Obiettivi europei clima-energia: un’analisi

Aleksandra Gawlikowska-Fyk -New Climate and Energy Package for 2030Come ampiamente riportato dalla stampa, la Commissione europea ha reso noti mercoledì i nuovi obiettivi europei in tema di emissioni di CO2 e di diffusione obbligatoria delle rinnovabili al 2030.

Quanto alle emissioni, l’obiettivo fissato è di una riduzione delle emissioni di CO2 del 40% rispetto ai livelli del 1990. L’obiettivo è obbligatorio e declinato su base nazionale: ciascun Paese ridurrà le proprie emissioni rispetto ai propri livelli del 1990. Incidentalmente, anno nel quale le fabbriche ad alte emissioni della Germania dell’Est erano ancora in piena attività.

Quanto alle rinnovabili, l’obiettivo fissato è di una diffusione delle rinnovabili al 27% del paniere energetico. In questo caso, l’obiettivo è declinato a livello europeo. In questo modo, se un grande Paese con obiettivi vincolanti stabiliti a livello nazionale si trovasse in eccesso di produzione da rinnovabili, potrebbe vendere la propria produzione “verde” agli altri Paesi (come si dice in tedesco?).

Segnalo un breve paper di Aleksandra Gawlikowska-Fyk dal titolo New Climate and Energy Package for 2030, che analizza le decisioni prese.

Rinnovabili e fonti fossili devono convivere responsabilmente

Guido BortoniCome riportato recentemente da Terna, la domanda elettrica italiana continua a calare, mentre la capacità di generazione cresce e ha ormai raggiunto valori superiori al doppio della domanda di picco. Per dirla con una metafora, la torta è sempre più piccola e sempre più numerosi sono quelli che vorrebbero spartirsela.

Fino ad ora le politiche pubbliche, tanto in Italia quanto nel resto d’Europa, hanno fatto in modo che una fetta sempre maggiore fosse destinata alle fonti rinnovabili di elettricità. Questa fetta vale ormai il 30% dell’intera torta e ha imposto ai produttori termoelettrici una dieta forzata non da poco, tanto che vi è il concreto rischio che qualcuno di loro muoia presto d’inedia.

Per evitare il peggio e fare in modo che il sistema non si avviti in una spirale di costi crescenti e di dirigismo estremo, è ora che tutti facciano la loro parte e si assumano la responsabilità dei costi che apportano al sistema. Questa sembra la posizione di Guido Bortoni, presidente dell’AEEG, il quale ieri a Milano ha ricordato che rinnovabili e fonti fossili non sono né nemici né amici, ma conviventi che devono cercare di sopportarsi l’un l’altro.

Nel suo discorso tenuto in Bocconi, Bortoni lascia intendere che le preferenze dell’Autorità sono per un’imputazione degli oneri di sbilanciamento in capo ai produttori da rinnovabili e per un limite severo all’estensione dell’esenzione dal pagamento degli oneri di rete: chiunque causa uno squilibrio nel sistema o ricorre alla rete deve giustamente contribuire a pagarne i costi.

Infine, per fare in modo che il numero di coloro che cercano di ritagliarsi un pezzo della torta non fluttui in modo inefficiente nel tempo, Bortoni ha confermato che la strada del mercato della capacità va intrapresa con convinzione e si attendono con impazienza le ultime battute dal Ministero per lo Sviluppo Economico.

Insomma, ci sono tutte le premesse per riconoscere che le rinnovabili non sono più un bambino piccolo da tutelare e viziare oltremodo, ma un baldo giovane che va messo di fronte alle responsabilità della vita matura per il bene suo e di chi gli sta intorno.

Germania: il peso dei sussidi

Economist - Germany’s energy transition. Sunny, windy, costly and dirtyIl peso delle rinnovabili inizia a farsi sentire anche sull’economia tedesca, che rischia di essere penalizzata in modo decisivo proprio nel momento in cui la congiuntura internazionale sembra migliorare.

E il superministro dell’economia e dell’energia, Sigmar Gabriel, in settimana ha detto che in Germania “abbiamo raggiunto il limite di quanto possiamo chiedere alla nostra economia”, secondo quanto riportato dal FT.

Un segnale chiaro, in vista delle proposte della Commissione di alzare gli obiettivi di riduzione delle emissioni e renderli vincolanti a livello europeo, attese per quest’oggi. Perché il governo tedesco ha già imboccato autonomamente la strada di obiettivi molto ambiziosi e vorrebbe impegni più stretti e vincolanti per tutti.

La transizione energertica tedesca (Energiewende) fissa obiettivi molto alti. Al 2050, le rinnovabili dovrebbero fornire l’80% della produzione elettrica e il 60% dei consumi energetici, con una riduzione delle emissioni di CO2 dell’80-95% rispetto al 1990.

I costi delle misure fin qui adottare sono però astronomici: 16 miliardi in più in bolletta per le famiglie tedesche, secondo le cifre riportare dall’Economist. 24 miliardi in totale, secondo le stime del FT. E col rischio che la Commissione europea imponga di ridurre le esenzioni per gli energivori, penalizzando così l’industria tedesca.

Un bel problema per il governo tedesco, che teme di veder compromessa la competitività delle proprie imprese. E per Gabriel, visto che c’è il rischio concreto che l’utilizzo delle centrali a carbone sia progressivamente ridotto. Un grosso problema, considerando la forte industria estrattiva tedesca e la vocazione degli occupati nel settore a votare per l’SPD, il partito di Gabriel.

Il problema più grosso per il governo tedesco e la spiegazione della sua intransigenza è però un altro. La legge tedesca è molto rigida e non permette in alcun modo un taglio retroattivo dei sussidi.

Questo significa che il peso dei sussidi è destinato a restare immutato per anni: anche smettendo di sussidiare impianti nuovi, ci sarebbero quelli vecchi da mantenere per venti anni dall’entrata in servizio. A quel punto, tanto vale usarli appieno e imporre agli altri Paesi europei un peso simile, affinché l’industria tedesca non sia troppo svantaggiata. In questo caso, il problema non è solo tedesco, ma anche del resto d’Europa.

Aggiornamento: segnalo anche l’interessante articolo di Matt McGrath per la BBC.

Fortemente ridotte le importazioni di gas dall’Algeria

Importazioni di gas dall'AlgeriaSecondo i dati di SRG, le importazioni di gas dall’Algeria hanno fatto registrare negli ultimi giorni un forte rallentamento, crollando ieri a 8 Mmc, contro i 33 Mmc di una settimana prima.

Come riporta SQ, la brusca riduzione dei quantitativi nominati sarebbe dovuta a una non conformità del gas algerino agli standard di qualità di SRG. In particolare, il gas sarebbe troppo umido.

La riduzione di questi giorni avviene rispetto a livelli già particolarmente bassi, a causa della temporanea contrazione delle importazioni del gas algerino di Sonatrach, concordata l’anno scorso.

In termini di sicurezza, l’impatto di una completa interruzione dei flussi dall’Algeria sarebbe in realtà limitato perché la domanda complessiva è molto bassa (ieri, 168 Mmc ieri).

Tuttavia, la capacità di importazione del gasdotto Transmed (97 Mmc/g conferibili) rappresenta quasi il 30% della capacità conferibile della rete nazionale. Anche se ora per ragioni congiunturali le conseguenze di un’interruzione sono ampiamente gestibili, un prolungarsi della situazione attuale, magari per ragioni non meramente estemporanee, rappresenterebbe un fattore di rischio, rendendo la rete nazionale eccessivamente dipendente dalle altre infrastrutture esistenti.

Aggiornamento: oggi (24/02), la situazione sta tornado verso la normalità, confermado la natura episodica della riduzione dei flussi di questa settimana.

Gazprom Export e le esportazioni verso l’Italia

Gazprom ExportGazprom Export (GE) ha diffuso nei giorni scorsi i dati relativi alle esportazioni nel 2013. Secondo le statistiche fornite, i volumi venduti dall’società all’Italia sono stati pari a 24,1 Gmc, in metto aumento rispetto ai 14,3 Gmc del 2012 (+9,6 Gmc) [a 39 MJ/mc]. E nonostante una contrazione assoluta del mercato italiano pari a 4,8 Gmc (-7%).

Si tratta di una crescita molto forte (+68%), imputabile al recupero di volumi sui contratti take-or-pay. L’aumento è stato consentito dalla parallela e temporanea riduzione dei flussi in arrivo dall’Algeria (-8 Gmc), in seguito alle rinegoziazioni dei contratti con Sonatrach, dalla riduzione delle importazioni dal Nord Europa (-1,5 Gmc) e dalla fermata del rigassificatore di Panigaglia (-1 Gmc). Tutte in larga misura operazioni di gestione del portafoglio da parte di Eni.

L’aumento delle vendite di GE non corrisponde tuttavia a un identico aumento delle importazioni dalla Russia. Secondo di dati del MiSE e di SRG, infatti, le importazioni di gas in ingresso al Tarvisio sono sì aumentate, ma “solo” di 6,3 Gmc, passando da 23,3 a 29,6 Gmc (+27%).

La differenza è dovuta al fatto che non tutte le importazioni di gas russo in Italia avvengono direttamente attraverso GE. La provenienza fisica del gas in ingresso al Tarvisio è la Federazione Russa e Gazprom ha il monopolio sulle esportazioni via tubo dal Paese. Lungo il tragitto, tuttavia, parte del gas è ceduto ad altre società.

Incrociando dunque i dati degli ingressi al Tarvisio con quelli diffusi da GE, emerge come nel 2012 il gas contrattualmente appertenente a GE abbia rappresentato il 61% dei volumi di gas russo. Nel 2013, invece, la quota di GE sul gas in ingresso al Tarvisio è cresciuta fino all’81%, spiegando così la cifra record presente nei comunicati ufficiali.

 

Hollande: un asse franco-tedesco nell’energia

François Hollande - Ouverture de la conférence de presse du président de la République au Palais de l’Élysée le 14 janvier 2014«Dobbiamo coordinarci per la transizione energetica. Questa è una grande scommessa per l’Europa. Ma noi, la Francia e la Germania, dobbiamo dare l’esempio […] nella costituzione delle filiere industriali comuni per la transizione energetica.

Siamo molto fieri dei risultati di Airbus, una grande impresa franco-tedesca […]. L’idea è quella di fare una grande impresa franco-tedesca per la transizione energetica».

C’è molta retorica nelle parole di Hollande, ma il progetto politico è chiaro (leggere o ascoltare per credere): l’integrazione europea deve essere in realtà un’integrazione franco-tedesca, con buona pace dei Paesi periferici.

E il Presidente cita tre punti chiave: stato sociale, difesa e energia. E proprio al modello industriale della difesa (Airbus) guarda la proposta francese: un campione franco-tedesco, tanto grande da puntare a dominare il mercato europeo e competere a livello globale.

E non rischiare noie dalla Commissione europea, che notoriamente ha un’avversione per i campioni nazionali e per uno Stato troppo interventista (invidia…?). Ma che dovrebbe ancora una volta arrendersi di fronte a una volontà comune franco-tedesca.

Nei fatti, è difficile dire a cosa potrebbe portare la proposta. Perché se dal lato francese è naturale guardare a EDF, su quello tedesco la frammentazione tra grandi operatori (E.on, RWE) e la limitata partecipazione pubblica (in mano a comuni e enti locali, peraltro) rendono davvero difficile trovare un referente. E immaginare uno sviluppo industriale a breve.

Eppure Hollande ha tracciato chiaramente una linea e ha toccato (direttamente o indirettamente) alcuni punti chiave per il governo tedesco: la transizione energetica, lo sviluppo di una filiera industriale di scala credibile, la difesa dei sussidi agli energivori di fronte agli obiettivi ambientali (e alle audaci iniziative del Parlamento europeo).

Se si andrà in quella direzione, l’effetto sarà un’ulteriore marginalizzazione dell’Italia, ridotta ancora di più a mercato finale dove esportare tecnologia. E degli operatori italiani, ai quali si è impunemente impedito l’ingresso in grande stile su alcuni mercati e che certo non avrebbero vita facile a competere con una crescente ingerenza pubblica franco-tedesca.

Insomma, anche se per ora non stiamo parlando di fusioni in vista, il cuore del messaggio è chiaro: finché si tratta di imporre la concorrenza sui mercati periferici (e noi lo siamo, uh se lo siamo), tutti europeisti. Ma quando si tratta fare politica industriale, c’è chi sembra avere le idee molto chiare. Se a Roma c’è un governo, batta un colpo.