Come ormai è noto, gli Stati Uniti hanno conosciuto negli ultimi 4-5 anni una rivoluzione energetica analoga per importanza a quella che si sta cercando di attuare in Europa. Tuttavia, se da questa parte dell’Atlantico si cerca di promuovere tramite i sussidi pubblici lo sviluppo delle fonti rinnovabili, dall’altra parte dell’oceano sono le imprese private del comparto petrolifero che hanno aperto la strada allo sfruttamento di enormi giacimenti di gas e petrolio non convenzionali.
Le conseguenze di questa rivoluzione si stanno oggi manifestando appieno e stanno portando gli USA verso l’autosufficienza energetica in termini netti (si esporta carbone e si importano uranio e petrolio). Per il professore del MIT nonché ex direttore della CIA, John Deutch, che ha tenuto ieri a Milano una lezione presso il FEEM, questo non significa che gli USA diventeranno energeticamente indipendenti, ma semplicemente che dipenderanno molto meno dalle importazioni di materie prime energetiche dall’estero.
Ciò, a sua volta, permetterà a Washington una maggiore libertà sullo scenario internazionale e rappresenterà certamente un duro colpo, sia dal punto di vista economico che politico, per quei Paesi produttori che dipendono molto dalle quotazioni sostenute del greggio (vedi Russia e Iran, ma anche Venezuela). Quotazioni che per Deutch dovrebbero attestarsi sui 70-90 $ al barile nei prossimi anni.
Secondo Deutch, in sostanza, la rivoluzione del non convenzionale avrà effetti positivi e duraturi (15-20 anni) per i consumatori di tutto il mondo. A patto, naturalmente, che l’industria sia in grado di gestire al meglio l’impatto ambientale che le attività di fracking comportano, smontando così una delle maggiori cause di opposizione da parte delle comunità locali allo sfruttamento degli idrocarburi non convenzionali.