Il caso Mattei

Rai - Il caso MatteiSegnalo ai lettori del blog un film che la Rai ha riproposto qualche giorno fa. Si tratta de Il caso Mattei, pellicola del 1972 diretta da Francesco Rosi.

Il film è sostanzialmente un documentario che ripercorre l’esperienza dell’Eni di Mattei dalla metà degli anni ’40 ai primi anni ’60 e indaga sulla misteriosa morte dell’ingegnere avvenuta nell’ottobre del 1962.

Al di là dell’analisi sulle possibili cause dell’incidente aereo in cui perse la vita Mattei, il film evidenzia due cose interessanti:

1) il pensiero politico-economico di Mattei, che attribuisce un importante ruolo all’industria di Stato laddove l’iniziativa privata sia inerte o dove le possibilità di lucrose rendite produrrebbero un ingiustificato arricchimento di pochi ai danni dei molti: “lo Stato moderno, sempre più espressione del principio democratico, assume delle responsabilità precise in campo economico, proponendosi obiettivi coordinati nel quado di un programma di sviluppo generale”.

2) la costatazione che nell’industria petrolifera, economia e politica sono inestricabilmente legate: “chi si occupa di petrolio fa politica, politica estera per la precisione”.

PS: per un’analisi più giornalistica del caso Mattei, segnalo anche questa puntata di La storia siamo noi di qualche anno fa.

Continua la crisi russo-ucraina

mappa-ucrainaSe non fosse che delle persone stanno morendo negli scontri fra miliziani filo-russi e soldati pro-Kiev, la crisi russo-ucraina potrebbe essere facilmente paragonata a una telenovela o a una partita di poker dai continui colpi di scena.

Stando a quanto riportato dal Sole 24 Ore, il tira e molla tra Mosca a Kiev si è riacutizzato in queste ore a seguito dell’abbattimento di un aereo militare da parte dei ribelli e della dichiarazione di Gazprom di pompare in Ucraina, d’ora in poi, solo il gas pagato in anticipo.

La tensione torna dunque a salire, a dimostrazione di come la crisi non sia affatto di facile soluzione e di come le pressioni e le iniziative di Bruxelles abbiano un potere limitato.

Come più volte ribadito in questo blog, la sicurezza energetica italiana non è al momento minimamente in pericolo, ma è possibile che alcuni Paesi dell’Est Europa debbano presto fronteggiare una scarsità di gas che potrebbe colpire nei prossimi mesi il comparto industriale e quello elettrico (in caso di scarsità, scatterebbe infatti il razionamento dell’offerta, che favorisce i consumatori domestici e penalizza le imprese e le centrali termoelettriche).

Difficile tuttavia pensare che in un modo o nell’altro un accordo non venga raggiunto per l’autunno. Troppi i soldi in palio, anche per Mosca. Certo, come in una partita a poker, resta da vedere chi spunterà il risultato migliore.

Sicurezza energetica: le proposte della Commissione europea

bandiera europeaNonostante il suo mandato scada tra pochi mesi, la Commissione europea ha pubblicato la scorsa settimana le sue proposte per una Strategia per la Sicurezza Energetica Europea.

Rispondendo alle richieste del Consiglio europeo di marzo, e tenendo in considerazione in primo luogo i rischi connessi alla crisi russo-ucraina, la Commissione ha ribadito la necessita di adottare una strategia “testarda”, che promuova la capacità dell’Unione di resistere nel breve termine agli shock e alle interruzione dei rifornimenti energetici e che, nel lungo periodo, consenta alla stessa Unione di ridurre la dipendenza da particolari fonti di energia, particolari fornitori o particolari vie d’approvvigionamento.

Per fare questo è necessario ci sia la volontà degli Stati membri di coordinarsi e cooperare attivamente, anteponendo la prospettiva comunitaria a quella strettamente nazionale. Si tratta di qualcosa più facile a dirsi che a farsi, visto che i vari Stati membri presentano situazioni fortemente differenziate e quindi non è facile per i vari governi superare gli egoismi nazionali e adottare atteggiamenti più solidali.

A questo punto la palla passa al Consiglio europeo, che si riunirà il 26 e 27 giugno e che dovrà anche esprimersi sulle proposte circa le politiche energetico-climatiche per il 2030.

PS: guardando all’elenco delle infrastutture che per la Commissione sono importanti per garantire la sicurezza enegetica nei vari paesi membri viene da chiedersi chi pagherà il tutto. La trentina di infrastrutture elencate hanno infatti un costo di realizzazione di alcune decine di miliardi di euro ed è poco plausibile che i privati saranno disposti a metterceli tutti, tanto più che la domanda di energia in Europa è stagnante e il consumo di gas in Europa dovrebbe addirittura cadere, se venisse attuato il piano proposto dalla Commissione per il 2030. D’altra parte, la sicurezza è un bene pubblico e il mercato non è il miglior meccanismo per garantirne un’adeguata offerta.

 

L’importanza degli investimenti per la sicurezza energetica

WEO_2014_Investment_Excerpt_Cover_PRINT.pdfNavigando sul sito on-line del Sole 24Ore, ho scoperto che qualche giorno fa l’Agenzia Internazionale dell’Energia (AIE) ha pubblicato un rapporto sugli investimenti in campo energetico necessari a livello globale da qui al 2035.

Insoddisfatto per le scarne e un pò confuse informazioni riportate dal giornalista sono andato sul sito dell’AIE, dove ho scoperto delle cose interessanti.

Secondo l’Agenzia da qui al 2035 ci sarà bisogno a livello mondiale di quasi 50.000 miliardi di dollari di investimenti nella produzione di energia e in efficienza energetica. Una cifra enorme, che vale suppergiù 30 volte il PIL dell’Italia, cifra che peraltro non sarà sufficiente a garantire il rispetto degli impegni contro i cambiamenti climatici assunti dai vari governi negli ultimi anni.

Al di là del valore assoluto fornito da queste previsioni a 20 anni, su cui più volte ho sottolineato la necessità di essere estremamente cauti, quello che mi preme sottolineare sono alcune considerazioni fatte dal capo economista dell’AIE Birol.

Per Birol il livello attuale degli investimenti non è sufficiente e questo è dovuto anche al basso prezzo dell’energia sui mercati all’ingrosso (NB: il prezzo che i consumatori finali pagano è dato dal prezzo all’ingrosso più il costo del servizio di vendita al dettaglio, le tasse e i vari balzelli parafiscali). Questo è vero soprattutto in Europa, dove molte utility stanno perdendo denaro, perchè i prezzi del gas o dell’energia elettrica sono in calo.

In queste condizioni, investire in nuovi impianti o in nuove infrastrutture di trasporto non conviene. Il rischio allora è che mano a mano che gli impianti esistenti invecchiano e la domanda riprende a crescere, l’Europa si trovi con un’offerta di energia insufficiente o non affidabile: la luce potrebbe non rimanere accesa.

Urge allora ripensare il disegno del mercato, in modo che sia garantita la remunerazione degli impianti che offrono la garanzia di poter produrre energia su richiesta. Insomma, un qualche meccanismo di finanziamento della capacità, che vada ad affiancarsi agli attuali mercati dell’energia e che non gravi troppo sulle bollette di famiglie e imprese.

A ciò si deve aggiungere un quadro regolatorio e geopolitico stabile in modo che gli investitori si sentano più sicuri e decidano di investire alcune migliaia di miliardi di dollari in progetti che richiedono 30 o 40 per ripagarsi.

Una bella sfida, senza dubbio.

Ps: la necessità di un quadro regolatorio stabile e prevedibile è uno dei leitmotiv che ormai ho sentito fino alla nausea. In giro sono però troppo numerosi gli investitori che pur con tassi d’interessi a zero e numerose garanzie pubbliche non sono disposti a scucire un quattrino per investimenti che non abbiano natura finanziaria e non abbiano quindi un’elevata liquidita. In questo senso il problema non è solo di politica industriale, ma anche di politica fiscale, monetaria e di organizzazione del sistema finanziario.

Obama rilancia l’obiettivo della decarbonizzazione: ci riuscirà?

rep v demDopo la segnalazione di ieri, vi rimando oggi ad un’altro articolo apparso sulla versione on-line dell’Economist, in cui si dà un’efficace resoconto del recente tentativo dell’Amministrazione Obama di rilanciare l’obiettivo della de-carbonizzazione.

Vista l’opposizione della Camera dei Rappresentati dominata dai Repubblicani, il Presidente ha chiesto all’Environmental Protection Agency (EPA) di adottare un target per le emissioni di anidride carbonica per il 2030. L’Agenzia, che risponde direttamente al Presidente, ha pubblicato una proposta che prevede l’obbligo per il parco centrali elettriche esistente di ridurre le emissioni di CO2 del 30% rispetto al livello riportato nel 2005.

Inutile dire che l’iniziativa ha polarizzato la scena politica americana, con i Repubblicani (l’elefante della figura) fortemente contrari, così come alcuni Democratici (l’asino della figura) provenienti da quegli Stati dell’Unione, dove si concentra la produzione di carbone e che quindi potrebbero essere più danneggiati in termini economici da una decisione, che ridurrebbe ancor più la già bassa domanda interna di carbone.

La proposta dell’EPA peraltro non risulta molto ambiziosa, dato che dal 2005 ad oggi le emissioni di CO2 del settore elettrico sono già significativamente calate a causa del maggiore ricorso al gas e per via della minore dinamica economica.

L’effetto ricercato, tuttavia, è quello di rilanciare una politica che ha decisamente perso negli ultimi anni priorità nell’agenda politica sia americana che internazionale. Questa potrebbe essere una buona notizia per la Commissione europea, rimasta attualmente solitario campione della lotta alle emissioni di CO2, soprattutto in vista del round di negoziati che si terrà l’anno prossimo a Parigi.

PS: l’eventuale adozione di questa politica ridurrebbe a livelli assai modesti le esportazioni di gas americano nei prossimi decenni, mentre potrebbe ulteriormente accrescere l’offerta di carbone a prezzi ridotti per i consumatori stranieri, Europa e Asia in primis. A seguito delle profonde interrelazioni fra i vari mercati energetici, l’effetto globale sulle emissioni di CO2 di questa scelta potrebbe perciò risultare alquanto modesto.

GNL: un mercato in fieri

lng carrierIeri abbiamo accennato al fatto che bisogna essere cauti sulle conseguenze di lungo periodo della rivoluzione nord-americana del non convenzionale.

Un’altra rivoluzione è però in corso nel mondo degli idrocarburi: quella del gas naturale liquefatto (GNL).

Negli ultimi anni sono stati infatti scoperte numerose aree assai ricche di gas, che però sono alquanto isolate o comunque lontane dai maggiori centri di consumo o si trovano in contesti geopolitici difficili (Mozambico, Australia, Siberia Occidentale, Artico, Golfo di Guinea, Bacino del Levante, ecc…). Uno dei modi più efficienti e flessibili di sfruttare quelle risorse è senza dubbio il GNL. Come abbiamo osservato altre volte, la liquefazione permette di caricare abbondanti quantità di gas su navi speciali, che poi possono percorrere in economia lunghe distanze e portare il gas direttamente in prossimità delle aree di maggior consumo, per di più rispondendo in modo agile a significative variazioni del prezzo della commodity nei diversi mercati regionali.

Senza dilungarmi oltre, vi rimando a un bell’articolo dell’Economist, apparso questa settimana, che brillantemente presenta lo stato di questo mercato globale in fieri.