Bilancio energetico nazionale

Bilancio energetico nazionaleIl Dipartimento per l’energia del Ministero dello sviluppo economico ha pubblicato il Bilancio energetico nazionale provvisorio relativo al 2012.

I dati provvisori confermano un calo generale dei consumi (-3,5%) a 178 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio (Mtep).

La contrazione riguarda in particolare il petrolio (-8,1%), a 63,6 Mt, e il gas naturale (-3,9%), a 61,4 Mtep (pari a 73,2 miliardi di metri cubi), oltre alle importazioni elettriche (-5,8%), a 9,5 Mtep.

Stabile invece il consumo di combustibli fossili, a 16,6 Mtep, grazie ai prezzi particolarmente competitivi. In crescita infine, naturalmente grazie agli incentivi, la produzione da fonti rinnovabili (+9,1%), a 26,9 Mtep.

Per chi fosse interessato, metto a disposizione la mia elaborazione dei dati ufficiali pubblicati:

 

Indipendenza energetica? Attenzione ai produttori

NYT - The Dark Side of Energy IndependenceLa conseguenza globale della crescente produzione non-convenzionale statunitense e della tanto agognata indipendenza energetica? Più instabilità politica nel sistema internazionale.

Questa è la chiave di lettura proposta da Benjamin Alter e Edward Fishman nel loro editoriale The Dark Side of Energy Independence, pubblicato sul New York Times il 28 aprile.

Il legame tra questi due fenomeni sarebbe, manco a dirlo, il prezzo del petrolio. Un aumento della produzione domestica statunitense produrrebbe pressioni ribassiste sul prezzo del greggio, per il quale alcuni analisti si spingo a prevedere un ritorno verso quota 50 dollari  al barile nei prossimi due anni (oggi siamo intorno a quota 100).

Prezzi così bassi sarebbero ossigeno per l’economia americana (meno per quelle europea e giapponese, come nota giustamente Macello Colitti su Staffetta Quotidiana), ma sarebbero una maledizione per molti Paesi produttori, dipendenti dai proventi delle esportazioni di greggio.

I Paesi del Medio Oriente sono l’esempio più evidente: difficile pensare un’Arabia Saudita immune alle primavere arabe senza i ricchi proventi del petrolio con quotazioni alle stelle. Stesso discorso per altri Paesi dell’area, a cominciare dal Bahrein, dove ha base la V flotta statunitense.

Un caso forse perfino più preoccupante sarebbe però quello della Russia: il sistema politico creato da Putin basa la propria stabilità economica sulle rendite delle esportazioni energetiche, in maggioranza petrolifere (ma anche il prezzo del gas russo è collegato tramite i contratti indicizzati, per l’eventuale gioia dei grandi clienti europei di Gazprom).

Un calo repentino del prezzo del greggio avrebbe effetti devastanti: basti pensare che il bilancio federale è previsto in pareggio nei prossimi anni solo con il petrolio sopra i 100 dollari. Prezzi internazionali pari alla metà comprometterebbero il relativo benessere raggiunto dalla Russia in questi anni e, al limite, la sua stabilità politica.

Le probabilità di una discesa dei prezzi tanto repentina sono basse, ma nel caso gli effetti promettono di essere davvero globali. A futura memoria.

La rivoluzione americana del gas e gli effetti sull’Europa

La rivoluzione americana del gas e gli effetti sull’EuropaSegnalo un mio post sulla questione (sopravvalutata) dell’impatto di breve-medio periodo della rivoluzione non-convenzionale negli Stati Uniti sui mercati europei del gas naturale.

Sia che si tratti di mancate importazioni, sia che si tratti di ipotetiche esportazioni verso l’Ue, si tratterà plausibilmente di volumi contenuti, insufficienti a cambiare gli equilibri dei mercati europei nel corso del decennio.

L’ucraina Naftogaz sempre più nei guai

Naftogaz UkrainyIl monopolista ucraino del gas, Naftogaz, è sempre più nei guai. Dopo il lodo di febbraio della Corte arbitrale di Stoccolam, vinto dal trader italiano Iugas, Naftogaz dovrà mettere a disposizione 13,1 miliardi di metri cubi di gas ai prezzi del 2003 (110 dollari al metro cubo).

Naftogaz non dispone di quel gas – al momento dell’accordo, l’azienda ucraina si riforniva di gas turkmeno a 70 dollari al metro cubo (chi si ricorda di Itera?) – e dovrà comprarlo da Gazprom, che attualmente vende il gas all’Ucraina a oltre 400 dollari a metro cubo. Totale: un passivo di 4 miliardi di dollari per Naftogaz, che l’azienda ucraina difficilmente potrà permettersi. E che peraltro non ha nessuna intenzione di pagare.

E non finisce qui. Perché nel frattempo Gazprom ha avanzato una richiesta di indennizzo per 7 miliardi di dollari per mancati ritiri da parte di Naftogaz, nonostante gli impegni contrattuali. Se anche Gazprom si vedrà dare ragione dai giudici, Naftogaz si troverà con nuovi debiti che non potrà onorare senza cedere all’estero i propri assets.

Naftogaz non intende rispettare l’arbitrato finché un tribunale ucraino non lo ratificherà, contando sulla natura “politica” di un’eventuale sentenza.

Mentre alcuni commentatori indicano un’ipotetica manovra a tenaglia ispirata dai russi, il dato che appare più evidente è l’assenza in Ucraina di un’autorità pubblica in grado di far rispettare gli accordi in modo terzo.

Ridurre il potere di ricatto sulle forniture energetiche dirette in UE di un Paese con queste caratteriste non può che essere una priorità di sicurezza energetica per i Paesi europei. Allo stesso tempo, appaiono ancora una volta evidenti gli enormi limiti che l’UE incontra nel proiettare la propria azione perfino su Paesi tanto vicini e tanto importanti come l’Ucraina.

L’impatto del GNL statunitense sui mercati UE

Il GNL statunitense e il mercato europeoSegnalo una mia intervista pubblicata oggi su AgiEnergia.it, sul tema dei possibili (scarsi) effetti sui mercati europei dell’indipendenza energetica statunitense nel settore del gas naturale.

A complemento quantitativo del discorso, sottolineo che in seguito alla diffusione della produzione non convenzionale, le mancate importazioni di GNL negli Stati Uniti sono nell’ordine di una decina di miliardi di metri cubi annui.

Per quanto riguarda il potenziale di esportazione verso l’Europa, difficilmente si andrà molto oltre (l’unico accordo per il momento è quello di Centrica per il mercato britannico, per 2,5 miliardi di metri cubi all’anno dal 2018).

Volumi rilevanti, certo, ma molto lontani dagli oltre 100 miliardi di metri cubi annui esportati in UE da Gazprom e dai circa 100 esportati dalla Norvegia, ma inferiori anche alle esportazioni di Sonatrach e del Qatar (oltre 40).