Regno Unito: nuove licenze per il Mare del Nord

Produzione britannica di gas e petrolio (1970-2012)Il governo britannico ha lanciato un nuovo tender per le licenze di sfruttamento degli idrocarburi del Mare del Nord, aprendo nuove aree agli investitori. Due mesi fa il tender precedente ha portato alla concessione di 219 nuove licenze.

Il settore petrolifero è un contributore importante per il fisco britannico: i 36 progetti approvati nel 2013 hanno generato circa 6,5 miliardi di sterline (7,8 mld euro) di gettito e altri 5 miliardi di sterline (6 mld euro) di gettito stimato lungo la filiera. Il settore petrolifero britannico, inoltre, impiega 350.000 lavoratori, di cui quasi la metà in Scozia.

Il settore petrolifero britannico si è sviluppato intorno ai giacimenti del Mare del Nord, che tra gli anni Settanta e gli anni Ottanta ha conosciuto un vero e proprio boom petrolifero: da 2 Mt nel 1975 a 80 nel 1980, fino al record di 165 nel 1986.

L’industria ha conosciuto una seconda giovinezza negli anni Novanta con il gas naturale, passato da una produzione intorno ai 40 Gmc negli anni Ottanta a 76 Gmc nel 1995, fino al record di 116 Gmc nel 2000.

Il declino nel primo decennio del secolo è stato rapido: la produzione aggregata di gas e petrolio è infatti passata dal record di 227 Mtep del 1999 a 82 Mtep nel 2012. Per trovare un livello tanto basso, occorre tornare indietro fino al 1978. E i dati preliminari relativi al 2013 indicano un’ulteriore contrazione del 10%.

A differenza di altri governi europei che preferiscono aumentare la pressione fiscale per sussidiare le rinnovabili, il governo britannico sembra dunque deciso a sostenere la ripresa economica anche sfruttando le riserve presenti nel sottosuolo del Paese e puntando all’efficienza nei consumi.

Obiettivi europei clima-energia: un’analisi

Aleksandra Gawlikowska-Fyk -New Climate and Energy Package for 2030Come ampiamente riportato dalla stampa, la Commissione europea ha reso noti mercoledì i nuovi obiettivi europei in tema di emissioni di CO2 e di diffusione obbligatoria delle rinnovabili al 2030.

Quanto alle emissioni, l’obiettivo fissato è di una riduzione delle emissioni di CO2 del 40% rispetto ai livelli del 1990. L’obiettivo è obbligatorio e declinato su base nazionale: ciascun Paese ridurrà le proprie emissioni rispetto ai propri livelli del 1990. Incidentalmente, anno nel quale le fabbriche ad alte emissioni della Germania dell’Est erano ancora in piena attività.

Quanto alle rinnovabili, l’obiettivo fissato è di una diffusione delle rinnovabili al 27% del paniere energetico. In questo caso, l’obiettivo è declinato a livello europeo. In questo modo, se un grande Paese con obiettivi vincolanti stabiliti a livello nazionale si trovasse in eccesso di produzione da rinnovabili, potrebbe vendere la propria produzione “verde” agli altri Paesi (come si dice in tedesco?).

Segnalo un breve paper di Aleksandra Gawlikowska-Fyk dal titolo New Climate and Energy Package for 2030, che analizza le decisioni prese.

Germania: il peso dei sussidi

Economist - Germany’s energy transition. Sunny, windy, costly and dirtyIl peso delle rinnovabili inizia a farsi sentire anche sull’economia tedesca, che rischia di essere penalizzata in modo decisivo proprio nel momento in cui la congiuntura internazionale sembra migliorare.

E il superministro dell’economia e dell’energia, Sigmar Gabriel, in settimana ha detto che in Germania “abbiamo raggiunto il limite di quanto possiamo chiedere alla nostra economia”, secondo quanto riportato dal FT.

Un segnale chiaro, in vista delle proposte della Commissione di alzare gli obiettivi di riduzione delle emissioni e renderli vincolanti a livello europeo, attese per quest’oggi. Perché il governo tedesco ha già imboccato autonomamente la strada di obiettivi molto ambiziosi e vorrebbe impegni più stretti e vincolanti per tutti.

La transizione energertica tedesca (Energiewende) fissa obiettivi molto alti. Al 2050, le rinnovabili dovrebbero fornire l’80% della produzione elettrica e il 60% dei consumi energetici, con una riduzione delle emissioni di CO2 dell’80-95% rispetto al 1990.

I costi delle misure fin qui adottare sono però astronomici: 16 miliardi in più in bolletta per le famiglie tedesche, secondo le cifre riportare dall’Economist. 24 miliardi in totale, secondo le stime del FT. E col rischio che la Commissione europea imponga di ridurre le esenzioni per gli energivori, penalizzando così l’industria tedesca.

Un bel problema per il governo tedesco, che teme di veder compromessa la competitività delle proprie imprese. E per Gabriel, visto che c’è il rischio concreto che l’utilizzo delle centrali a carbone sia progressivamente ridotto. Un grosso problema, considerando la forte industria estrattiva tedesca e la vocazione degli occupati nel settore a votare per l’SPD, il partito di Gabriel.

Il problema più grosso per il governo tedesco e la spiegazione della sua intransigenza è però un altro. La legge tedesca è molto rigida e non permette in alcun modo un taglio retroattivo dei sussidi.

Questo significa che il peso dei sussidi è destinato a restare immutato per anni: anche smettendo di sussidiare impianti nuovi, ci sarebbero quelli vecchi da mantenere per venti anni dall’entrata in servizio. A quel punto, tanto vale usarli appieno e imporre agli altri Paesi europei un peso simile, affinché l’industria tedesca non sia troppo svantaggiata. In questo caso, il problema non è solo tedesco, ma anche del resto d’Europa.

Aggiornamento: segnalo anche l’interessante articolo di Matt McGrath per la BBC.

Fortemente ridotte le importazioni di gas dall’Algeria

Importazioni di gas dall'AlgeriaSecondo i dati di SRG, le importazioni di gas dall’Algeria hanno fatto registrare negli ultimi giorni un forte rallentamento, crollando ieri a 8 Mmc, contro i 33 Mmc di una settimana prima.

Come riporta SQ, la brusca riduzione dei quantitativi nominati sarebbe dovuta a una non conformità del gas algerino agli standard di qualità di SRG. In particolare, il gas sarebbe troppo umido.

La riduzione di questi giorni avviene rispetto a livelli già particolarmente bassi, a causa della temporanea contrazione delle importazioni del gas algerino di Sonatrach, concordata l’anno scorso.

In termini di sicurezza, l’impatto di una completa interruzione dei flussi dall’Algeria sarebbe in realtà limitato perché la domanda complessiva è molto bassa (ieri, 168 Mmc ieri).

Tuttavia, la capacità di importazione del gasdotto Transmed (97 Mmc/g conferibili) rappresenta quasi il 30% della capacità conferibile della rete nazionale. Anche se ora per ragioni congiunturali le conseguenze di un’interruzione sono ampiamente gestibili, un prolungarsi della situazione attuale, magari per ragioni non meramente estemporanee, rappresenterebbe un fattore di rischio, rendendo la rete nazionale eccessivamente dipendente dalle altre infrastrutture esistenti.

Aggiornamento: oggi (24/02), la situazione sta tornado verso la normalità, confermado la natura episodica della riduzione dei flussi di questa settimana.

Cambiamento climatico: è davvero di origine antropogenica?

Bloomberg - Climate Protection May Cut World GDP 4% by 2030, UN SaysSegnalo un interessante articolo di Ernesto Pedrocchi pubblicato su Energia col titolo di Cambiamento climatico: è davvero di origine antropica? (4/2013, pp. 42-47).

L’articolo ricostruisce i tanti dubbi esistenti sulla natura antropica del cambiamento climatico, ossia sul fatto che le emissioni di anidride carbonica prodotte dalle attività umane siano responsabili delle variazioini temperatura del pianeta.

L’argomentazione di Pedrocchi è piuttosto articolata e parte della considerazione che «la CO2 antropica costituisce oggi solo il 3% delle totali immissioni di CO2 in atmosfera».

Pedrocchi prosegue ricordando che «dal 1750 l’aumento di concentrazione di CO2 nell’atomosfera è continuo ma molto irregolare: alcuni anni è più del triplo di altri, mentre le emissioni antropiche crescono leggermente, ma abbastanza regolarmente, di anno in anno. Questo fa sospettare che responsabile di questa crescita sia un fenomeno naturale e non l’azione dell’uomo».

Pedrocchi spiega che «le serie storiche relative alle glaciazioni degli ultimi 400.000 anni evidenziano che, in generale, è l’aumento di termperatura che precede l’aumento di concentrazione di CO2 in atmosfera e non viceversa». Questa evidenza è tra l’altro sottolineata anche da Sergio Carrà in un altro contributo pubblicato sullo stesso numero di Energia.

Pedrocchi arriva alla conclusione che «questi dati permettono di pensare che non vi è alcuna prova convincente che l’aumento di concentrazione di CO2 in atmosfera giochi un ruolo significativo sull’aumento della temperatura globale media».

Da questa analisi, Pedrocchi avanza una dura critica alle attuali politiche di mitigazione molto di moda in Europa e miranti a ridurre le emissioni di CO2 per combattere il cambiamento climatico.

In assenza di una chiara evidenza scientifica, Pedrocchi sottolinea come investire risorse in attività di adattamento (dalle misure di prevenzione dei dissesti idrogeologici alle tecniche agricole avanzate) sia non solo più sensato, ma anche più efficace. Anche perché l’adattamento ha ricadute positive per chi investe, a prescidere dal comportamento degli altri. Al contrario della mitigazione, che se non adottata da tutti penalizza solo chi si è impegnato.

Difficile dargli torto, anche senza accettare in toto la sua valutazione sul nesso tra attività umane e riscaldamento globale. A rendere ancora più urgente una seria riflessione in merito è l’impatto particolarmente negativo che le politiche di riduzione delle emissioni avranno sull’economia. E un’umanità meno ricca è anche un’umanità con meno mezzi a disposizione per adattarsi a un mondo in continuo cambiamento. Climatico e non.

Geopolitica dell’ambiente e dell’energia

Gnosis - Rivista italiana di intelligenceGnosis, la rivista dell’AISI, ha rinnovato a partire dall’anno scorso la veste grafica e i contenuti. Offrendo interessanti analisi e riflessioni sul tema della sicurezza, declinata nei suoi diversi ambiti. Incluso quello dell’energia.

Purtroppo, un articolo comparso nel 4° e ultimo numero del 2013 affronta la questione dei gasdotti in modo impreciso. Il titolo del contributo è «Geopolitica dell’ambiente e dell’energia» e a beneficio di quanti si troveranno a leggere il contributo, segnalo le inesattezze:

  • Abkhazia e Ossezia del Sud sono regioni georgiane e non russe e sono attualmente controllate dagli indipendentisti appoggiati da Mosca, e non il contrario [pag. 70];
  • il gasdotto Nabucco è stato abbandonato a giugno del 2013, tanto che non esiste più nemmeno il sito internet, e di certo non sarà costruito entro il 2015 [71] o il 2016 [72];
  • il gasdotto Medgaz non è un progetto futuro, ma è operativo dal 2011 [72];
  • il gasdotto Galsi è stato già di fatto abbandonato, tanto che l’Ue è pronta a ritirare i fondi, e manca solo l’annuncio ufficiale [72];
  • il consorzio North Transgas è stato rinominato Nord Stream nel 2006 e il gasdotto Nord Stream non è un progetto futuro, ma è operativo dal 2011 [73];

Ci sono poi alcuni passaggi su cui non mi trovo d’accordo:

  • il gasdotto da seimila km dall’Iran alla Siria attraverso l’Iraq non è un progetto realmente in discussione, perché economicamente insostenibile, e anche solo ipotizzare un nesso col conflitto in Siria è davvero difficile [74];
  • sostenere che Qatar, Emirati Arabi e Oman offrano «garanzie di stabilità» è secondo me un po’ azzardato, dato il contesto regionale in cui sono inseriti i tre Paesi [75];
  • l’Egitto difficilmente diventerà un grande esportatore di gas perché la domanda interna è destinata a crescere con l’economia e la demografia del Paese, mentre le riserve sono cospicue (2.190 Gmc nel 2012) ma non enormi (1% del totale mondiale) [75].

Lo so, è un post noioso e per pignoli. Come il lavoro di ricercatore, d’altronde.