Turchia: esploso il gasdotto dall’Iran

Si alza la tensione in Turchia e le infrastrutture energetiche del Paese diventano bersaglio di attacchi esplosivi. Dopo l’avvio dei bombardamenti turchi contro le posizioni del PKK, condotti in parallelo agli attacchi all’ISIS, le forze armate curde hanno reagito facendo saltare ieri il gasdotto di importazione del gas iraniano in Turchia.

Turchia: il tratto di gasdotto saltato

L’Iran è il secondo fornitore di gas della Turchia, dopo la Russia, e tutti i flussi dipendono dal transito attraverso le aree orientali del Paese, dove la presenza e la capacità operativa curda sono più forti. Già in passato i gasdotti nell’area sono stati fatti saltare più volte, l’ultima su vasta scala nel 2012.

L'approvvigionamento di gas della Turchia (2014)

L’attacco di ieri non ha posto problemi di forniture ai clienti finali, perché durante la stagione estiva i consumi sono più bassi e perché le forniture russe e azerbaigiane consentono di compensare, in caso di necessità. Tuttavia l’episodio ha messo ancora una volta in evidenza la vulnerabilità del sistema turco, di fatto totalmente dipendente dalle importazioni e caratterizzato da consumi in crescita nel lungo periodo.

Una vulnerabilità che apre a due riflessioni: Gazprom si conferma ancora una volta il fornitore di ultima istanza, chiamato a garantire la sicurezza dell’approvvigionamento quando i clienti europei e turchi ne hanno bisogno, sia che si tratti di instabilità delle forniture nordafricane o mediorientali, sia che si tratti di picchi invernali di freddo. A prescindere dal fatto che in questa circostanza siano aumentate o meno le richieste di gas russo, il polmone dell’approvvigionamento europeo resta la Russia, rete ucraina permettendo.

La seconda riflessione riguarda il gas iraniano: per quanto la coalizione internazionale – Iran incluso – possa sconfiggere militarmente l’ISIS, l’Iraq settentrionale e le aree circostanti sembrano destinati a rimanere fortemente instabili per parecchio tempo a venire. Ne consegue che l’ipotesi di esportare il gas iraniano in Europa via tubo nel corso del prossimo decennio resta un’ipotesi molto improbabile. Più probabile invece che, quando si troveranno i finanziamenti, le eventuali esportazioni di gas iraniano avvengano via tubo verso oriente o via GNL, limitando i rischi per la sicurezza delle esportazioni. Con buona pace del governo turco.

GazpromNeft abbandona il dollaro in favore del renminbi

gazpromneftSecondo quanto riportato da FT, dall’inizio dell’anno GazpromNeft ha iniziato a regolare le proprie esportazioni di petrolio verso la Cina in renminbi anziché in dollari.

In particolare, secondo il report dell’azienda russa relativo al primo trimestre del 2015, le esportazioni attraverso l’oleodotto East Siberian Pacific Ocean sono state di circa 50.000 bbl/g, per un controvalore di 250 milioni di dollari alle quotazioni attuali.

La decisione di GazpromNeft, ossia del governo russo che la controlla, va letta nel contesto della reazione alle sanzioni occidentali e alla scelta di riorientare le strategie di esportazioni russe verso i mercati asiatici, in più forte crescita e politicamente meno problematici rispetto ai tradizionali partners europei.

La necessità di ricorrere a prestiti cinesi per costruire le infrastrutture di esportazione energetiche in Siberia orientale ha peraltro senza dubbio contribuito alla scelta russa. Si tratta in ogni caso di una cifra tutto sommato modesta (pari circa 1 miliardo di dollari all’anno) se paragonata al totale delle esportazioni petrolifere russe (oltre 200 miliardi all’anno) o all’interscambio Russia-Cina (86 miliardi nel 2013).

Tuttavia segnala un nuovo passo avanti in una tendenza di lungo periodo, conseguenza inevitabile dell’ascesa cinese, che i russi hanno da tempo iniziato a sostenere in ottica di contenimento degli Stati Uniti.

Dal punto di vista dei mercati petroliferi, l’egemonia del dollaro non è al momento in discussione: l’impatto della decisione russa è poco più che simbolico, dati i volumi in questione. Resta però sul tavolo la questione dell’inevitabile superamento dell’unicità della posizione del dollaro e del disancoramento dei prezzi del greggio dalle politiche monetarie statunitensi.

Per noi europei potrebbe non essere poi così male.

Turkish Stream, TAP e la competizione che non c’è

pipesCome spesso accade quando si parla di nuovi gasdotti, una certa confusione sembra aleggiare intorno alle questione del Turkish Stream, il gasdotto proposto da Gazprom come sostituto di South Stream. In particolare, si parla di un’ipotetica competizione con il sistema TANAP/TAP, ossia l’infrastruttura che dovrà portare il gas azerbaigiano in Italia.

Per il momento, parlare di competizione è fuori luogo. I due gasdotti infatti sono molto diversi tra loro: il TAP, che ha appena ricevuto l’autorizzazione definitiva dal Governo italiano, porterà gas azerbaigiano sul mercato italiano, su quello greco e su quello bulgaro. 10 Gmc/a a regime, già tutti venduti e in consegna dal 2020.

Il Turkish Stream servirà invece a portare gas russo sul mercato turco, sostituendo il Trans-Balkan Pipeline, che dal 1987 raggiunge il mercato turco partendo dall’Ucraina e che dal 2003 è stato affiancato dal Blue Stream. Con il Turkish Stream, tutti i flussi di gas russo diretti in Turchia eviterebbero l’Ucraina, analogamente a quanto avviene nel caso delle Germania.

Per ora, del Turkish Stream si costruirà una linea sola da 15 Gmc/a, con l’inizio dei lavori di posa a giugno, secondo quanto annunciato da Gazprom. A eseguire i lavori sarà Saipem, sulla base dei contratti siglati in precedenza per South Stream. Proprio la necessità di assorbire i costi dei contratti di posa già siglati, delle forniture di tubi già consegnate e dei lavori di potenziamento della rete russa già eseguiti ha pesato sulla decisione russa di procedere in tutta fretta, con il primo gas annunciato in flusso per l’anno prossimo. Intanto, Gazprom e Botas stanno negoziando gli ultimi dettagli dei nuovi contratti di lungo periodo, mentre Gazprom e gli operatori privati turchi hanno già siglato i contratti.

La competizione, se mai ci sarà, potrebbe dunque essere in futuro per i volumi addizionali. Sul fronte South Stream, però, che si proceda a costruire altre linee non è affatto scontato, almeno a breve. Anzitutto, perché in questo caso Gazprom dovrebbe decidere di investire ulteriori risorse ex-novo, cosa piuttosto complicata in questo periodo. Inoltre, un’Ucraina completamente dipendente dall’Occidente e dai prestiti internazionali difficilmente potrà minacciare un’interruzione dei flussi di gas russo verso i clienti europei, riducendo l’urgenza della diversificazione delle rotte per Gazprom.

Sul fronte TAP, la capacità di portare nuovi volumi dipenderà invece dai ritmi di sviluppo della produzione azerbaigiana e soprattutto dalle prospettive del mercato europeo. E qui, per il gas azerbaigiano come per quello russo via Turchia, potrebbero esserci problemi. Perché se è vero che produzione in calo e i consumi in debole crescita faranno aumentare le importazioni, è però possibile che la competizione sul lato dell’offerta cresca, soprattutto dal mare.

La caduta dei prezzi del greggio ha infatti spinto verso il basso i prezzi del GNL in Asia, tanto che le quotazioni spot sono arrivate a essere temporaneamente più basse di quelle europee, nel corso del primo trimestre di quest’anno. Dopo una latenza di alcuni mesi, infatti, i prezzi dei contratti di lungo periodo indicizzati al greggio – dominanti sui mercati dell’Asia Orientale – si sono adeguati al ribasso. Con effetti inevitabilmente globali, visto che l’Asia rappresenta il 75% della domanda mondiale di GNL.

La prima conseguenza per l’Europa della convergenza dei prezzi globali del GNL è stata il rallentamento del re-export di GNL dalla Spagna. Negli ultimi anni, la crisi ha colpito duramente la domanda iberica e dal mercato spagnolo una parte dei carichi di GNL comprati con contratti di lungo periodo per il mercato interno sono stati ri-esportati, lucrando sul differenziale di prezzo.

La vicenza spagnola è giusto un sintomo, ma le conseguenze per l’Europa potrebbero però non finire qui. Se i prezzi sul mercato asiatico non dovessero tornare a salire, il mercato europeo sarebbe sempre più attraente per gli esportatori di GNL. La capacità di importazione europea ammonta infatti a quasi 200 Gmc, ma è utilizzata solo per un quarto, lasciando spazio per un forte aumento dei flussi, se il prezzo del GNL sarà abbastanza competitivo.

Se Turkish Stream e TANAP/TAP avranno da competere, non sarà solo tra di loro e sarà più per un mercato europeo anemico ed eccessivamente rifornito che non per oscure trame geopolitiche. E la partita, come quasi sempre avviene, sarà soprattutto una questione di prezzi finali e di costi.

Dubbi sull’industria nucleare francese

NYT - French Nuclear Model FaltersSegnalo un interessante articolo pubblicato sul NYT a proposito del periodo non facile che l’industria nucleare francese (ossia l’industria nucleare europea) sta vivendo in questi anni.

In particolare, la nuova generazione di centrali nucleari (EPR) non è all’altezza delle aspettative. I due esemplari in costruzioni, Flamanville (Francia) e Olkiluoto (Finlandia), sono in forte ritardo e stanno accumulando un aumento dei costi pari a un multiplo della spesa inizialmente prevista.

Nel caso di Flamanville, dove per il reattore si è usato acciaio francese anziché giapponese, si teme addirittura di dover sostituire alcuni componenti a causa della qualità insufficiente dell’acciaio. A riprova che il problemi dell’industria europea toccano tanti comparti strategici.

Nel frattempo, i cinesi stanno costruendo 23 nuove centrali per il mercato domestico e una in Pakistan, mentre i russi ne stanno costruendo 9 per il mercato domestico e stanno negoziando diversi impianti in giro per il mondo. Perfino negli Stati Uniti ci sono 5 impianti in costruzione, a riprova del fatto che il problema del nucleare è soprattutto un problema del nucleare europeo.

Forse varrebbe la pena di pensare al nucleare francese non come un vezzo di Parigi o un’eredità del passato, ma come un punto di forza di tutta l’industria (energetica e non) europea. Se si vuole una vera decarbonizzazione nel lungo periodo, pannelli e pale eoliche difficilmente possono bastare.

Snam Rete Gas: il piano decennale 2015-2024

SRG - Piano decennale 2015-2024Snam Rete Gas ha appena pubblicato il proprio Piano decennale 2015-2024. Il documento è particolarmente interessante perché esplicita le aspettative di SRG relative all’evoluzione di domanda e offerta di gas nel medio periodo e rappresenta uno dei pochi esercizi in materia pubblicamente disponibili.

Dal punto di vista della domanda, SRG è ottimista circa il recupero dei consumi di gas, con un incremento medio annuo tra il 2014 e il 2024 del 2,1%, passando da 60,5 a 74,8 Gmc [i dati in questo blog sono riportati a 39 MJ/mc, mentre SRG li riporta a 38,1 MJ/mc: qui la spiegazione].

In particolare, l’aspettativa è di una crescita dei consumi delle centrali termoelettriche (+3,9% medio annuo, +8 Gmc), dovuto agli effetti dell’attesa ripresa economica sulla domanda totale di elettricità. Il secondo contributo in ordine di importanza è quello del residenziale (+1,3% medio annuo, +3,6 Gmc), dovuto principalmente al fatto che l’inverno 2014 è stato mite in modo anomalo. La domanda industriale è invece attesa stabile, a causa degli incrementi di efficienza nei processi produttivi.

Un ulteriore contributo all’aumento della domanda è atteso da settore trasporti, dove SRG prevede un aumento della domanda sia sotto forma di gas naturale compresso (la Panda a metano…) (+1,2 Gmc), sia sotto forma di GNL direttamente utilizzato da tir speciali e mezzi marittimi (e impianti industriali non connessi alla rete gas) (+0,9 Gmc).

SRG - Tabella 12: Proiezione domanda di gas naturale in Italia

Dato particolarmente rilevante per la sicurezza del sistema, «anche in prospettiva, la domanda giornaliera non subirà rilevanti variazioni rispetto ai valori massimi storici registrati fino al 2012». La domanda di gas è infatti molto variabile e il sistema è davvero messo alla prova solo in quei giorni invernali molto freddi in cui la domanda arriva a essere quasi il triplo di un giorno medio. Il sistema ha resistito bene al picco storico del 6 febbraio 2012 e una stabilizzazione della domanda giornaliera implica che il sistema possa essere in grado di affrontare nuovi picchi analoghi, a parità di condizioni (come lo stoccaggio).

Dal punto di vista dell’offerta, il dato che attrae maggiormente l’attenzione è l’attesa di un aumento significativo della produzione nazionale (+4,3 Gmc). Questo aumento sarebbe l’effetto combinato di una moderata contrazione della produzione di gas naturale (circa -0,7 Gmc) e di una forte diffusione della produzione di biometano (+5,0 Gmc, a fronte di una produzione oggi limitata).

All’aumento della produzione nazionale è previsto che si sommi anche un aumento delle importazioni di 17,6 Gmc, di cui 7,6 saranno destinati all’avvio del flusso di esportazioni verso la Svizzera e la Germania attraverso il Passo Gries.

Tabella 14: Proiezione offerta di gas naturale in Italia

Le previsioni proposte dal piano di SRG sono senza dubbio un riferimento autorevole e fondato metodologicamente. Esistono tuttavia alcuni punti particolarmente esposti a incertezza.

In primo luogo, la ripresa della domanda termoelettrica dipenderà molto da come saranno perseguiti a livello europeo e nazionale i nuovi obiettivi di riduzione delle emissioni al 2030, ossia da quanto si vorrà ancora sussidiare le rinnovabili e da quanto fortemente si deciderà di alzare il costo di emettere gas climalteranti (penalizzando più o meno il carbone rispetto al gas).

Un secondo punto delicato è quello della produzione di biometano. SRG è molto ottimista sulla capacità di realizzazione di nuova capacità nel corso dei prossimi dieci anni, ma molto dipenderà da quanto sarà forte l’intervento di sostegno pubblico al settore.

Un terzo punto delicato è quello dell’effettiva portata dei volumi esportati in direzione nord al Passo Gries. La capacità di trasporto sarà probabilmente disponibile appieno già all’inizio del prossimo decennio, ma l’entità dei volumi che saranno fisicamente in uscita a nord dipenderà molto dalle dinamiche della domanda negli altri mercati europei e dalla disponibilità su quei mercati di offerta alternativa a prezzi competitivi.

Tante variabili possono insomma intervenire, il che rende particolarmente utile l’obbligo di legge per SRG di aggiornare annualmente il piano decennale e sottoporlo a consultazione.

Iran, gigante energetico solo in potenza

EIA - Country Analysis Brief: IranMancano ancora molti dettagli, ma l’accordo con l’Iran include un progressivo superamento delle sanzioni, alcune delle quali sono in vigore dal 1979. In cambio di un rallentamento del programma nucleare e dell’accettazione di maggiori controlli internazionali, il governo di Teheran ha ottenuto di poter progressivamente riacquisire una posizione “normale” all’interno del sistema internazionale.

Le ricadute geopolitiche attese a livello regionale sono enormi, ma senza dubbio l’aspetto più rilevante dalla prospettiva italiana è quello energetico. L’Iran, sulla carta, è infatti potenzialmente uno dei più grandi produttori (ed esportatori) di gas e petrolio a livello globale. Le riserve provate iraniane ammontano infatti a 157 miliardi di barili di petrolio e quasi 34.000 miliardi di metri cubi di gas, rispettivamente il 10% e il 17% del totale mondiale.

I primi dieci Paesi al mondo per riserve provate di petrolio (miliardi di barili)

A questo potenziale corrisponde però una capacità produttiva limitata. Anche quando saranno completamente superate le sanzioni, l’esportazione petrolifera iraniana è destinata nel breve periodo a crescere di poco più di un milione di barili al giorno (0,8 secondo l’Economist), ossia i volumi persi dopo le sanzioni europee del 2012.

Esportazioni e consumi petroliferi iraniani (milioni di barili al giorno)

L’impatto sui mercati mondiali sarebbe quantomeno marginale, simile a quello dell’instabilità in Libia. Per tradurre le riserve petrolifere in capacità produttiva di rilevanza sistemica (ossia, oltre i 5 Mbbl/g) sarebbero necessarie parecchie decine di miliardi di dollari di investimenti. Tuttavia, anche al netto delle questioni di politica internazionale, l’Iran ha una legislazione particolarmente punitiva nei confronti degli investimenti internazionali nel settore petrolifero e difficilmente si avranno molti operatori pronti a scommettere sul Paese. A maggior ragione date le quotazioni attuali.

I primi dieci Paesi al mondo per riserve provate di gas naturale (miliardi di metri cubi)

Nel caso del gas naturale, i problemi sono ancora più grandi. Attualmente, l’Iran è un importatore netto di gas: quel che arriva dal Turkmenistan è più di quello che va in Turchia. La domanda interna è raddoppiata nell’ultimo decennio, arrivando a superare i 170 Gmc nel 2013 (più di Italia e Germania insieme). Per alimentare esportazioni significative, anche in questo caso serviranno tempo, tecnologie e molti capitali. E anche un po’ di diplomazia, nel caso del maxi-giacimento di South Pars/North Dome, conteso tra Iran e Qatar.

Inoltre, per arrivare ai mercati internazionali, servono infrastrutture grandi e costose. Per il momento il gas naturale liquefatto, sul modello del Qatar, è un’opzione troppo cara e soprattutto tecnologicamente sofisticata, ossia dipendente dagli investimenti esteri.

Un’ipotesi di gasdotto, magari verso l’UE come ipotizza la Commissione europea da anni, dovrebbe invece scontarsi sia coi costi elevati (migliaia di km solo per arrivare in Turchia), sia con il fatto che i tubi dovrebbero attraversare alcune delle aree più instabili del mondo. E questo senza considerare la debolezza di lungo periodo della domanda europea.

Nel complesso, anche se le sanzioni saranno eliminate con una tempistica relativamente stretta, l’impatto atteso sui mercati internazionali – e dunque indirettamente sull’Italia – è destinato a rimanere limitato nel corso dell’attuale decennio.

Per quanto riguarda un orizzonte temporale di più lungo periodo, l’impatto del potenziale iraniano sui mercati internazionali dipenderà dall’esito delle riforme interne al Paese e dalla capacità di offrire garanzie di affidabilità agli investitori internazionali.

In cima alla lista si trovano sicuramente gli operatori cinesi, sempre più dipendenti dalle attività all’estero per soddisfare la domanda dell’economia di Pechino. Chissà – ma è giusto un guess – che l’Iran non possa essere in futuro uno dei terreni su cui testare il funzionamento della nascente Asian Infrastructure Investment Bank.