Gas naturale in Europa orientale? A buon prezzo

Nel dibattito sugli approvvigionamenti europei di gas, un luogo comune da cui partono indisturbati molti ragionamenti è il fatto che i consumatori dell’Europa orientale paghino un prezzo più alto a causa del basso livello diversificazione delle importazioni.

In altre parole, Gazprom sfrutterebbe il proprio monopolio per tenere alti i prezzi, a scapito dei consumatori baltici o dei Paesi limitrofi. Guardano però ai dati di Eurostat relativi al primo semestre 2014, il dato che emerge è decisamente diverso.

Eurostat - Prezzi del gas per i consumatori residenziali  (primo semetre 2014 - €/kmc)Come si vede dal grafico, i consumatori italiani o tedeschi pagano il gas molto più dei loro omologhi dell’Europa orientale. Il dato più interessante è quello pre-tasse (in scuro nel grafico): al netto della pressione fiscale, per loro il gas costa meno. Nonostante un approvvigionamento molto meno diversificato del nostro.

Nessuna penalizzazione per i Paesi della regione nemmeno se si guarda ai consumatori industriali. Con la parziale eccezione della Lituania, per i grandi clienti i prezzi sono in linea con la media europea. L’Italia invece si distingue in questo caso per una forte scelta di politica industriale, con una componente fiscale molto bassa.

Eurogas - Prezzi del gas per i consumatori industriali (primo semetre 2014 - €/kmc)

 

Sicurezza energetica e potenza di calcolo

Cordis - Progetto sulla sicurezza energetica ottiene l'accesso a un super computer per la prossima fase della ricercaL’importanza dei sistemi informatici per la sicurezza energetica passa anche per una dimensione poco nota ma fondamentale: la simulazione del funzionamento della rete elettrica, per valutarne capacità, vulnerabilità e resilienza.

Le reti elettriche sono sempre più complesse e con dinamiche sempre più difficili da prevedere in anticipo. Le rinnovabili intermittenti aumenteranno infatti il proprio peso, rendendo più instabile l’offerta.

Allo stesso tempo, la domanda sarà sempre meno controllabile, anche a causa della frammentazione dei mercati e del minor peso dei grandi consumatori. Inoltre la crescente difficoltà nel costruire nuove linee aeree densamente popolate rende più arduo aumentare la resilienza attraverso l’aumento di infrastrutture.

In questo contesto, i gestori di rete e i decisori politici hanno come strumento principale la capacità di prevedere il funzionamento del sistema per adottare tempestivamente le contromisure necessarie.

Le reti europee sono già oggi strettamente interconnesse e dunque occorre simulare quantità di variabili enormi a livello continentale: una sfida tecnica con pochi paragoni, a cui è dedicato il progetto europeo iTesla, che mira a fornire strumenti previsionali utili ai gestori di rete europei.

La notizia dell’allocazione di 9,7 milioni di ore-processore di accesso alle strutture di PRACE, la rete di supercomputer europea, è dunque particolarmente importante non solo perché consentirà al progetto di avere risultati migliori, ma soprattutto perché evidenzia ancora una volta l’importanza della dimensione puramente europea del nodo più critico della sicurezza energetica nazionale, quello della rete elettrica.

Non solo le reti elettriche europee, latinamente, simul stabunt vel simul cadent, ma nessun operatore nazionale dispone di potenza di calcolo sufficiente a far fronte alle sfide di domani.

Sul tema, segnalo anche il workshop di presentazione dei risultati del progetto AFTER, previsto a Roma per fine mese.

La UE sulla buona strada per centrare gli obiettivi al 2020

AEA - Politiche efficaci per raggiungere gli obiettivi UE in materia di clima ed energia 2020. Necessità di maggiore spinta per il 2030 Sulla scia dell’accordo raggiunto dal Consiglio europeo circa gli obiettivi energetici e climatici al 2030, l’Agenzia europea per l’ambiente (Aea) ha pubblicato un dettagliato rapporto in cui si mostra come la UE sia sostanzialmente in linea con gli obiettivi che 7 anni fa si è data per il 2020.

Scorrendo il testo si apprende che in base ai dati preliminari per il 2013, le emissioni di gas ad effetto serra sono state dell’1,8% più basse rispetto al 2012 e circa il 19% inferiori al livello di riferimento, rappresentato dal 1990. Supponendo che gli stati membri attuino appieno le norme già adottate, la Aea immagina che nel 2020 la UE supererà nettamente l’obiettivo che si è dato, facendo registrare un -24%.

Analogamente, per le fonti rinnovabili i dati definitivi del 2012 indicano che esse hanno già raggiunto una quota pari al 14,1% del consumo finale lordo di energia, 2 punti percentuali in più rispetto ai valori intermedi previsti dagli accordi europei. Anche qui, assumendo che gli stati continuino a impegnarsi e a rispettare i piani nazionali adottati, si prevede che nel 2020 la quota di rinnovabili nel mix energetico superi l’obiettivo europeo e si assesti attorno al 21%.

Meno positiva invece la situazione dell’efficienza energetica. Infatti, contrariamente a quanto si potrebbe dedurre leggendo velocemente l’executive summary o l’introduzione al capitolo dedicato e se si ha la pazienza di seguire le analisi tecniche, si comprende che attualmente la UE dovrebbe limitarsi a ridurre nel 2020 i propri consumi di energia del 18-19% rispetto all’andamento stimato nel 2007.

Nel 2012 i consumi di energia primaria (esclusi gli usi non energetici) sono stati pari a 1.585 Mtep, circa il 7,3% in meno di quelli registrati nel 2005, ma ancora molti di più dei 1.483 Mtep che rappresentano l’obiettivo finale. Tale obiettivo sembra al momento raggiungibile, ma ciò è dovuto al fatto che la crisi economica, ovviamente non prevista nel 2007, ha ridotto significativamente la domanda di energia negli ultimi anni (si stima che circa 1/3 della riduzione dei consumi sia imputabile alla crisi, mentre solo i rimanenti 2/3 siano dovuti a una migliore efficienza energetica dei processi produttivi, degli edifici, dei veicoli e degli elettrodomestici).

Insomma, la UE sta facendo bene anche e soprattutto per via della prolungata crisi economica. Come prova basta pensare alla Germania, uno dei paesi che meno ha sofferto economicamente in questi anni e che non a caso sta sforando gli obiettivi intermedi su emissioni e efficienza energetica, con buona pace della tanto osannata Energiewende.

Si verificasse la tanto agognata ripresa economica, la UE si troverebbe rapidamente a dover aumentare gli sforzi per raggiungere i propri obiettivi al 2020.

Produttori petroliferi: chi è in affanno a 85 dollari?

Il prezzo del greggio si è attestato su valori prossimi agli 85 dollari al barile, ma se e quanto tornerà a scendere restano domande aperte. Intanto, anche a questi livelli di prezzo, la sostenibilità dei bilanci pubblici di molti produttori di greggio è ancora una questione aperta.

Segnalo due documenti in merito. Il primo è del Fondo monetario internazionale, che ha pubblicato il Regional Economic Outlook di ottobre relativo a Medio Oriente e Asia Centrale.

Ricco di dati e di proiezioni relative all’andamento delle economie delle due macroregioni, l’outlook contiene anche un’interessante tabella dedicata ai livelli di prezzo del petrolio che consentono il pareggio fiscale (fiscal breakeven) e il pareggio di bilancia corrente (external breakeven).

IMF - Oil producers fiscal and external breakeven oil pricesIl grafico per il 2014 che si ricava da questi dati  consente di vedere chiaramente chi, se le quotazioni correnti continuasserro, sarebbe in affanno. Particolarmente delicata la situazione di Yemen, Algeria, Iraq e Libia (che ha valori troppo alti per stare nel grafico).

Prezzo del greggio e punti di pareggio di alcuni Paesi produttori

Segnalo anche un secondo studio, di Deustche Bank, che sul tema del prezzo di pareggio di bilancio propone una tabella globale. Da notare come le previsioni per il 2015 siano di prezzi medi sopra i 100 dollari. A sperare nella bontà delle previsioni tedesche sono di sicuro parecchi governi.

DB - Budget breakeven pricesIntanto dai sauditi qualche segnale di inversione della tendenza sembrerebbe arrivare, ma è presto per dire cosa accadrà. Stratfor prevede un recupero ma a livelli inferiori a 100 dollari, a causa della debolezza della domanda.

Politiche energetiche europee: nuovi obiettivi, vecchi errori

European Council (23 and 24 October 2014) Conclusions on 2030 Climate and Energy Policy FrameworkLe istituzioni europee hanno annunciato l’accordo sui nuovi obiettivi di politica energetica al 2030. Dopo mesi di negoziazioni, gli obiettivi annunciati sono in linea con quelli proposti all’inizio dell’anno dalla Commissione.

Il primo obiettivo è relativo alle emissioni di CO2: -40% delle emissioni rispetto ai valori del 1990. Con serena noncuranza del quadro economico, prosegue l’autolesionismo europeo: mentre infatti le emissioni crescono in quasi tutto il mondo e l’Europa diventa sempre più marginale, aumentano i costi per le sempre meno numerose industrie europee.

Se – ammettendo che il riscaldamento globale sia un problema e sia umano – il primo obiettivo è giusto ma inefficiente, il secondo è proprio sbagliato. Si continuano infatti a imporre crescenti livelli minimi di rinnovabili sui consumi finali, che in altre parole sono una previsione del fatto che le rinnovabili da sole non sono in grado di arrivare a quei livelli grazie alla loro competitività. E dunque devono essere imposte per legge, imponendo inefficienza economica.

Gli obiettivi di penetrazione delle rinnovabili al 2030 sono del 27%. Ma a livello europeo, senza obiettivi nazionali grazie alla resistenza di diversi Paesi, a cominciare da Polonia e Regno Unito. Come si farà davvero a far rispettare quel livello in assenza di responsabilità precise resta indefinito.

L’obiettivo potenzialmente più importante, quello dell’aumento dell’efficienza, ancora una volta è stato messo da parte e definito “indicativo”, ossia simbolico. Il valore di riferimento sarebbe un aumento del 27% rispetto all’evoluzione inerziale al 2030, ma senza obblighi e quindi (quasi) senza valore.

Una quarta misura molto importante è invece quella relativa alle interconnessioni elettriche tra le reti nazionali europee, che dovranno salire al 15% della potenza installata. Si tratta di una misura importante per aumentare l’integrazione economica e la sicurezza a livello europeo, ma che riguarda con particolare urgenza la penisola iberica e l’area del Baltico.

Nel complesso il quadro d’azione al 2030 è la prosecuzione inerziale delle poco entusiasmanti politiche europee, ossessionate dalla questione climatica. In teoria, in vista della conferenza mondiale di Parigi sul clima prevista per il 2015, l’accordo dei giorni scorsi prevede la possibilità di rivedere il quadro d’azione. In pratica, però, anche se il resto del mondo continuerà a rifiutare accordi vincolanti, è molto probabile che l’unilateralismo autolesionista dell’Europa continui.

Prezzi del greggio: continua la discesa

Reuters - UPDATE 2-IEA sees 2015 oil demand growth much lower, supply hitting pricesGuai in vista per i Paesi produttori la cui stabilità finanziaria dipende dalle esportazioni di greggio. E che potrebbero vedere diminuire ancora il valore della loro produzione: in questi giorni le quotazioni del Brent sono scese stabilmente sotto i 90 dollari, dopo aver toccato in giugno i 115 dollari ed essere stabilmente sopra i 100 dal 2011.

Tre le cause principali: sul lato dell’offerta, il boom del non convenzionale statunitense. Sul lato della domanda, il rallentamento della crescita globale e il dollaro forte, che penalizza tutti gli importatori (tranne quelli che stampano dollari).

Tanto che la IEA ha tagliato del 20% le proprie stime di crescita della domanda per il 2015. Il calo dei prezzi quindi non sembra essere ancora abbastanza marcato da stimolare un aumento significativo della domanda.

E nemmeno da far scattare una riduzione della produzione OPEC per stimolare una crescita dei prezzi a causa della scarsità. I Paesi del cartello sembrano infatti più impegnati a difendere i volumi di esportazione che non ad alterare i prezzi di mercato, approfittando dei costi di produzione mediamente più bassi rispetto agli altri Paesi.

La situazione potrebbe continuare fino alla soglia degli 80 dollari al barile, quando invece tagliare i volumi per aumentare i prezzi potrebbe tornare a essere profittevole per i Paesi OPEC.

Intanto però a rimetterci sarebbero soprattutto due categorie. Da un lato, i produttori con costi molto alti, come quelli statunitensi e canadesi da non convenzionale. Dall’altro, i Paesi produttori con le finanze pubbliche più a rischio.

In particolare, tra i Paesi OPEC il Venezuela è particolarmente sensibile alla questione, tanto da aver proposto di anticipare il prossimo incontro ufficiale dell’organizzazione, previsto per il 27 Novembre. Le finanze venezuelane rischiano davvero di non riuscire a reggere il colpo di una riduzione dei prezzi, soprattutto con una produzione in costante declino e con 5,2 miliardi di dollari di prestiti in scadenza nel solo mese di ottobre.

Se i sauditi sceglieranno di non reagire, lasciando scendere ancora i prezzi e rendendo strutturale il calo, i problemi potrebbero emergere anche per altri Paesi. A cominciare da Algeria e Russia, che hanno impostato i rispettivi bilanci pubblici per il 2015 sulla base di prezzi intorno ai 100 dollari. E che potrebbero trovarsi a dover fare tagli dolorosi alla propria spesa pubblica, al pari di parecchi Paesi nel Golfo.

E per noi? Dipende. L’impatto sull’Italia sarebbe positivo in quanto Paese importatore (30 miliardi di euro nel 2013), perché la riduzione dei prezzi potrebbe bilanciare il deprezzamento dell’euro rispetto al dollaro. Ma sarebbe anche potenzialmente negativo come Paese esportatore, soprattutto se la crisi dovesse indebolire la domanda di merci italiane nei Paesi del Golfo e in Russia.