Kashagan: ripartenza nel 2016?

Platts - When will Kazakhstan's Kashagan be able to restart production?Il giacimento di Kashagan rappresenta un elemento fondamentale per il futuro delle esportazioni petrolifere kazake, oltre che un investimento da parecchie decine di miliardi di dollari per le multinazionali coinvolte, tra cui Eni.

Come noto, la produzione nel giacimento è iniziata a ottobre 2013, per poi essere interrotta dopo poche settimane a causa dei cedimenti lungo le condotte che dai pozzi portano agli impianti di trattamento a terra.

Il ritorno alla produzione è previsto tra non meno di un anno e mezzo, secondo quanto riportato da Dina Khrennikova, associate editor di Platts, in un podcast dal titolo When will Kazakhstan’s Kashagan be able to restart production?

In particolare, le Autorità kazake e il North Caspian Operating Company (NCOC) hanno pubblicamente parlato di due scenari per il ritorno alla produzione: uno più positivo per la prima metà del 2016 e uno più negativo per la seconda metà del 2016. Tutte e due gli scenari potrebbero essere però troppo ottimistici. Le perdite sarebbero dovute a una scelta sbagliata nel grado dell’acciaio necessario a evitare la corrosione dovuta all’alto contenuto di acido solforico che contraddistingue gli idrocarburi di Kashagan. I problemi potrebbero inoltre essere dovuti anche alle saldature.

Le operazioni sono particolarmente complesse: occorre sostituire 200 km di condotte e i tecnici sarebbero ancora al lavoro per studiare il tipo di acciaio necessario. Secondo il governo kazako, però, la produzione dei tubi dovrebbe cominciare già ad agosto, con le prime consegne a dicembre: scandenze molto probabilmente irrealistiche.

Nonostante gli attriti causati dai ritardi, i rapporti tra il governo kazako e le compagnie sembrano ancora reggere [di necessità virtù…]. Il segno più tangibile è la decisione di imporre alla NCOC una multa di soli 30 milioni di dollari per ogni trimestre di ritardo: tutto sommato una cifra modesta, soprattutto se si considerano le decine di miliardi di investimenti già effettuati.

Un altro segnale di “pace” tra il governo e la NCOC è stato l’annuncio che non ci sarà un’indagine autonoma sui fatti che hanno portato all’interruzione della produzione: i panni sporchi potranno tutto sommato essere lavati in casa del consorzio, senza troppo clamore.

Intanto il governo kazako ha rivisto al ribasso le stime della produzione interna per il 2014 a 82 Mt, in linea con quelle dell’anno scorso. Il dato potrebbe però essere troppo ottimistico, considerando che i livelli del 2013 erano dovuti a una produzione record del giacimento di Tengiz, che non è detto possa essere ripetuta quest’anno.

Se consideriamo il possibile calo dei volumi e la parallela discesa delle quotazioni del greggio in atto, le pressioni sul governo kazako potrebbero far aumentare la tensione con la NCOC, oltre che far suonare l’ennesimo campanello d’allarme sull’eccessivo peso delle esportazioni petrolifere nell’economia del Paese.

Quotazioni del greggio: regna la calma

IEA - Lower economic growth outlook trims 2014 demand increaseL’avanzata di ISIL in Iraq. Il governo di Kiev incapace di domare i ribelli. Le sanzioni occidentali alla Russia. Le fazioni libiche impegnate in un nuovo giro di fragili alleanze. Gli ingredienti dell’instabilità geopolitica, qualunque cosa significhi, sembrano esserci tutti.

E nelle attese di molti, il prezzo del greggio era destinato a toccare nuovi record, minacciando la debole ripresa economica europea o la crescita asiatica. E invece, dando un’occhiata ai grafici, appare evidente come in realtà gli operatori abbiano mantenuto la calma, dopo un breve picco a 115,19 dollari al barile il 19 giugno.

A spiegare l’arcano è l’Oil market report di Agosto della IEA. Innanzitutto, la domanda globale è attesa più debole delle attese: il taglio nelle previsioni relative 2014 è di un milione barili al giorno, poco più dei consumi italiani.

A questo si sono aggiunti l’aumento di produzione dell’Arabia Saudita e un modesto recupero delle esportazioni libiche. Inoltre, le scorte dei Paesi OCSE hanno continuato a crescere, arrivando a 2.671 milioni di barili.

L’effetto combinato di tutti questi fattori è stato dunque quello di spingere i prezzi verso il basso e di mantenere la calma sui mercati internazionali.

Gli operatori peraltro scontano anche l’effetto di alcuni fattori strutturali già chiaramente emersi: il declino della domanda europea, l’aumento della produzione statunitense (e quindi le minori importazioni), investimenti cumulati di circa 500 miliardi dollari in nuovo upstream petrolifero solo per il periodo 2014-2020.

Insomma, meglio non sopravvalutare la cosiddetta geopolitica. O quantomeno, leggerla in un quadro più ampio.


Prezzo del greggio, in dollari al barile  (02/01/2014 - 04/08/2014)


Cina: dimezzate le stime della produzione di gas da argille

Reuters - UPDATE 1-China finds shale gas challenging, halves 2020 output targetSecondo quanto riportato da Reuters, il governo cinese avrebbe rivisto al ribasso le stime di produzione di gas da argille (shale gas) al 2020. La produzione interna dovrebbe raggiungere i 30 Gmc, invece dei 60 previsti.

A marzo si parlava addirittura di 100 Gmc, ma sono evidentamente emerse difficoltà tecniche e si sta facnedo largo la consapevolezza dell’eccezionalità del caso statunitense. E poi si sa: gli obiettivi dei piani comunisti sono notoriamente “flessibili”.

Anche il nuovo livello di 30 Gmc è tutto sommato ottimistico, considerando che nel 2013 la produzione di gas da argille è stata di 0,2 Gmc. A questi si sono aggiunti 6 Gmc di gas naturale in carbone (coal bed methane) e circa 110 Gmc di gas naturale da giacimenti convenzionali.

Nonostante gli operatori cinesi non badino a spese e Sinopec arrivi a prevedere un costo iniziale a pozzo pari a quattro volte quello dei pozzi statunitensi più economici, i risultati per il momento non sembrano esserci. E occorreranno molti sforzi anche solo per arrivare al livello di 6,5 Gmc previsto dai piani ufficiali per il 2015.

Il livello di 30 Gmc di gas da argille previsto al 2020 è in ogni caso in linea con le previsioni IEA, pari a circa 25 Gmc. A questi si dovrebbero aggiungere circa 20 Gmc di gas in carbone e un circa 130 Gcm da convenzionale.

Il governo di Pechino pone molta fiducia nelle enormi riserve non convezionali di gas da argille (circa 30.000 Gmc tecnicamente recuperabili) per soddisfare almeno in parte l’aumento dei consumi interni, che secondo la IEA dovrebbero arrivare a superare i 300 Gmc nel 2020 e i 460 nel 2030.

È tuttavia probabile che il gas non convenzionale giocherà un ruolo decisivo soprattutto nel prossimo decennio, quando gli operatori cinesi avranno più esperienza e tecnologie più mature. Intanto però saggiamente proseguono i preparativi per aumentare la capacità di importazione e la diversificazione delle fonti, dall’Asia centrale alla Russia, dalla Birmania al GNL.

Aggiornamento: segnalo anche questo articolo dell’Economist sulla questione.

CDP, Cina, privatizzazioni: parole in libertà

La Stampa - Pechino punta sull’Italia e compra azioni di Fiat e Telecom Il governo cinese sta investendo massicciamente in Italia: non solo Eni ed Enel, ma anche negli ultimi giorni Fiat, Telecom e Prysmian (ex-Pirelli cavi). Tutte partecipazioni di poco superiori al 2%, tali da far scattare l’obbligo di segnalazione alla Consob e quindi la pubblicità all’evento. A queste operazioni si aggiunge poi la partecipazione in arrivo in Terna e Snam Rete Gas, tramite CDP Reti.

Secondo i dati riportati da La Stampa, nel primo semestre gli operatori cinesi hanno investito all’estero 32 miliardi di euro, in 2.766 imprese di 146 Paesi diversi. E l’Italia ha giocato un ruolo di primo piano, con un controvalore di circa il 20% del totale: come si è detto, chi ha i soldi compra, chi non li ha vende.

Che il governo cinese investa anche per migliorare l’immagine del Paese in Italia è plausibile e spiegherebbe il sistematico sforamento della quota del 2%. Ma da un’operazione di marketing, oltre che di portafoglio, a una progressiva rottura del rapporto Italia-USA o a un affossamento del trattato di libero scambio transatlantico – come ipotizzato in alcuni commenti – ce ne passa parecchio.

C’è anche chi commentando si è dato alla fantapolitica, paventando una caduta di Renzi per mano americana. Non entro nel merito, ma forse varrebbe la pena tenere distinta la cessione della quota in Snam Rete Gas da pare di CPD dalla possibile vendita di Saipem da parte di Eni: si tratta di due aziende completamente diverse.

Certo, Saipem per i cinesi sarebbe un’acquisizione interessante dal punto di vista industriale, ma l’azienda, una delle società di ingegneria più grandi al mondo, non è specializzata in non-convenzionale. Non cambierebbe, insomma, le sorti della corsa cinese al gas da argille, settore nel quale peraltro le aziende cinesi stanno spendendo miliardi di dollari e acquisendo tecnologia e servizi direttamente dal mercato statunitense.

Quando giungerà l’ora del governo Renzi, bisognerà insomma trovare una giustificazione più plausibile. Ma magari intanto varrebbe la pena di interrogarsi seriamente sul modello di supervisione dei settori strategici una volta che il processo di privatizzazione andrà ancora avanti. Uno Stato in grado di regolare e monitorare le attività dei privati non è uno Stato più debole, ma uno più forte.

Obiettivi europei sulle rinnovabili: chi bene, chi male

Energia rinnovabile al 2012, obiettivi al 2020 e differenza in punti percentualiQuando finalmente avremo una nuova Commissione, una delle prime questioni sul tavolo sarà quella degli (eventuali) obiettivi al 2030. E in particolare dell’opportunità di fissare un nuovo livello minimo di rinnovabili sul consumo finale lordo.

Per capire le posizioni sulla questione, è utile vedere anche cosa stiano facendo i governi rispetto agli obiettivi già in vigore per il 2020. Sebbene l’obiettivo europeo sia del 20%, in realtà dopo lunghe trattative ciascun Paese ha ottenuto un obiettivo nazionale.

Rispetto a quel livello nazionale i governi si sono impegnati in modo vincolante, ma non tutti sono su una traiettoria adeguata. Purtroppo, gli ultimi dati ufficiali diffusi da Eurostat sono aggiornati al 2012 [no comment], ma sono utili per farsi un’idea.

Il dettaglio è riportato nella tabella sotto, ma tra le grandi economie i britannici, i francesi e gli olandesi siano distanti di circa 10 punti percentuali dagli obiettivi e abbiano davvero ancora parecchia strada da fare. Al contrario, i due grandi Paesi più virtuosi sono la Polonia e soprattutto l’Italia, seguiti da Germania e Spagna. Complice, nel nostro caso, oltre ai noti sussidi anche il calo dei consumi complessivi.

Sebbene le questioni sul tavolo siano numerose e complesse, visti i risultati fin qui raggiunti, è probabile che il Regno Unito e la Francia avranno meno interesse degli altri a spingere per ulteriori obiettivi vincolati. I primi perché più propensi a soluzioni di mercato che mettano in concorrenza rinnovabili ed efficienza, i secondi perché puntano anche per il futuro al nucleare come elemento chiave della decarbonizzazione.

Per qualche considerazione in più, rimando al Focus 17/2004.


Energia rinnovabile al 2012, obiettivi al 2020 e differenza in punti percentualiQuota di energia rinnovabile sul totale dei consumi finali lordi


Assoelettrica: nel 2014 consumi in calo, sussidi no

Newsletter Assoelettrica-I dati congiunturali del settore elettrico italiano (#3y14 gennaio-giugno2014)Assoelettrica ha diffuso il nuovo numero la propria newsletter con l’analisi dei dati congiunturali relativi al settore elettrico italiano nei primi sei mesi del 2014.

Ancora cattive notizie: consumi in calo, con l’economia nel suo insieme che non dà segni di voler ripartire. Gli italiani hanno consumato da gennaio a giugno 143 TWh, quasi 5 in meno rispetto allo stesso periodo del 2013 (-3,2%).

A peggiorare il quadro, un calo della produzione interna ancora più marcato (-4,4%), che ha fatto peggiorare il saldo (già negativo) con l’estero. Importiamo generazione da carbone tedesca e, soprattutto, nucleare francese, per un totale di quasi l’8% dei consumi (qui i dati ICE relativi al controvalore nei primi 4 mesi).

Guardando alla generazione, benissimo l’idroelettrico (+8,5%), che favorito dalle condizioni climatiche si conferma la seconda fonte, con 29 TWh. Male invece il gas, la nostra fronte principale: le centrali elettriche a metano hanno generato solo 50 TWh (-16,2%). Stessa riduzione in percentuale dei consumi di gas per la generazione, a conferma che ormai stanno ferme le centrali più efficienti.

In questo quadro, oltre ai gestori dell’idroelettrico (il carbone bianco!), a passarsela particolarmente bene sono invece i recettori di sussidi per le rinnovabili, che solo nel primo semestre sono arrivati alla cifra record di 5,9 miliardi di euro, 400 milioni in più dello stesso periodo del 2014.

A essere maligni, si potrebbe far notare che la cifra è stata pari a tre volte quanto il governo cinese pagherà in totale il 10% di Snam e Terna. Oppure a quanto il governo si aspetterebbe dalla (s)vendita del 5% di Eni e Enel. Forse è ora di ripensare la nostra “politica” energetica?