomma, come sempre è meglio vigilare su tutti i fronti.

Rinnovabili sussidiate contro il cambiamento climatico? Inutili

L’Economist di questa settimana regala un’infografica che ha bisogno di pochi commenti. La riporto qui sotto e vi invito a cercare l’impatto dei sussidi europei alle rinnovabili sulla riduzione delle emissioni.

Non solo i sussidi costano ogni anno circa 13 miliardi di euro agli italiani e 24 miliardi di euro ai tedeschi, ma sono anche meno efficaci delle misure per l’efficienza energetica. Ciascuno tragga le proprie conclusioni, io le mie le ho già tratte da un po’.

The Economist - Emission reduction by policies/actions, bn tonnes CO2 equivalentQui l’originale e qui le note.