Chi ha paura delle materie prime in calo?

INGRANDISCI - Andamento dei prezzi delle materie prime (fonte: IMF)Segnalo una breve e interessante analisi di Markus Jaeger (DB) su vincitori e perdenti tra i Paesi emergenti di una riduzione dei prezzi delle materie prime.

L’analisi parte dalla considerazione che il diffuso processo di industrializzazione ha negli ultimi anni spinto verso l’alto le quotazioni delle materie prime, energetiche e non, necessarie a sostenere consumi crescenti.

La tendenza è data per acquisita, ma nell’ipotesi di prezzi in discesa, chi sarebbe a beneficiarne? Jaeger indica Turchia e Corea del Sud tra i grandi vincitori, avvantaggiati soprattutto sul fronte del costo dell’energia.

Tra i perdenti ci sarebbero invece Indonesia, Brasile, Sudafrica, ma soprattutto Russia. Perché se l’energia pesa sulla crescita degli importatori, nell’ultimo decennio è stata anche il vero motore dell’ecnonomia russa.

INGRANDISCI - Esportazioni nette di materie prime (fonte: WTO e DB)Secondo DB, agli attuali livelli di prezzo del greggio, la Russia sarà in attivo di partite correnti anche nel 2013-2014. Senza la componente energetica, il passivo sarebbe pari al 15% del PIL. Assumento la domanda di importazione come stabile, con quotazioni intorno agli 80 dollari al barile, il passivo (energia inclusa) sarebbe il 3% del PIL.

Senza il gettito delle materie prime energetiche, il bilancio pubblico russo sarebbe oggi in passivo del 10% del PIL. Tuttavia, in caso di calo dei prezzi delle materie prime, la situazione russa non sarebbe drammatica: le metriche di finanza pubblica russa sono ottime. Grandi riserve di valuta (500 miliardi di dollari) e bassissimo indebitamento (12%) lasciano ampi margini di manovra.

La situazione sarebbe critica solo in caso di calo drastico e prolungato, tale dal imporre correzioni strutturali alla spesa pubblica russa. Ma in un contesto del genere, le difficoltà della Russia sarebbero forse il meno, perché probabilmente saremmo nel mezzo di una pesante recessione globale.

 

Kashagan, arrivano i cinesi

CNPC to take $5bn stake in Kashagan oilfieldProsegue senza sosta la penetrazione cinese in Asia Centrale. Questa volta si tratta di Kashagan, il giacimento gigante nelle acque kazake del Caspio. Dopo oltre un decennio di lavori e contrattempi, finalmente quest’anno sono state avviate le attività di produzione.

Il giacimento è sfruttato dalla North Caspian Operating Company, di cui fanno parte Eni, Shell, Total, ExxonMobil, KazMunayGas (16,81% ciascuna) e Inpex (7,56%). A queste compagnie si aggiungeva ConocoPhillips (8,39%), che però ha scelto di monetizzare la propria partecipazione.

All’acquisto era interessata la compagnia indiana ONGC Videsh per 5 miliardi di dollari, ma la compagnia di stato kazaka Kazmunaygas ha esercitato il proprio diritto di prelazione. Un duro colpo per gli indiani, sempre in cerca di nuove riserve.

Ma non è finita qui. Perché Kazmunaygas ha subito dopo annunciato di voler cedere la quota (facendo margine) alla compagnia di stato cinese CNPC. La scelta rafforza il legame tra Astana e Pechino, dopo i numerosi accordi, tra cui quello che ha portato alla realizzazione della Central Asia China Pipeline, che porta il gas turkmeno verso Oriente.

Che un quantitativo crescente di idrocarburi stiano prendendo la via dell’Oriente preoccupa molti, tra cui gli azerbaigiani, che dovrebbero in ogni caso veder transitare dai propri terminali (e poi attraverso la BTC) almeno parte del petrolio di Kashagan (Kazakh Caspian Transportation System). Eni e Shell seguono il vento e stanno negoziando per vendere la propria parte di produzione alle raffinerie cinesi.

Di certo l’avanzata cinese allontana sempre di più l’ipotesi che il gas centrasiatico possa prendere la via dell’Occidente. Il gas azerbaigiano sarà probabilmente l’unico del Caspio a raggiungere in quantità significative i mercati europei. Ma più che di geopolitica, si tratta di economia.

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Aggiornamento: qualcuno mi ha fatto notare che forse ho guardato troppo alle cartine e troppo poco alle figure. Perché più che di un risiko fatto di tubi si tratta di aritmetica dei consumi e degli investimenti: il petrolio kazako prende la via della Cina perché laggiù c’è la domanda presente e futura per quel greggio, a prescindere dalla partecipazione cinese in NCOC.

Variazione dei consumi petroliferi (Mt - dati IEA)

C’è poi da considerare il fattore della capacità di raffinazione: per portare il petrolio ai clienti finali (e paganti), occorre raffinarlo dove conviene di più, per tecnologia e vicinanza ai mercati. E anche in questo caso, i cinesi si stanno attrezzando da tempo.

Aggiornamento: sul tema della raffinazione, segnalo il numero 22 – giugno 2013 di Oil Magazine.

Wheel of Fortune: The Battle for Oil and Power in Russia

Wheel of Fortune: The Battle for Oil and Power in RussiaIl petrolio russo non solo rappresenta una parte importante degli equilibri energetici mondiali, ma è anche uno dei più delicati elementi dell’equilibrio politico russo nell’epoca post-sovietica.

Il massiccio libro di Gustafson è una guida perfetta per capire gli intrecci tra l’eredità sovietica, la rapida evoluzione del sistema politico, il ruolo delle compagnie straniere. Su questo sfondo, l’autore ricostruisce puntualmente le mosse degli attori che hanno attraversato il declino e la rinascita dell’industria del gas e petrolio russa, da Putin a Sechin, Khodorkovski, Alekperov, Bogdanov, Miller, Bogdanchikov, solo per citarne alcuni.

Una lettura davvero piacevole, perché all’alto contenuto informativo abbina una scrittura godibile e un dosato ricorso ad aneddoti interessanti. Frutto di anni di ricerca e di presenza sul campo, il libro è una lettura obbligata per chiunque si interessi di Russia post-sovietica o di energia, ma soprattutto per chiunque voglia capire qualcosa di più del futuro della Russia e delle sfide che dovrà affrontare.


Thane Gustafson
Wheel of Fortune: The Battle for Oil and Power in Russia
The Belknap Press, 2012, 662 pp.
ISBN/EAN: 978-0-674-06647-2 (cartaceo)
Scheda dell’editore
Scheda su Amazon.it
Servizio Bibliotecario Nazionale

Energy and Politics: Behind the Scenes of the Nabucco-TAP Competition

Nicolò Sartori - Energy and Politics: Behind the Scenes of the Nabucco-TAP CompetitionSegnalo un interessante paper di Nicolò Sartori sul tema del Corridoio merdionale e sulla vittoria di TAP nella competizione con Nabucco West Energy and Politics: Behind the Scenes of the Nabucco-TAP Competition.

Particolarmente convincente una delle considerazioni finali «if the focus moves […] to the specific objectives pursued by the Commission over the last decade, then the final response represents a clear policy failure».

Un fallimento che però è stato anche un successo per l’Italia, a ricordarci (aggiungo io) che non tutte le preferenze delle istituzioni europee sono positive per la sicurezza energetica nazionale.

Il gas iraniano dovrà attendere

Iran’s gas exports: can past failure become future success?Come sarebbe il mercato mondiale del gas con una Russia in più? Questa è la domanda da porsi guardando al settore energetico iraniano: 36.000 miliardi di metri cubi di riserve (18% del totale) praticamente assenti dal mercato a causa dell’isolamento del Paese.

A poco valgono gli annunci del ministro del petrolio Rostam Qasem circa gli sviluppi autarchici dell’industria iraniana. Nonostante le potenzialità, occorreranno diversi decenni prima che l’Iran possa essere un attore rilevante del mercato del gas mondiale. A spiegarne bene le ragioni è un paper per lo IES di David Ramin Jalilvand, Iran’s gas exports: can past failure become future success?.

Il lavoro ricostruisce bene la situazione iraniana e descrive i fattori che ostacolano lo sviluppo del settore gas nel Paese: la politica economica frammentata che rende difficile definire le priorità di investimento, i forti sussidi ai consumi interni (il gas è usato anche per il trasporto) che rendono molto impopolare ogni misura di razionalizzazione, la chiusura agli operatori internazionali, un processo politico caotico che rende difficile individuare e implementare strategie di esportazione.

Nonostante le difficoltà, le esportazioni di gas nel prossimo decennio potrebbero aumentare, ma occorrerà molto tempo prima che gli effetti raggiungano i mercati internazionali. Jalilvand giudica infatti molto improbabile che l’Iran possa diventare un grande esportatore (oltre 50 Gmc all’anno) prima degli anni 2030.

Nondimeno, è possibile che alcuni piani di sviluppo si concretizzino per la metà del prossimo decennio. In particolare, potrebbero aumentare le esportazioni verso la Turchia ( a 10 Gmc/a), l’Armenia (da 0,5 a 2,3 Gmc/a) e l’exclave azerbaigiana del Nakhchivan (da 0,3 a 0,5 Gmc/a). Inoltre, potrebbero aprirsi nuovi canali di esportazione verso il Pakistan (8 Gmc/a) e l’Iraq (7,3-9,1 Gmc/a).