Gas siriano? Arriva Soyuzneftegaz

FT - Russia advances into the MediterraneanLa Russia prosegue il consolidamento della propria posizione nell’area mediorientale. E lo fa sfruttando il proprio rapporto speciale con il governo siriano, sopravvissuto alle ribellioni e alle minacce statunitensi proprio grazie all’intervento di Mosca.

Nei giorni scorsi Soyuzneftegaz ha siglato un contratto per i diritti esclusivi di esplorazione per 2.190 kmq nelle acque territoriali siriane, per 25 anni. Si tratta del primo contratto in assoluto per l’esplorazione della sezione siriana del Bacino del Levante.

La consistenza delle riserve siriane offshore è ignota, ma sotto le acque di Israele, Libano e Cipro si trovano riserve di gas per oltre 1.000 Gmc. È altamente probabile che anche la sezione siriana contenga riserve rilevanti, che si andranno a sommare alle modeste riserve onshore (285 Gmc).

Soyuzneftegaz, controllata dalla Banca Centrale russa, investirà 100 milioni di dollari nelle operazioni. Il governo russo sta così capitalizzando i propri rapporti con Damasco, allargando le prospettive della propria presenza economica nell’area.

In un contesto altamente instabile e rischioso, gli operatori russi possono infatti godere dell’efficace azione diplomatica russa e di un rischio politico più contenuto rispetto ai concorrenti, almeno fintanto che Mosca continuerà a godere dell’ampia liquidità dovuta alle alte quotazioni del greggio.

A differenza soprattutto degli operatori occidentali, quelli russi possono inoltre puntare a una penetrazione dei mercati mediorientali, la cui domanda energetica è in rapida espansione.

L’impatto sui mercati internazionali della maggiore presenza russa nell’upstream mediorientale potrebbe essere nel complesso positivo. L’azione politico-economica russa potrebbe infatti sviluppare capacità produttiva che in alternativa resterebbe sottoutilizzata.

In questo modo si darebbe un contributo allo sviluppo economico della regione. Inoltre, se la produzione russa si espandesse significativamente, si libererebbero volumi per soddisfare la domanda internazionale, sempre più grande e sempre più asiatica. Con effetti positivi sui mercati internazionali.

Aggiornamento: la notizia è ripresa con qualche dettaglio in più su Natural Gas Europe.

La Turchia e la sicurezza energetica europea

Energy, Turkey, the EU, the Adriatic basinSegnalo tre contributi molto interessanti pubblicati dallo IAI sulla Turchia e collegati al suo ruolo nella sicurezza energetica europea:

Sebbene sia a questo punto chiaro che le prospettive di accesso della Turchia all’UE siano le medesime dell’Ucraina, la cooperazione tra Ankara e i governi europei è quantomai importante per lo sviluppo del sistema infrastrutturale europeo.
Non bisogna tuttavia sopravvalutare il ruolo della Turchia: per quanto importante, nei prossimi decenni difficilmente dal Paese transiterà più del 5% dei consumi europei di gas (20-25 Gmc/a), ossia meno che dalla Tunisia. E anche qualora le più rosee aspettative dovessero realizzarsi, si arriverebbe al massimo al 10%.

Inoltre, la Turchia rappresenta anche un grande importatore di gas (46 Gmc nel 2012) e ha interessi convergenti rispetto ai consumatori europei quando si tratta della maggiore minaccia alla sicurezza energetica, ossia la stabilità dei Paesi produttori.

Diversa la questione quando si tratta di costi di realizzazione delle infrastrutture e di tariffe per il trasporto. Per questo, però, ai governi europei conviene essere coerenti con le scelte di fondo di politica economica degli ultimi decenni e lasciare che a occuparsi in prima linea della questione siano gli operatori.

Chi nelle diverse istituzioni sostiene il contrario ha probabilmente un forte interesse a usare la sicurezza energetica come pretesto per perseguire altri fini, sia nel dossier ucraino sia in quello turco.

Kiev: ok il prezzo è giusto!

Russia closes $3 billion Eurobond deal for UkrainePer chi avesse ancora qualche dubbio sulla portata del riavvicinamento tra l’Ucraina di Yanukovich e la Russia, sono trapelati nei giorni scorsi i termini degli accordi economici raggiunti tra i due Paesi.

La Russia sta acquistando quantità crescenti di debito pubblico di Kiev: 3 miliardi di dollari di buoni non vendibili con scandenza due anni subito. A cui seguiranno altri 12 miliardi nei prossimi mesi.

Ossigeno per le casse pubbliche ucraine, a cui si somma un altro importantissimo aiuto. La Russia sconterà le proprie forniture di gas naturale: da 400 a 268,5 dollari ogni mille metri cubi (-33%).

Non sono al momento chiari i quantitativi di riferimento e né il periodo di validità del nuovo prezzo (e in partticolare se sia retroattivo). Per avere una misura del possibile sconto, basta in ogni caso considerare che l’Ucraina importa dalla Russia almeno 30 Gmc/a. Con il prezzo vecchio, il controvalore massimo sarebbe di 12 miliardi di dollari. Con il prezzo nuovo, circa 8, con uno sconto di 4 miliardi di dollari all’anno.

Un sussidio importante per l’Ucraina, in grado di ridurre di oltre un quarto il passivo di bilancia commerciale di merci di Kiev. Un “alleggerimento” strutturale per l’economia ucraina, fondamentale per fronteggiare la crisi ed evitare un avvitamento del debole settore industriale del Paese.

Per la Russia, si tratta di un costoso ma importante passo avanti nel consolidamento della propria influenza nello spazio post-sovietico. Per quanto riguarda le infrastrutture energetiche, le ricadute potrebbero essere importanti nei prossimi anni.

Se – come probabile – il governo ucraino dovesse infatti trovarsi in difficoltà al momento del riborso del debito, il governo russo potrebbe facilmente chiedere come contropartita la proprietà di Naftogaz o di parte della sua rete. Ripristinando definitivamente il controllo di Gazprom su tutte le infrastrutture di esportazione del gas in UE. E mettendo in dubbio l’utilità della costruzione di South Stream.

Aggiornamento: il nuovo prezzo delle forniture russe sarà in vigore dal 1° gennaio 2014.

L’offensiva russa

FT - Russia targets EU in WTO suit over energy policyLa Federazione Russa ha richiesto una consultazione formale con l’UE per violazione degli accordi del WTO.

Il governo russo contesta alla controparte europea di aver penalizzato alcune aziende russe come misura anti-dumping, in particolare nei settori dei fertilizzanti, dei tubi di acciaio e della produzione di acciaio e alluminio.

La misure sono state adottate da Bruxelles sulla base del costo ridotto dell’energia di cui godono le aziende russe, grazie alle politiche industriali di Mosca.

Il contenzioso è una risposta ai dazi imposti dalla Russia ai veicoli stranieri. Quest’ultima è ufficialmente una misura di protezione ambientale, ma secondo le accuse della Commissione sarebbe in realtà una misura di protezionismo a favore delle aziende russe.

Ora le parti hanno 60 giorni per dirimere la questione in modo bilaterale. In caso di insuccesso, il caso sarà portato davanti a un panel creato dal WTO per giudicare sulla questione.

La mossa russa rientra nel quadro della più ampia contrapposizione con la Commissione Europea, sia per la questione ucraina sia per la questione del ruolo di Gazprom nel mercato europeo.

Restano infatti pendenti sia il dossier relativo all’abuso di posizione dominante e alla restrizione della concorrenza in Europa Orientale, sia la questione dei procedimenti autorizzativi di South Stream.

La visita del presidente Putin di fine gennaio si preannuncia ricca di impegni.

L’inevitabile multipolarismo

I primi dieci produttori mondiali di petrolioSi chiude l’anno e come sempre l’imminente cambio di data offre la scusa per fare qualche riflessione sul futuro. La previsione è facile: il 2014 sembra destinato a proseguire la tendenza verso un assetto multipolare del sistema internazionale.

Chiaro, il superamento dell’unicità statunitense non è cosa dell’anno che viene. E nemmeno del decennio in corso. È però una traiettoria inevitabile: il sistema internazionale non sembra amare le situazioni di squilibirio e difficilmente farà eccezione per lo zio Sam.

Che poi, il multipolarismo cos’è? La coesistenza di tre o più grandi potenze in grado di perseguire autonomamente un’agenda a livello internazionale. Anche se con gradi diversi a seconda dei contesti regionali (la geopolitica non è solo il regno dei ciarlatani), il numero di attori in grado di contrapporsi agli interessi statunitensi è in aumento.

Le ricadute sui mercati dell’energia sono difficilmente prevedibili. I grandi mercati globali, tra cui quello petrolifero, si sono sviluppati grazie all’interesse degli Stati Uniti. Il loro relativo indebolimento non corrisponde però necessariamente al venir meno delle condizioni di funzionamento dei mercati globali, perché anche per gli attori emergenti rappresentano una modalità di approvvigionamento efficiente.

In questo contesto, la posizione dei produttori petroliferi (e in misura minore, di gas) è più forte. Perché come l’aumento del numero di produttori aumenta la sicurezza delle forniture, così  un moltiplicarsi dei consumatori offre maggiori garanzie che la produzione trovi un mercato.

Diverso è invece il discorso delle dinamiche complessive di prezzo e della preoccupante dipendenza di molti Paesi produttori da alte quotazioni del greggio. Per i governi che fanno spesa pubblica soprattutto grazie alle rendite petrolifere, una contrazione delle quotazioni può infatti voler dire instabilità.

Forse di questo fenomeno troveremo qualche esempio nel 2014.

Gas Politics After Ukraine

Brenda Shaffer - Gas Politics After Ukraine. Azerbaijan, Shah Deniz, and Europe's Newest Energy Partner Segnalo un’analisi di Brenda Shaffer pubblicata su Foreign Affairs col titolo Gas Politics After Ukraine. Azerbaijan, Shah Deniz, and Europe’s Newest Energy Partner.

La firma è di livello, ma il pezzo ha parecchi limiti: il contributo statunitense (a differenza del BTC) è stato marginale mentre la funzione principale delle istituzioni europee è stata quella di fare schiamazzo mentre le compagnie e i governi facevano il lavoro. Washington dista quasi 10.000 km, e si sentono tutti.

Un passaggio brilla poi per indifferenza rispetto alla realtà: nonostante abbia indicato che il gas azerbaigiano darà un contributo modesto in termini di volumi, si lascia andare a scrivere che «[the] interconnecting gas pipelines in Europe, filled with Azerbaijani gas, will ensure that Russia can no longer switch off the heat in eastern Europe and the Caucasus on a whim».

A quanto pare, l’idea che Gazprom voglia e soprattutto possa davvero tagliare le forniture ai propri clienti in Europa per oscuri ricatti politici va ancora di moda. Ma forse qui siamo nel reame del giudizio di valore (e mi taccio).

Per quanto riguarda però il Caucaso, è da un po’ che la Russia ha smesso di esportare gas in Georgia (almeno, nella parte non occupata). Quanto poi alla distanza che separa la Bulgaria dalla Slovacchia e dalle Repubbliche del Baltico, rimando invece a Google Maps