Non è andata molto bene a Natural Gas Europe, che ieri ha organizzato ieri a Milano una confererenza dal titolo South Stream: evolution of a pipeline.
Come detto, tra gli ospiti nel programma, tanti nomi italiani che contano: da Paolo Scaroni (ad Eni) a Maurizio Lupi (Ministro delle infrastrutture), da Roberto Maroni (Presidente della Lombardia) a Gianni Pittella (vice-presidente del Parlamento Europeo). Peccato che non si sia presentato nessuno, lasciando i russi (di alto profilo, peraltro) a parlare da soli.
Un bel segnale sul fatto che appaia sempre più evidente il bluff del gasdotto da 60 miliardi di metri cubi e oltre 17 miliardi di dollari di investimenti (ufficiali, in realtà molti di più, contando l’adeguamento della rete russa), la cui costruzione è annunciata dal 2015 e il funzionamento dal 2017. Troppo gas e troppo caro per un mercato in difficoltà come quello europeo.
South Stream è nel complesso un investimento posticipabile (se non del tutto evitabile), il cui senso era principalmente strategico, ossia porre sul tavolo un’alternativa al Nabucco originale, quello che avrebbe dovuto portare decine di miliardi di metri cubi mediorientali in Europa e che si è spento lungo la strada negli ultimi anni.
Sempre più attori sembrano non voler più reggere il gioco, soprattutto dopo che la decisione di costruire il TAP ha tolto dal tavolo anche le ultime vestigia del nome Nabucco. Obiettivo raggiunto, dunque, per il tubo di carta del Cremlino.