Gazprom Export e le esportazioni verso l’Italia

Gazprom ExportGazprom Export (GE) ha diffuso nei giorni scorsi i dati relativi alle esportazioni nel 2013. Secondo le statistiche fornite, i volumi venduti dall’società all’Italia sono stati pari a 24,1 Gmc, in metto aumento rispetto ai 14,3 Gmc del 2012 (+9,6 Gmc) [a 39 MJ/mc]. E nonostante una contrazione assoluta del mercato italiano pari a 4,8 Gmc (-7%).

Si tratta di una crescita molto forte (+68%), imputabile al recupero di volumi sui contratti take-or-pay. L’aumento è stato consentito dalla parallela e temporanea riduzione dei flussi in arrivo dall’Algeria (-8 Gmc), in seguito alle rinegoziazioni dei contratti con Sonatrach, dalla riduzione delle importazioni dal Nord Europa (-1,5 Gmc) e dalla fermata del rigassificatore di Panigaglia (-1 Gmc). Tutte in larga misura operazioni di gestione del portafoglio da parte di Eni.

L’aumento delle vendite di GE non corrisponde tuttavia a un identico aumento delle importazioni dalla Russia. Secondo di dati del MiSE e di SRG, infatti, le importazioni di gas in ingresso al Tarvisio sono sì aumentate, ma “solo” di 6,3 Gmc, passando da 23,3 a 29,6 Gmc (+27%).

La differenza è dovuta al fatto che non tutte le importazioni di gas russo in Italia avvengono direttamente attraverso GE. La provenienza fisica del gas in ingresso al Tarvisio è la Federazione Russa e Gazprom ha il monopolio sulle esportazioni via tubo dal Paese. Lungo il tragitto, tuttavia, parte del gas è ceduto ad altre società.

Incrociando dunque i dati degli ingressi al Tarvisio con quelli diffusi da GE, emerge come nel 2012 il gas contrattualmente appertenente a GE abbia rappresentato il 61% dei volumi di gas russo. Nel 2013, invece, la quota di GE sul gas in ingresso al Tarvisio è cresciuta fino all’81%, spiegando così la cifra record presente nei comunicati ufficiali.

 

L’asse franco-tedesco dell’energia: i dubbi

Le Figaro - Hollande propose un «Airbus franco-allemand de l'énergie»Nella conferanza stampa del 14 gennaio, il Presidente Hollande ha proposto un asse franco-tedesco per l’energia. La StaffettaQuotidiana ha interpretato la proposta come un’alleanza di piccole e medie imprese dei due Paesi, da costruire intorno all’Office franco-allemand pour les énergies renouvelables.

L’Office è una struttura intergovernativa creata l’estate scorsa dagli omologhi Delphine Batho e Peter Altmaier, in realtà poco più di un’esperienza simbolica, destinata soprattutto allo scambio di informazioni. Nel frattempo, i due sono stati tra l’altro sostituti da Philippe Martin e da Barbara Hendricks e non si sono registrati particolari passi avanti.

In più, secondo Reuters, EDF e E.On non sarebbero stati ufficialmente interpellati da parte dell’Eliseo sull’iniziativa ipotizzata da Hollande. A riprova del fatto che se qualcosa si sta muovendo, non riguarda (almeno ufficialmente) i giganti.

Eppure Le Figaro ricorda la cooperazione tra Framatom e Simens per la realizzazione del reattore EPR e si interroga sulla reale portata delle dichiarazioni di Hollande. D’altronde, coi suoi 56 miliardi di fatturato, Airbus è senza dubbio un termine di paragone piuttosto ambizioso.

Qualche chiarimento dovrebbe arrivare il 19 febbraio, in occasione del prossimo Consiglio dei ministri franco-tedesco. Quando si capirà se Hollande ha lanciato un ballon d’essai o se ha fatto riferimento a un progetto più avanzato. Intanto, purtroppo una cosa è certa: l’Italia continua a non essere un partner attraente.

Hollande: un asse franco-tedesco nell’energia

François Hollande - Ouverture de la conférence de presse du président de la République au Palais de l’Élysée le 14 janvier 2014«Dobbiamo coordinarci per la transizione energetica. Questa è una grande scommessa per l’Europa. Ma noi, la Francia e la Germania, dobbiamo dare l’esempio […] nella costituzione delle filiere industriali comuni per la transizione energetica.

Siamo molto fieri dei risultati di Airbus, una grande impresa franco-tedesca […]. L’idea è quella di fare una grande impresa franco-tedesca per la transizione energetica».

C’è molta retorica nelle parole di Hollande, ma il progetto politico è chiaro (leggere o ascoltare per credere): l’integrazione europea deve essere in realtà un’integrazione franco-tedesca, con buona pace dei Paesi periferici.

E il Presidente cita tre punti chiave: stato sociale, difesa e energia. E proprio al modello industriale della difesa (Airbus) guarda la proposta francese: un campione franco-tedesco, tanto grande da puntare a dominare il mercato europeo e competere a livello globale.

E non rischiare noie dalla Commissione europea, che notoriamente ha un’avversione per i campioni nazionali e per uno Stato troppo interventista (invidia…?). Ma che dovrebbe ancora una volta arrendersi di fronte a una volontà comune franco-tedesca.

Nei fatti, è difficile dire a cosa potrebbe portare la proposta. Perché se dal lato francese è naturale guardare a EDF, su quello tedesco la frammentazione tra grandi operatori (E.on, RWE) e la limitata partecipazione pubblica (in mano a comuni e enti locali, peraltro) rendono davvero difficile trovare un referente. E immaginare uno sviluppo industriale a breve.

Eppure Hollande ha tracciato chiaramente una linea e ha toccato (direttamente o indirettamente) alcuni punti chiave per il governo tedesco: la transizione energetica, lo sviluppo di una filiera industriale di scala credibile, la difesa dei sussidi agli energivori di fronte agli obiettivi ambientali (e alle audaci iniziative del Parlamento europeo).

Se si andrà in quella direzione, l’effetto sarà un’ulteriore marginalizzazione dell’Italia, ridotta ancora di più a mercato finale dove esportare tecnologia. E degli operatori italiani, ai quali si è impunemente impedito l’ingresso in grande stile su alcuni mercati e che certo non avrebbero vita facile a competere con una crescente ingerenza pubblica franco-tedesca.

Insomma, anche se per ora non stiamo parlando di fusioni in vista, il cuore del messaggio è chiaro: finché si tratta di imporre la concorrenza sui mercati periferici (e noi lo siamo, uh se lo siamo), tutti europeisti. Ma quando si tratta fare politica industriale, c’è chi sembra avere le idee molto chiare. Se a Roma c’è un governo, batta un colpo.

L’Europa e l’energia nel 2014

AgiEnergia - L’Europa e l’energia nel 2014Nuovo anno, sfide vecchie: proseguire l’interconnessione e l’integrazione dei mercati europei, conciliare l’efficienza economica e i (bizzarri) obiettivi di politica ambientale, gestire il cambiento di paradigma nella sussidiazione delle rinnovabili.

Il tutto, con un’elezione del Parlamento europeo in mezzo (maggio) e la nomina di una nuova Commissione (nei mesi successivi). Sul tema, segnalo un’interessante analisi di Luigi De Paoli pubblicata su AgiEnergia: L’Europa e l’energia nel 2014.

La presenza cinese nel settore energetico ucraino

Interscambio Ucraina-Cina (merci, mld dollari, UNCTAD) (2002-2012)La partita del settore energetico ucraino ha visto negli ultimi anni un crescente coinvolgimento del governo cinese, che senza clamore mediatico e sotto lo sguardo attento di Mosca sta ampliando la propria presenza in Ucraina.

Secondo quanto riportato da fonti ufficiali, nel dicembre 2012 la China Development Bank Corporation ha aperto una linea di credito a Naftogaz per 3,7 miliardi di dollari per un programma di produzione di gas da carbone. L’avvio della costruzione dell’impianto necessario è previsto per settembre di quest’anno.

L’impianto dovrebbe consentire la produzione di 4 Gmc all’anno di gas sintetico, assorbendo circa 10 milioni di tonnellate di carbone, di cui l’Ucraina è un grande produttore, soprattutto nella regione orientale (e più filorussa) del Paese. Il costo di produzione dichiarato sarebbe di 225-230 dollari ogni mille metri cubi.

L’accordo col governo di Pechino prevede naturalmente un grande coinvolgimento industriale cinese: la tecnologia per la produzione dell’impianto sarà fornita dalla Wuhuan Engineering, una sussidiaria della China National Chemical Engineering Corporation.

La presenza cinese non è certo una novità per il settore industriale ucraino, ma la crescita dell’interscambio tra i due Paesi, il raffreddamento delle relazioni con l’Europa e il buon andamento delle relazioni russo-cinesi potrebbero aprire la strada a nuovi sviluppi.

Per approfondire: il foglio elettronico coi dati realtivi all’interscambio commerciale tra Ucraina e Cina.

Ucraina e Russia: la rinegoziazione permanente

FT - Ukraine: a $15bn game of chickenIl governo ucraino e quello russo hanno chiuso a dicembre un’intesa che ha previsto l’acquisto da parte di Mosca di 15 miliardi di dollari di debito pubblico di Kiev e un sostanzioso sconto sul prezzo delle forniture del gas, sceso da 400 a 268,5 dollardi ogni mille metri cubi. Peraltro, il prezzo originale era già stato in parte ritoccato in base agli accordi per l’ancoraggio della flotta del Mar Nero.

Uno degli aspetti più interessanti dell’intesa è la struttura delle scadenze che crea. Per quanto riguarda il debito pubblico, è già stato reso noto che almeno 3 dei 15 miliardi saranno su bond a scandenza 24 mesi: questo significa che Yanukovich dovrebbe avere una finestra temporale abbastanza lunga da arrivare fino alle elezioni di febbraio 2015, lasciando però al vincitore delle elezioni l’onere di discutere con Mosca le condizioni di un eventuale rinnovo.

Ancora più interessante il caso degli sconti sul gas: i prezzi dovrebbero essere rivisti entro la prima decade di ogni trimestre, lasciando di fatto nelle mani del governo russo un’importante leva negoziale. Si tratta di una scelta razionale, vista l’incertezza della situazione politica ucraina, che riduce i margini di manovra per Naftogaz e il governo di Kiev.

Nel complesso, la situazione non solo vede il governo russo in una posizione di forza, ma gli consente di utilizzare il sistema di scadenza per mantere la disciplina nel proprio alleato. E crea le condizioni per una lenta transizione, che potrebbe portare senza scossoni all’inclusione dell’Ucraina nell’accordo doganale eurasiatico e a un passaggio della rete ucraina sotto il controllo diretto di Gazprom (modello bielorusso).