Shah Deniz II: firmata la decisione finale d’investimento

ZOOM - Shah Deniz - nuova composizione azionaria (2014)Oggi i soci del consorzio Shah Deniz hanno firmato la decisione finale d’investimento relativa alla seconda fase, quella che fornirà il gas naturale destinato a raggiungere il mercato italiano.

L’investimento riguarda le attività di produzione e l’estensione del South Caucasus Pipeline fino al confine tra Georgia e Turchia, per una spesa preventivata in 28 miliardi di dollari. La nuova produzione attesa è di 16 Gmc/a, di cui 6 destinati alla Turchia, 1 alla Grecia, 1 alla Bulgaria e 8 all’Italia.

La decisione finale d’investimento era attesa da mesi ed era stata posticipata più volte a causa negoziazioni tra i soci sull’investimento, con contrapposizioni in particolare tra la compagnia di stato azerbaigiana Socar e l’operatore del consorzio, la britannica BP.

A sorpresa, cambia la composizione azionaria: dal 2014, Statoil scenderà dal 25,5% al 15,5%, incassando 1,45 miliardi di dollari. A salire sarà la partecipazione di BP (al 28,8%) e quella di Socar (al 16,7%). Le altre quote restano invece invariate: Total (10%), Lukoil (10%), NICO (10%), TPAO (9%).

In seguito alla firma di oggi vengono meno tutte le incertezze relative al progetto e si attendono ora le (inevitabili) decisioni finali d’investimento relative a TANAP e TAP. Restano ora sul tavolo solo i dubbi relativi all’effettiva tempistica di arrivo sul mercato italiano: ufficialmente il 2019, probabilmente il 2020.

Aggionamento: secondo quanto riportato da FT, Statoil e Total si sono tirate indietro dal progetto TANAP, nel quale avrebbero dovuto rilevare quote pari rispettivamente al 12% e al 5%. L’accordo finale sulle quote non è ancora stato raggiunto, ma il governo azerbaigiano dovrebbe in ogni caso mantenere una quota di almeno il 51%.

Azerbaigian, energia per l’Europa

Carlo Frappi e Matteo Verda - Azerbaigian, energia per l'Europa Storia, economia e geopolitica degli idrocarburi del CaspioLa storia dell’Azerbaigian è da sempre collegata alle ricche ricchezze del suo sottosuolo: dagli adoratori dei fuochi eterni fino al boom petrolifero di fine Ottocento, dal contributo determinante allo sforzo bellico sovietico fino alla ritrovata indipendenza.

Il settore petrolifero è anche alla base dello sviluppo economico dell’Azerbaigian indipendente. Dopo la decisione strategica degli anni Novanta di aprire le riserve del Caspio alle compagnie internazionali, l’Azerbaigian ha raccolto i ricchi divivendi delle esportazioni, divendando il Paese più ricco del Caucaso e creando un fondo sovrano da 34 miliardi di dollari.

L’Azerbaigian è però anche un Paese dalla difficile geografia: privo di accessi al mare aperto, dipende dai Paesi confinanti per raggiungere i mercati internazionali. Intorno a questa priorità si è sviluppata la politica estera del Paese negli ultimi due decenni, dalla costruzione dell’oleodotto BTC fino al progetto dei gasdotti TANAP e TAP, destinato a portare il gas naturale fino all’Italia.

Il volume ricostruisce la storia del settore energetico azerbaigiano (capitolo 1, di Carlo Frappi), analizza gli attuali sviluppi economici e infrastrutturali (capitolo 2, di Matteo Verda) e affronta infine l’evoluzione dei rapporti coi Paesi e le istituzioni europei (capitolo 3, a quattro mani). Il lavoro comprende una prefazione di un testimone d’eccezione, Massimo Nicolazzi.


Disponibili per il download dal sito dell’editore:


Carlo Frappi e Matteo Verda
Azerbaigian, energia per l’Europa. Storia, economia e geopolitica degli idrocarburi del Caspio
Egea, 2013, 168 pp.
ISBN/EAN: 978-88-23844-124 (cartaceo)
Scheda dell’editore
Scheda su Amazon.it
Servizio Bibliotecario Nazionale

Da Baku ai Pirenei

Da Baku ai Pirenei. Azerbaigian, energia per l’Europa«Aereo aziendale. C’era in vendita un pezzo di Contratto del Secolo. Petrolio. I giacimenti di Azeri-Chirag-Guneshli. E noi due si andava a vedere. Caricati in auto ancora sulla pista. Poi la strada. Subito visioni. Pezzi e spettri di derricks a perdita d’occhio. E jacks ovunque. Non una discarica. Piuttosto un cimitero. Con la terra impregnata di bitume a segnare lo spazio. Eppur si muove. Qualche jack, qua e là, scuoteva la testa. Pompava ancora. C’era ancora petrolio. E dunque vita. Benvenuto nella terra degli adoratori del fuoco. E poi di Nobel e Rothschild. E poi di Stalin che comincia; e di Hitler che non riuscendo ad arrivarci finisce. Fino in città, dovunque ti giri è petrolio; o comunque sua memoria. E suo odore. Come se non avesse distrutto la natura. Ma ci fosse già prima. Per chi faceva il mestiere del petrolio era giusto odore di Terra Promessa».

Continua su Limes la prefazione di Massimo Nicolazzi al nuovo libro di Carlo Frappi e mio, Azerbaigian, energia per l’Europa. Storia, economia e geopolitica degli idrocarburi del Caspio.

Quanto è lontano il Levante

Quanto è lontano il LevanteLo sfruttamento del gas presente nei giacimenti del Mediterraneo orientale è una questione complessa e piuttosto delicata. La coltivazione di giacimenti sottomarini e la costruzione di infrastrutture di esportazione richiedono infatti grandi investimenti (nell’ordine dei miliardi di dollari), che gli operatori internazionali e gli istituti di credito sono pronti a fare solo se esiste una ragionevole certezza che i rischi di natura politica – se non direttamente militare – non siano troppo alti.

Partendo da queste premesse, difficilmente può venire in mente un posto peggiore delle coste orientali del Mediterraneo.

Tuttavia, trattandosi di giacimenti in mare, diversi operatori hanno deciso di accettare la sfida e avviare le operazioni di espolorazione e di estrazione. Il giacimento Tamar (250 Gmc; fonte: BMI) è già in produzione e arriverà a regime (4 Gmc/a) nel 2017, anno in cui dovrebbe anche inziare la produzione di Leviathan (530 Gmc; 16 Gmc/a). Gli altri giacimenti sono invece di piccole dimensioni oppure sono in fase di prospezione.

In totale, nel corso del decennio si avrà realisticammente una produzione non oltre i 20 Gmc/a, di cui il 40% deve andare per legge al mercato interno israeliano. Si parla dunque al massimo di 12 Gmc/a disponibili per l’esportazione in tempi relativamente certi.

Anche al netto dei problemi politici di definire una rotta (Turchia? Cipro?), non ci sono al momento i presupposti per avere un volume di esportazione tale da ripagare l’investimento di una condotta sottomarina (le stime arrivano a oltre 20 miliardi di dollari).

Molto più fattibile invece l’ipotesi di costruire un terminale di liquefazione (galleggiante o a terrra), che tra l’altro consentirebbe di dirigere i carichi sui mercati più remunerativi, ossia tendenzialmente su quelli asiatici, ma senza rinunciare a ogni altra opzione, Europa inclusa: a decidere è il prezzo (che peraltro attualmente si aggira intorno ai 40 centesimi di dollaro al metro cubo). Per gli operatori, in ogni caso la priorità resta  quella di coprire gli investimenti.

Si arriva così a un punto delicato: sebbene qualcuno sostenga il contrario, le eventuali esportazioni del gas del Mediterraneo Orientale verso i mercati europei avrebbero un impatto marginale (per non dire nullo). A fronte di importazioni attuali di 300 Gmc/a e attese a 350 Gmc/a al 2020 (fonte: IEA), 12 Gmc/a non farebbero di certo la differenza, soprattutto se paragonati con gli oltre 120 Gmc/a russi e i 100 Gmc/a norvegesi.

Nota: per chi volesse approfondire la questione del corridoio mediterraneo orientale, segnalo l’interessante nota di lavoro di Simone Tagliapietra (Towards a New Eastern Mediterranean Energy Corridor?) e la seconda sezione del Focus Sicurezza Energetica, a cura di Carlo Frappi.

Aggiornamento: John Roberts suggerisce anche la possibilità di utilizzare la tecnologica di compressione del gas senza liquefazione.

Focus sicurezza energetica – Q2 2013

Focus Sicurezza Energetica - Q2 2013È stato reso pubblico il focus sulla sicurezza energetica relativo al periodo luglio/settembre 2013 realizzato per l’Osservatorio di Politica Internazionale (Senato, Camera e MAE).

Il primo capitolo del Focus è dedicato all’analisi del fabbisogno di gas nei principali mercati europei, con specifico riferimento al difficile contesto della generazione termoelettrica da gas e alla composizione dell’approvvigionamento di gas dei principali Paesi europei.

Il secondo capitolo è invece dedicato all’offerta e, nello specifico, alle politiche dei Paesi produttori di gas naturale e dei Paesi di transito dei gasdotti attualmente in funzione o in fase di progettazione/realizzazione. Ai recenti sviluppi del sistema di infrastrutture di trasporto e alle prospettive di realizzazione di nuovi progetti è poi dedicato il terzo capitolo.

Infine è presente un approfondimento di Veronica Venturini dedicato alla Lisbon Stratergy e alla valutazione in itinere del raggiungimento degli obiettivi 20-20-20.

Ecco rischi e priorità della politica energetica italiana

Ecco rischi e priorità della politica energetica italianaFormiche ha pubblicato un estratto a mia firma dal rapporto “La visione strategica della leadership italiana”, a cura dell’Istituto Machiavelli e dell’Ispo, che sarà presentato il 10 dicembre all’Hotel Jumeirah, a Roma.

L’Italia è storicamente un grande importatore di energia. Le poche riserve di combustibili fossili e i limiti tecnologici allo sviluppo delle rinnovabili hanno infatti obbligato gli operatori nazionali a rivolgersi all’estero per soddisfare il crescente fabbisogno energetico che ha caratterizzato l’economia italiana tra il dopoguerra e gli anni Settanta. Dopo la traumatica esperienza dell’autarchia, l’accesso ai mercati internazionali ha così rappresentato un elemento essenziale dello sviluppo economico e sociale del Paese.
Anche nei decenni successivi, caratterizzati da tassi di crescita dei consumi inferiori, il ricorso alle importazioni ha in ogni caso rappresentato l’unico modo per avere accesso a quantitativi sufficienti di energia a prezzi economicamente sostenibili. I consumi energetici sono così potuti crescere in modo quasi ininterrotto fino a metà degli anni Duemila.

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