Il TAG a Snam Rete Gas a settembre?

ASCA - Snam, Malacarne: chiuderemo trattative per Tag in settembreIntervenendo al Meeting di Rimini, l’ad di Snam Rete Gas Carlo Malacarne ha confermato l’intenzione della società di acquisire entro settembre il controllo del Trans Austria Gasleitung (TAG), il tratto austriaco del gasdotto che porta in Europa occidentale il gas russo. Il TAG è lungo 380 km e corre dal confine tra Slovacchia e Austria fino al Tarvisio, passando anche per l’hub di Baumgarten.

Il gasdotto era storicamente proprietà dell’Eni, che però dovette cedere per 710 milioni la propria partecipazione dell’89% alla Cassa Depositi e Prestiti (CDP) nel 2011, per assecondare le richieste della Commissione europea in materia di integrazione verticale. Attualmente la partecipazione è detenuta da un veicolo di investimento, CDP GAS s.r.l., a sua volta controllato al 100% dalla CDP.

Considerando che la CDP è anche l’azionista di controllo di Snam Rete Gas, il passaggio della partecipazione dovrebbe avvenire senza troppi scossoni, attraverso un aumento del capitale di Snam sotto forma di conferimento del TAG da parte della CDP. L’operazione è in preparazione da oltre un anno e siamo alle battute finali con le autorizzazioni necessarie a livello austriaco ed europeo.

Prosegue dunque il processo di rafforzamento della posizione di Snam a livello europeo, fatta di acquisizioni (Tigf) e di collaborazioni importanti (Fluxys). In un contesto europeo sempre più integrato e con mercati (forzatamente) più aperti alla concorrenza, gli attori che acquisiscono sempre più peso sono gli operatori di rete, accanto naturalmente ai regolatori.

Il trasferimento a Snam del controllo di TAG ha dunque un valore industriale e strategico molto diverso dalla cessione di una partecipazione di minoranza in Terna e nella stessa Snam al governo cinese, attraverso la partecipazione in CDP Reti. Questo spiega tra l’altro la decisione della CDP di non conferire a CDP Reti il TAG in occasione dell’accordo coi cinesi, a differenza di quanto ipotizzato a inizio anno. A quanto pare, in Italia qualcuno in silenzio fa ancora politica energetica.

Germania: garanzie pubbliche a E.ON per il GNL

Reuters - Germany gives E.ON credit guarantees to strike LNG deals - sourceSecondo quanto riportato da Reuters, E.ON potrebbe aumentare il ricorso alle garanzie pubbliche sul credito per stipulare nuovi contratti di fornitura di lungo periodo di GNL.

L’anno scorso il parlamento tedesco aveva già approvato la concessione di garanzie per 2 miliardi di euro a favore di E.ON per acquistare forniture ventennali dal terminale canadese di Goldboro. La garanzia è stata approvata sotto forma di Untied Loan Guarantee federale e sarà effettivamente attiva solo dopo la decisione finale di investimento, attesa per il 2015.

La garanzia permette a E.ON di alzare il rating da A- a AAA, abbassando il costo del capitale di 1-2 punti percentuali. La garanzia del governo favorisce inoltre la cooperazione con gli esportatori, che preferiscono trattare con aziende che godono di copertura politica esplicita, come dimostrato dalla francese EDF.

In cambio della garanzia, E.ON si impegna a portare una quota del GNL acquistato direttamente sul mercato tedesco. Nel caso di Goldboro, la quota è del 30%. E.ON starebbe ora guardando a Mozambico, Israele e Sud America per ulteriori acquisti.

Considerando che la Germania non dispone di terminali di rigassificazione, nemmeno in progettazione, il ricorso ai terminali di altri Paesi europei appare inevitabile. Si tratta di una buona notizia, perché il livello di integrazione del sistema gas europeo è destinato a crescere. Ma anche di una cattiva notizia, visto che l’assenza di un coordinamento a livello europeo spinge sempre di più nella direzione di un sistema infrastrutturale germano-centrico, rispetto al quale l’Italia è solo una periferia secondaria.

L’economia ucraina verso il tracollo?

OIES - Ukraine’s imports of Russian gas – how a deal might be reached L’inverno si avvicina e nel prosimo trimestre la domanda di gas europea tornerà a crescere. Intanto però gli stoccaggi ucraini, fondamentali per garantire i flussi di gas verso l’Europa orientale e l’Italia, restano pericolosamente mezzi vuoti (48% a metà agosto).

A rallentare il ritmo delle iniezioni è l’assenza di un accordo tra Gazprom e Naftogaz dopo il cambio di governo a Kiev. Dal 16 giugno, tra l’altro, Gazprom ha interrotto le esportazioni destinate al mercato ucraino, mantenendo solo i flussi diretti in Ue.

I nodi sono due: il primo è il debito, 5,3 miliardi di dollari secondo quando dichiarato da Gazprom, a cui in teoria si aggiungono 11,4 miliardi per volumi acquistati ma non ritirati. Il secondo sono i prezzi per il futuro, considerando che il contratto vigente scade in teoria nel 2019. A ricostruire la vicenda in dettaglio è Simon Pirani.

Secondo Pirani, un accordo sul gas può essere raggiunto anche senza che si risolvano gli altri problemi politici. Nel breve periodo, la soluzione potrebbe essere che Naftogaz segua la prassi di mercato e paghi tutta la somma dovuta, aspettando poi che il tribunale arbitrale decida eventuali compensazioni.

Per il futuro, invece, è probabile che emergano dinamiche più competitive, Naftogaz perda il monopolio sul trasporto e il gas russo venga venduto a intermediari direttamente al confine tra Russia e Ucraina. I rischi di furto saranno così ridotti notevolmente, ma Gazprom dovrà accettare prezzi minori, vista la generale discesa dei prezzi sui mercati Ue e la crescente competizione del carbone sul mercato ucraino.

A rendere incerti gli sviluppi è però soprattutto la disastrosa situazione economica dell’Ucraina, che mette in dubbio i fondamenti stessi dell’intervento del Fondo Monetario, come ben spiegato dal Financial Times. I Paesi occidentali preparino il portafogli.

Qatar: GNL e terrorismo?

La Stampa - Iraq, l’islamismo da esportazione del Qatar. Per il Califfo un tesoro di due miliardi L’Ue continua nella politica di sanzioni alla Russia e la Commissione guarda con interesse al GNL come fonte diversificazione delle importazioni di gas.

Il Qatar naturalmente si presenta come candidato di primo piano. Il potenziale c’è, eccome: primo esportatore al mondo, con 107 Gmc di esportazioni nel 2013, una quota del mercato mondiale del 33% e oltre 25.000 Gmc di riserve.

Il Qatar è peraltro già un fornitore europeo: nel 2013 ha esportato nell’Ue circa 24 Gmc, di cui 5 in Italia, a Cavarzere. E nel 2011, anno prima del nuovo calo dei consumi europeo, si era arrivati addirittura a oltre 40 Gmc.

Intanto, però, si fa sempre più evidente la portata del legame tra il Paese del Golfo e le attività fondamentaliste e terroristiche in Medio Oriente. In particolare, proprio dal Qatar proverrebbero buona parte dei 2 miliardi di dollari su cui ha potuto contate l’ISIS per affermarsi.

A scriverne oggi è Maurizio Molinari, che su La Stampa parla del ruolo del Qatar nel finanziare Abu Bakr al-Baghdadi, il capo dell’ISIL, anche attraverso appoggi in Turchia. Molinari cita inoltre i Country Reports on Terrorism 2013 del Dipartimento di Stato, da cui il Qatar non esce molto bene, nonostante ospiti una delle più importanti basi militare statunitense nella regione.

Certo, il Qatar non è il solo esportatore di GNL e l’offerta aumenterà nei prossimi anni. Ma il Qatar resterà centrale anche nel prossimo decennio, forte della sua posizione geografica tra Europa e Asia. Non c’è solo il petrolio, a finanziare attività decisamente poco allineate agli interessi europei.

In fondo, Putin può non piacere, ma in giro c’è decisamente di peggio.


Qatar: espotazioni di GNL e controvalore delle esportazioni di gas


Tagli alle rinnovabili? Troppo pochi

LaVoce.info - Tagli alle rinnovabili? Troppo pochiA inizio agosto è arrivato il via libera al dl competitività, che prevede tra l’altro una riduzione dei sussidi alle rinnovabili, arrivati a 5,9 miliardi di euro nei primi sei mesi del 2014. Oltre 32 milioni al giorno.

I tagli, un po’ limati in fase di conversione, sono finalmente arrivati, sulla scia di quando già avvenuto altrove in Europa. Certo, c’è il solito problema dell’incertezza del quadro normativo, che allontanerebbe gli investimenti. Ma non può essere un alibi: se una misura è sbagliata a monte, continuare a mantenerla per via dei “diritti acquisiti” vuol solo dire continuare a far danni ai cittadini.

Come spiegano bene Marco Ponti, Giorgio Ragazzi e Francesco Ramella su LaVoce.info, i sussidi servono per correggere un fallimento del mercato, ossia la presenza di esternalità ambientali negative non internalizzate. Ma per valutare l’adeguatezza delle cifre messe in campo, occorre fare un’adeguata analisi preliminare dei relativi benefici e costi. Che nel caso italiano è mancata.

Considerando il costo delle emissioni di CO2, gli autori mettono in evidenza l’enorme divario tra il valore dei sussidi e il prezzo della CO2 che si sarebbe emessa usando centrali a gas al posto dei pannelli. Le emissioni di CO2, a livello europeo, sono quotate e hanno un prezzo chiaramente definito, quello permessi EU-ETS.

Il risultato è scandaloso: i sussidi al fotovoltaico sono oltre 100 volte più alti del valore del loro contributo. Sì, cento volte di più. Forse è il caso di pensarci bene, prima di fissare nuovi obiettivi alla penetrazione delle rinnovabili. E magari di sforbiciare ancora un po’ i sussidi e quindi le bollette di consumatori e imprese italiani. A proposito di competitività.

Kashagan: ripartenza nel 2016?

Platts - When will Kazakhstan's Kashagan be able to restart production?Il giacimento di Kashagan rappresenta un elemento fondamentale per il futuro delle esportazioni petrolifere kazake, oltre che un investimento da parecchie decine di miliardi di dollari per le multinazionali coinvolte, tra cui Eni.

Come noto, la produzione nel giacimento è iniziata a ottobre 2013, per poi essere interrotta dopo poche settimane a causa dei cedimenti lungo le condotte che dai pozzi portano agli impianti di trattamento a terra.

Il ritorno alla produzione è previsto tra non meno di un anno e mezzo, secondo quanto riportato da Dina Khrennikova, associate editor di Platts, in un podcast dal titolo When will Kazakhstan’s Kashagan be able to restart production?

In particolare, le Autorità kazake e il North Caspian Operating Company (NCOC) hanno pubblicamente parlato di due scenari per il ritorno alla produzione: uno più positivo per la prima metà del 2016 e uno più negativo per la seconda metà del 2016. Tutte e due gli scenari potrebbero essere però troppo ottimistici. Le perdite sarebbero dovute a una scelta sbagliata nel grado dell’acciaio necessario a evitare la corrosione dovuta all’alto contenuto di acido solforico che contraddistingue gli idrocarburi di Kashagan. I problemi potrebbero inoltre essere dovuti anche alle saldature.

Le operazioni sono particolarmente complesse: occorre sostituire 200 km di condotte e i tecnici sarebbero ancora al lavoro per studiare il tipo di acciaio necessario. Secondo il governo kazako, però, la produzione dei tubi dovrebbe cominciare già ad agosto, con le prime consegne a dicembre: scandenze molto probabilmente irrealistiche.

Nonostante gli attriti causati dai ritardi, i rapporti tra il governo kazako e le compagnie sembrano ancora reggere [di necessità virtù…]. Il segno più tangibile è la decisione di imporre alla NCOC una multa di soli 30 milioni di dollari per ogni trimestre di ritardo: tutto sommato una cifra modesta, soprattutto se si considerano le decine di miliardi di investimenti già effettuati.

Un altro segnale di “pace” tra il governo e la NCOC è stato l’annuncio che non ci sarà un’indagine autonoma sui fatti che hanno portato all’interruzione della produzione: i panni sporchi potranno tutto sommato essere lavati in casa del consorzio, senza troppo clamore.

Intanto il governo kazako ha rivisto al ribasso le stime della produzione interna per il 2014 a 82 Mt, in linea con quelle dell’anno scorso. Il dato potrebbe però essere troppo ottimistico, considerando che i livelli del 2013 erano dovuti a una produzione record del giacimento di Tengiz, che non è detto possa essere ripetuta quest’anno.

Se consideriamo il possibile calo dei volumi e la parallela discesa delle quotazioni del greggio in atto, le pressioni sul governo kazako potrebbero far aumentare la tensione con la NCOC, oltre che far suonare l’ennesimo campanello d’allarme sull’eccessivo peso delle esportazioni petrolifere nell’economia del Paese.