Il TAP, visto da oriente

Saluti da BakuLa vittoria del TAP, arrivata a fine giugno, è stata favorita dai fondamentali economici: un investimento più leggero, un mercato finale più grande e un maggiore interesse da parte di parecchi operatori non azionisti dell’infrastruttura.

Presa la decisione, la questione ora sembra essere la tempistica. Ufficialmente il gasdotto dovrebbe essere operativo nel 2019, ma è probabile uno slittamento di almeno un paio di anni, per dare il tempo al mercato italiano (e a quello europeo) di superare la crisi.

Difficile invece vedere motivo di reale preoccupazione nelle parole di Maria van der Hoeven, direttore della IEA, riportate in un’intervista al Sole24Ore. Van der Hoeven ha sottolineato come la decisione finale di investimento di Shah Deniz 2 non sia ancora stata firmata.

Vero, ma è difficile immaginare che a questo punto le compagnie si tireranno indietro, a cominciare da Socar. La compagnia di Stato azerbaigiana ha infatti investito pesantemente nei progetti di esportazione lungo il Corridoio meridionale: in Turchia (80% di Tanap), in Grecia (acquisendo Desfa) e nel TAP (20%).

Al netto dell’interesse delle altre società (BP acquisirà il 20% di TAP, Total il 10%), difficilmente Socar si sarebbe esposta tanto senza una garanzia circa la buona volontà di propri partners. Peraltro, la determinazione azerbaigiana a portare avanti l’infrastruttura sembra abbastanza solida (anche sul versante finanziario) da lasciare pochi dubbi sul fatto che il gasdotto si farà e il gas arriverà nel giro di un decennio. Con buona pace degli scettici.

ps: saluti da Baku.

Sole24Ore: un po’ di confusione sui gasdotti

Caso Ablyazov, quando l'ospite inatteso diventa arbitro di governi e contratti energeticiA volte perfino sul Sole 24 Ore si trovano pezzi dai contenuti dubbi, come quello di oggi sul caso Ablyazov e sui rapporti tra l’Italia e il Kazakhstan. Al netto della questione dell’estradizione, il pezzo si chiude con un esempio di fantapolitica energetica condita da un candido disinteresse per i fatti. Introdotto da un accenno di sospetto.

Citando direttamente gli ultimi due capoversi:

Ultima considerazione, solo un indizio. Nell’ultimo Consiglio europeo di fine giugno, il premier Enrico Letta si è presentato in conferenza stampa sorridente per i risultati del vertice sull’occupazione. A un certo punto, Letta ha srotolato davanti ai giornalisti una mappa del nuovo gasdotto transadriatico Tap che consentirà l’afflusso del gas del Caspio dall’Azerbajan in Italia via Albania e Grecia tagliando fuori la Russia.

L’Italia vorrebbe parteciparvi. Così come voleva stare nel Bleu Stream insieme a Putin ed Erdogan e nel Nabucco a firma senza Putin). Ma il problema è che si tratta di progetti alternativi uno all’altro con impegni geostrategici diversi, spesso contraddittori. Sotto questo profilo il “pasticciaccio kazako” potrebbe anche essere un messaggio russo – via Astana – al nuovo giovane leader italiano per ricordargli, ove se lo fosse dimenticato, quanto permeabile e fragile sia tutto il nostro sistema.

Da dove cominciare? Dunque, l’Italia del TAP è il punto di arrivo: più partecipazione di così non si può. Se poi per Italia si intende Enel, forse è ora di rivedere qualche categoria analitica.

Andiamo avanti: Bleu Stream non esiste. E nel Blue Stream, il gasdotto che va dalla Russia alla Turchia, l’Italia non c’è. Ma Eni c’è, eccome: è socio al 50% con Gazprom.

Per quanto riguarda il Nabucco, il governo italiano non ha mai partecipato, così come non erano coinvolte aziende italiane.

Resta poi un mistero in che modo sarebbero alternativi un gasdotto in fase di costruzione da 10 miliardi di metri cubi (Gmc) che porterà nel 2020 gas azerbaigiano in Italia (TAP), un gasdotto già operativo da un decennio e che porta 16 Gmc all’anno di gas russo dedicato al mercato turco (Blue Stream) e un gasdotto abortito che avrebbe dovuto portare gas mediorientale in Austria.

Forse l’autore aveva in mente South Stream, il progetto russo-italiano-francese-tedesco da 60 Gmc, ma non è dato saperlo. Di certo evocare non meglio definite questioni “geostrategiche” proprio in chiusura non aiuta la comprensione. Meglio però chiarirsi le idee, prima di confonderle ai lettori.

Gazprom aumenta la pressione su Naftogaz

Gazprom: l'Ucraina deve stoccare 19 m.di mcSi fa sempre più difficile la situazione di Naftogaz, la compagnia energetica statale ucraina. Secondo quanto riportato da Snam RG, Gazprom è tornata a fare pressione su Naftogaz affinché acceleri le operazioni di stoccaggio del gas in vista della stagione invernale.

Attraverso la rete ucraina transita ancora oltre metà del gas diretto verso i clienti UE e senza un’adeguata capacità di stoccaggio lungo le linee di esportazione si accresce il rischio di non riuscire a far fronte a eventi eccezionali.

Secondo Gazprom, Naftogaz deve iniettare oltre 19 miliardi di metri cubi entro l’autunno per garantire un livello adeguato e “onorare gli impegni di transito ininterrotto verso l’Europa”.

Per favorire le operazioni, Gazprom ha versato un miliardo di dollari come pagamento anticipato per gli oneri di transito a Naftogaz. In questo modo la società ucraina ha la liquidità per acquistare – sempre dai russi – il gas da stoccare.

La situazione finanziaria di Naftogaz è sempre più complicata: i debiti della società continuano a crescere e le possibilità di ripagarli sono sempre più lontane. Alle inefficienze e alla necessità di crescenti investimenti solo per mantere l’operatività si sommano anche le difficoltà politiche ad aumentare le tariffe ai clienti sul mercato interno.

Considerando la crescente disponibilità di capacità di trasporto attraverso altri gasdotti (Yamal-Europa, Nord Stream), Naftogaz ha perso buona parte della propria capacità di ricatto rispetto a Gazprom ed è dunque probabile che nei prossimi anni si assista a un ingresso russo nell’azionariato della società ucraina, a compensazione dei debiti accumulati.

Il sistema cinese alla sfida del non convenzionale

FT - China set to miss targets for shale gasfield developmentSecondo quanto riportato dal FT, il governo cinese non riuscirà a garantire i livelli di produzione di gas non convenzionale annunciati per il 2015. Si trattava peraltro di livelli tutto sommato contenuti: 6,5 miliardi di metri cubi (Gmc), 2% dei consumi cinesi (statistiche ufficiali, giova ricordare).

La prima ragione del fallimento annunciato è la carenza di tecnologia e soprattutto di capacità operative da parte delle compagnie cinesi. Un secondo fattore sarebbe amministrativo, data la difficoltà di gestire le autorizzazioni per le condotte.

Un terzo fattore è poi direttamente collegato alla natura dello stato cinese: i prezzi del gas sono stabiliti per decreto e sono stati molto bassi negli ultimi anni. Ora è stato annunciato un aumento per i clienti non residenziali del 15%, ma è troppo tardi rispetto ai tempi di sviluppo (inoltre, possono variare arbitrariamente in futuro, anche in base agli obiettivi di inflazione).

Nel 2012 la Cina ha prodotto 0,5 Gmc di gas non convenzionale e un aumento a 6,5 Gmc in due anni appare difficile. Le difficoltà attuali gettano un’ombra sulle reali possibilità dell’economia cinese di raggiungere gli ambiziosi livelli previsti per i prossimi decenni.

INGRANDISCI - Composizione della produzione cinese di gas al 2035 (fonte IEA)Secondo i dati IEA, nel 2035 la produzione non convenzionale cinese dovrebbe arrivare a circa 235 Gmc, di cui 115 di gas associato al carbone, 95 di gas da argille, 25 di gas da sabbie compatte, coprendo oltre il 40% del fabbisogno cinese previsto (544 Gmc). Tenendo sempre a mente che si tratta di stime a oltre 20 anni, sono in ogni caso dati molto alti.

Non si può fare a meno di pensare che un tale aumento della produzione sarà di difficile gestione senza riforme diffuse nel Paese. Più in generale, sembra che anche sul fronte energetico inizino a emergere segnali di una crescente difficoltà a mantenere la competitività del sistema economico senza un superamento dell’attuale sistema politico, che per ragioni organizzative (burocrazie sovrapposte) e simboliche (la legittimità del sistema resta basata sul Partito Comunista). Superamento tutt’altro che facile, naturalmente.

Il petrolio non convenzionale come fenomeno statunitense

The Shale Oil Boom: A U.S. PhenomenonSegnalo un nuovo paper di Leonardo Maugeri The Shale Oil Boom: A U.S. Phenomenon, dedicato tra a ricostruire il panorama del non convenzionale statunitense e a esplorare i fattori che ne rendono difficilmente replicabile il modello in altri Paesi.

Tra i più importanti, oltre alla dotazione geologica, vi sono la disponibilità di attrezzature, la scarsità di popolazione, la miriade di imprese comptitive e proponse al rischio e i diritti di proprietà delle risorse sotterranee (che negli Stati Uniti sono del proprietario del suolo).

Il testo contiene anche qualche interessante spunto di riflessione in ambito geopolitico.

 

TAP, quale impatto in bolletta?

Tap, i numeri e i vantaggi per l’Italia (anche in bolletta)Il TAP sarà costruito e non ci sono dubbi fatto che poterà vantaggi in termini di sicurezza degli approvvigionamenti. Il gas azerbaigiano dovrebbe anche portare un beneficio in termini di maggiore concorrenzialità del mercato, abbassando i prezzi finali.

Stimare di quanto, però, è un esercizio estremamente difficile. Il TAP entrerà in funzione tra 6 o 7 anni: basta pensare a quanto il mercato sia cambiato nei 6 anni passati per ricordarci di prendere con le molle qualunque ipotesi.

Detto questo, un post di Elisa Maiucci di ieri riporta un virgolettato di Giampaolo Russo, Country Manager TAP Italia: «Si prevede una riduzione della bolletta di 6 miliardi e mezzo, di cui buona parte è riconosciuta a Tap come struttura, portando il gas dal Mar Caspio».

Facciamo due conti. Relazione annuale dell’Autorità alla mano, nel 2012 sono arrivati ai clienti finali 61 miliardi di metri cubi a una media di 44,3 centesimi di euro al mc: in totale, 28,5 miliardi, tasse escluse (tavola 3.52).

Attualmente, ci troviamo in una fase di eccesso di offerta, che ha già spinto verso il basso i prezzi della materia prima e ha avviato un processo di parziale superamento delle indicizzazioni al prezzo del petrolio. Inoltre, le previsioni della domanda italiana per il prossimo decennio sono deboli: 77 miliardi di metri cubi (Gmc) al 2020 e 80,4 Gmc al 2025.

Sarebbe dunque molto interessante capire quali stime siano alla base della cifra ipotizzata.