Il mercato del GNL nel 2013

GIIGNL - The LNG in 2013Il Groupe International des Importateurs de Gaz Naturel Liquéfié (GIIGNL) ha pubblicato oggi il suo report The LNG Industry in 2013. Si tratta del documento pubblico più ricco di dati sul settore, pubblicato fin dal 2006.

Nel 2013 il mercato del GNL è stato caratterizzato dall’alta domanda proveniente da Giappone e Corea del Sud e dalle difficoltà dei produttori di aumentare l’offerta, soprattutto in Algeria e Angola.

I volumi scambiati (324 Gmc) sono rimasti sostanzialmente ai livelli del 2012, ma il flussi si stanno chiaramente riorientando verso l’Asia (243 Gmc, +6%) e l’America Latina (30 Gmc, +43%). A livello globale, il novero degli stati importatori è salito a 29, con l’apertura del primo rigassificatore in Israele, Malesia e Singapore.

Gli operatori cinesi intanto hanno completato nel 2013 altri 4 terminali, con una capacità complessiva annua di 16 Gmc (su 47 Gmc di totale del paese). A livello globale, 25 terminali sono in costruzione e sono previsti in attività entro il 2015.

Dal lato dell’offerta, si vedranno sviluppi importanti solo dal 2017, quando sono previsti nuovi terminal di liquefazione in Australia, Nord America, Africa Orientale e Russia.

In questo quadro, l’UE continua con la sua crisi: nel 2013 le importazioni dei GNL sono diminuite del 29%, passando da 57 a 40 Gmc, in ulteriore contrazione rispetto agli 82 Gmc del 2011. Questo a fronte di quasi 200 Gmc di capacità annua potenzialmente utilizzabile, concentrata soprattutto in Regno Unito, Spagna, Francia e Italia.

La possibilità di diversificare le importazioni ricorrendo al GNL esisterebbe, ma mancano le interconnessioni tra i mercati. E soprattutto manca la cosa fondamentale: la crescita economica.

GIIGNL - The LNG in 2013 - Flows

Gas: il problema non è la Russia

ISPI - Crisi ucraina: per il gas dell'Europa il problema non è la RussiaSegnalo un mio commentary per l’ISPI dal titolo Crisi ucraina: per il gas dell’Europa il problema non è la Russia. La tesi di fondo è che le importazioni europee di gas russo non siano minacciate dalla Russia, ma dal fatto che il governo ucraino è moroso e attende che a pagare il conto siano i Paesi occidentali.

Il commentary è parte di un interessante dossier dal titolo After Crimea: la grande illusione di Putin. Titolo non particolarmente condivisibile, ma ottimi contenuti.

Clima: un obiettivo è meglio che due

RTCC - EU Commission split over 2030 climate targetsIn attesa che le elezioni di maggio diano nuovo slancio alle iniziative europee, si discute dei nuovi obiettivi al 2030 proposti in  tema di energia e clima: 40% di riduzione delle emissioni di CO2 rispetto ai livelli del 1990 e 27% di quota delle rinnovabili.

Visti però i costi dei sussidi alle rinnovabili imposti in giro per l’Europa, urge una riflessione sugli strumenti e su cosa stiamo facendo: oggi infatti superiamo i 30 miliardi di euro all’anno, sommando solo Germania, Italia e Spagna. Mentre le utilities di mezza europa annaspano.

Già, ma cosa stiamo facendo? Tutto parte dal cambiamento climantico e dal nesso causale tra le emissioni di CO2 originate dall’uomo e il riscaldamento globale. Lasciamo da parte i dubbi in merito al nesso, lasciamo da parte il fatto che da più parti si inizi a pensare che forse il problema non sia poi così grave, lasciamo da parte il fatto che tanto ridurre le emissioni unilateralmente avrebbe un impatto marginale (1, 2).

I Paesi europei si sono posti come obiettivo di ridurre le emissioni e plausibilmente continueranno anche in futuro. Però, l’obiettivo delle rinnovabili è stato introdotto come obiettivo strumentale: le rinnovabili al posto delle fossili riducono le emissioni (nessuno parli di filiera, visto che siamo un’economia aperta e buona parte dei produttori non sono europei; e poi, al massimo si investe in ricerca, no?).

Ma imponendo le quote di rinnovabili si penalizza l’altra via: essere più efficienti, sia per quanto riguarda i consumi finali di energia, sia per quanto riguarda le emissioni associate a quei consumi. Sarebbe anche una scelta economicamente più efficiente.

La soluzione esiste:  porre per il 2030 un solo obiettivo vincolante per legge, la riduzione delle emissioni (che è quello che conta). Saranno poi i milioni di individui che compongono il mercato a scelgliere la soluzione migliore, tra le varie forme di efficienza e le varie tecnologie rinnovabili. Bene per il clima, bene per i consumatori.

Se poi qualcuno vuole farsi la propria Energiewende, liberissmo.

Ucraina: finito lo sconto sul gas

BBC - Gazprom hikes Ukraine gas price by a thirdGazprom non ha rinnovato lo sconto sul prezzo del gas (Corriere, Stampa, Repubblica, Sole). Lo sconto era stato concesso da Putin a Yanukovich nell’accordo del 17 dicembre scorso e che modificava le condizioni concordate nel 2011 dall’allora primo ministro, Yulia Tymoshenko.

A partire da inizio aprile, i prezzi del gas pagati da Naftogaz sono così passati da 268 a 385,5 dollari ogni mille metri cubi. Si tratta di un aumento del 44%, più alto di quanto previsto da alcuni analisti, ma in linea coi prezzi europei.

Lo sconto faceva parte di un pacchetto di aiuti da parte della Russia, che comprendeva anche l’acquisto di debito pubblico ucraino per 15 miliardi di dollari, di cui 3 acquistati subito. Lo sconto, che doveva essere rinnovato ogni trimestre, aggiungeva un ulteriore un impatto positivo per la bilancia commerciale di Kiev stimabile in circa 3 miliardi di dollari all’anno.

Per stimare l’impatto reale nel primo trimestre 2014, guardiamo ai dati ufficiali: i consumi di gas ucraini sono di 13 Gmc per i gennaio e febbraio, mentre per quelli di marzo si possono stimare ulteriori 6 Gmc.

I consumi complessivi sono stati dunque di circa 19 Gmc. Considerando che le importazioni russe coprono il 60% del fabbisogno energetico, lo sconto di 100 dollari è valso un sussidio superiore a 1,3 miliardi di dollari a favore di Kiev.

I maggiori oneri per il secondo trimestre derivanti dal mancato sconto saranno tuttavia più bassi, a causa della stagionalità dei consumi. L’anno scorso, nel secondo trimestre l’Ucraina ha bruciato 7,7 Gmc: immaginando una contrazione del mercato del 10%, i maggiori costi saranno di circa 800 milioni di dollari.

Cifra che sarà solo in minima parte compensata dall’aumento del 10% le tariffe di transito (portate a 3 dollari ogni mille metri cubi), pari a pochi milioni di dollari a trimestre in più.

I problemi potrebbero tuttavia arrivare nei prossimi mesi. Senza un intervento esterno (IMF, presumibilmente), le passività finanziare di Naftogaz aumenteranno ancora, con un serio rischio di contenzioso con Gazprom.

Già oggi, i crediti dichiarati da Gazprom sono di 1,7 miliardi di dollari, senza tenere conto che l’azienda russa ha  condonato debiti per 5,5 miliardi di dollari come anticipo delle tasse di transito di tutto il 2014. E il controvalore annuo delle forniture russe all’Ucraina supera i 10 miliardi di dollari: ci sarà molto di cui discutere, anche senza carri armati.

Aggiornamento: segnalo che Gazprom ha indicato in 2 Gmc le esportazioni per il mese di Marzo, mentre mancano dati ufficiali su i primi due mesi. È dunque possibile che il valore del sussidio fornito da Gazprom a Naftogaz tramite gli sconti nel primo trimestre sia inferiore a 1,3 miliardi di dollari, pur restando indicativamente confermato l’ordine di grandezza.

Il metano americano ci darà una mano?

Sole24Ore - Un oceano di metano in Europa. Ma l'Italia rischia di perdere la partitaL’arrivo di Obama in Europa per il vertice nei Paesi Bassi e la successiva visita nella Penisola hanno portato alla ribalta il tema del metano americano come alternativa a quello russo.

Non mi soffermo sulla (non) necessità di diversificare rispetto alla Russia. Vorrei invece soffermarmi sulla questione della plausibilità dell’ipotesi che il gas statunitense rappresenti oggi un’alternativa a quello russo.

Attualmente gli Stati Uniti hanno un solo rigassificatore, in Alaska. Esistono diversi progetti tra conversione di rigassificatori esistenti in terminali di liquefazione e di creazione di terminali di liquefazione ex novo (36 35 hanno ricevuto una prima approvazione, per un totale di oltre 300 Gmc/a di capacità).

Di questi però solo un complesso, Sabine Pass, è attualmente in fase realizzazione e consentirà esportazioni (meno di 30 Gmc/a) a partire dal 2015. Troppo tardi e troppo poco per fare la differenza rispetto alle esportazioni di Gazprom, che nel solo 2013 hanno superato i 120 Gmc verso l’Ue, più altri 30 verso l’Ucraina e altri 25 verso la Turchia.

Ma anche fingendo per assurdo che Obama possa far apparire i terminali di liquefazione e le metaniere dal nulla, servirebbero a poco o a nulla. Perché se è vero che la capacità di rigassificazione massima annua in UE è di oltre 190 Gmc (di cui quasi 150 in teoria inutilizzati), in ogni caso i terminali non ci sono proprio in quei mercati che dipendono dal gas russo.

E non stiamo parlando solo di Bulgaria, Slovacchia e Ungheria. Stiamo parlando soprattutto di Germania, che con 38 Gmc è il primo importatore di gas russo. E che pur essendo il più grande mercato UE (89 Gmc), non dispone di un solo rigassificatore.

A questo aggiungiamo, a scanso di equivoci, che non esiste (perché troppo cara da realizzare) una significativa capacità di interconnessione tra i terminali esistenti e i mercati dell’Europa centrale e orientale.

Insomma, ce n’è abbastanza per poter dire in tutta serenità che l’inverno prossimo il gas consumato dai tedeschi (e quindi da tutto il resto d’Europa) o sarà russo o sarà russo.

Delle prospettive di più lungo periodo, dalla concorrenza cinese ai costi di trasporto, parleremo un’altra volta. Faccio solo una precisazione, visto che se ne parla tanto: la vera concorrenza canadese, se ci sarà, sarà sui mercati dell’Asia orientale.

Per capirlo, basta dare un’occhiata alle autorizzazioni per la realizzazione di nuovi terminali: uno solo su sei è sulla costa orientale del Paese. Gli altri sono in British Columbia e pensare di far transitare il gas diretto in UE attraverso Panama o le rotte artiche è a pieno diritto nel dominio della fantascienza.

South Stream: diversificazione a rischio

Sole24Ore - Scaroni (Eni): forniture garantite anche senza gas dalla Russia. Futuro in bilico per South StreamLa situazione in Ucraina rimane difficile e l’UE e gli Stati Uniti hanno avviato simboliche sanzioni contro soggetti russi e ucraini protagonisti della secessione della Crimea e della sua successiva annessione alla Federazione Russa.

Nel frattempo, aprile si avvicina e con esso la fine dello sconto concesso da Gazprom a Naftogaz sulle forniture di gas destinate al mercato interno ucraino. Il rischio di contenzioso sulle morosità di Naftogaz (2 miliardi di dollari, al momento) è reale e potrebbe portare a un’interruzione delle forniture.

Nonostante la diversificazione degli ultimi decenni, la rete ucraina resta indispensabile all’Europa occidentale per mantere i livelli di importazione dalla Russia. Almeno fino a quando il gasdotto South Stream non dovesse diventare operativo. A quel punto, il gas russo potrebbe arrivare in UE e Turchia senza dipendere dall’Ucraina, ma la sua realizzazione (la prima linea dovrebbe essere operativa da fine 2015) sembra incerta.

La crisi in Ucraina ha spinto a un’accelerazione da parte russa e ha portato a un passo dall’avvio dei lavori. Nonostante gli alti costi, Gazprom è infatti determinata a non dover più dipendere dalla collaborazione di Kiev per raggiungere i propri clienti. I contratti per i tubi e per la posa della prima linea sono già stati firmati, rispettivamente da aziende tedesche e italiane.

Resta però aperta la partita fodamentale, quella dello scontro tra Gazprom e la Commissione Europea, che vuole un’apertura del gasdotto alla concorrenza e contesta gli accordi bilaterali coi Paesi UE di transito. E che in clima di sanzioni potrebbe mettersi ancora più di traverso.

Pessimista in merito anche Paolo Scaroni, che in un’intervista ha detto che il futuro del gasdotto è fosco, a causa delle tensioni tra UE e Russia. Le parole del (probabilmente uscente) ad di Eni pesano, ma molto resta ancora da decidere e in buona parte dipenderà dall’evoluzione dei rapporti tra Kiev e Mosca.