Le difficoltà del post-Gheddafi e la sicurezza italiana

Tracciato del gasdotto GreenstreamL’amministratore delegato di Eni, Paolo Scaroni, ha recentemente dichiarato che le esportazioni di gas dalla Libia all’Italia potrebbero essere sospese a seguito di alcune manifestazioni di protesta popolare nei pressi della centrale di compressione di Mellitah.

Un episodio come questo evidenzia quanto il Paese nord-africano fatichi a ritrovare una stabilità interna, elemento necessario per la ripresa dell’economia e per assicurare prospettive migliori ai suoi cittadini e ai soggetti esteri che come Eni che vengono a lavorarvi.

La faccenda tuttavia non deve preoccupare l’Italia, che al momento si trova ad avere un eccesso di offerta di gas dovuto a molti fattori, non ultimo l’autunno particolarmente mite. Anche se venisse meno l’apporto del gasdotto Greenstream che ci porta il gas libico, non rischiamo affatto di rimanere al freddo o senza luce.

Più complessa è invece la valutazione su Eni, che ha storicamente puntato molto sulla Libia (Eni ottiene circa il 15% della sua produzione di idrocarburi da quel paese). Tuttavia, il problema principale di Eni non dovrebbe essere tanto quello di non poter importare il gas libico, quanto piuttosto quello di vedere minacciata la propria produzione di petrolio in Libia.

Eni può infatti utilizzare per l’Italia i volumi di gas che deve ritirare da Russia e Algeria in base alle clausole take or pay (volumi che si sono rivelati eccessivi), coprendo così la mancata produzione libica senza riportare un danno economico netto.

Diverso il discorso sul petrolio libico, che Eni può invece vendere sui mercati internazionali. Il perdurare dell’instabilità in Libia non può che implicare maggiori costi per la sicurezza e per il capitale (più è rischiosa un’attività, maggiore è il tasso d’interesse preteso dai creditori o dagli azionisti), cose non positive in questo periodo non troppo felice dell’economia mondiale.

Nucleare? Arrivano i cinesi

Edf - Hinkley PointIn Italia il nucleare è – purtroppo – ormai solo un ricordo del passato, mentre il dibattito a Bruxelles sembra essere fossilizzato a quante rinnovabili sussidiare e a come limitare il ruolo di Gazprom. Intanto però il mondo va da un’altra parte.

A ricordarcelo è l’accordo quasi raggiunto nel Regno Unito per la realizzazione di un nuovo reattore nucleare a Hinkley Point, in Somerset. A costruire l’impianto saranno la francese Edf (che già opera la centrale) e un partner non ancora rivelato, che a quanto pare dovrebbe essere la China General Nuclear Power Group, uno dei due gruppi cinesi attivi nella costruzione di centrali (l’altro è China National Nuclear Corp).

Se finalizzato, l’accordo prevederà l’accesso dei cinesi alla tecnologia dell’European pressurised reactor (il modello da esportazione dell’industria nucleare francese), l’acquisizione delle procedure di sicurezza e delle capacità di gestione del processo di costruzione (esclusa per il momento l’ipotesi che i cinesi operino la centrale).

L’industria cinese è in questo momento molto attiva, con 29 reattori in costruzione solo in Cina (sì, 29: tre volte tanto le centrali ancora attive che i tedeschi vorrebbero chiudere). Questa ulteriore partnership in Europa darebbe tuttavia un contributo essenziale per competere sui mercati globali, soprattutto in Medio Oriente e in Asia (determinanti sia la tecnologia sia la padronanza delle norme di sicurezza europee).

Un patto col diavolo per Edf, ma necessario per trovare i fondi necessari a far partire i lavori (la stima iniziale è di 16,5 miliardi di euro, ma si sa come vanno queste opere). La liquidità non è tuttavia un problema per il governo cinese, che mira tra l’altro in questo modo a diversificare la valuta dei propri investimenti.

Dal punto di vista britannico, il nodo più critico è quello del costo dell’energia: il nucleare è conveniente nel lungo periodo, ma gli investitori vogliono un ritorno subito (soprattutto i francesi). I termini dell’accordo sono segreti, ma secondo indiscrezioni il prezzo previsto sarebbe parecchio sopra i prezzi di mercato attuali (90-92 sterline a MWh, contro un prezzo medio odierno tra 50 e 60 e uno atteso a 15 anni di circa 80).

Un caro prezzo, ma con diversi vantaggi. Oltre alla diversificazione e agli investimenti diretti, il Regno Unito avrebbe infatti portato a casa un altro risultato di peso: ospitare a Londra il primo mercato autorizzato a trattare il reminby, la valuta cinese che prima o poi dovrà iniziare la transizione in uscita dal cambio fisso. A beneficiare saranno anche i rapporti tra Londra e Parigi, magari con un occhio alla rinegoziazione delle condizioni di appartenenza all’Ue per i Paesi non-euro.

Per i britannici il nucleare rappresenta anche un modo di ridurre le emissioni di anidride carbonica, in vista dell’obiettivo nazionale di decarbonizzazione dell’economia al 2050. Importante per gli equilibri politici interni britannici, ma ininfluente a livello globale: nei prossimi 20 anni, i cinesi installeranno 280 GW solo di nuove centrali a carbone (a conferma che la riduzione delle emissioni è un business molto europeo). Il nucleare è solo un tassello.

Rinnovabili e criminalità organizzata

Analisi dei rischi di illegalità e penetrazione della criminalità organizzata nel settore dell'energia eolica in ItaliaLa repentina e ampia diffusione delle rinnovabili negli ultimi anni presenta un aspetto inquietante. Non mi riferisco in questo caso alle cifre dei sussidi, ma alla penetrazione delle organizzazioni criminali nella costruzione degli impianti di generazione da fonti rinnovabili.

Numerose le indagini in corso, concentrate soprattutto nelle regioni del Mezzogiorno, dove gran parte degli impianti è sorta grazie alle condizioni climatiche molto favorevoli.

A rendere particolarmente forte il rischio di penetrazione criminale è stata paradossalmente l’azione pubblica, che da un lato ha concentrato enormi trasfrerimenti di fondi (nell’ordine di miliardi di euro all’anno) in pochi anni e dall’altro ha aumentato il peso delle amministrazioni locali nei processi autorizzativi .

Le amministrazioni locali, piccole e direttamente esposte all’infiltrazione, sono molto meno efficaci di una struttura centralizzata nel garantire procedure imparziali e impermeabili a interessi criminali. La gravità della situazione – soprattutto nell’eolico – appare evidente considerando le continue inchieste che stanno emergendo in questi mesi.

Per chi volesse approfondire, segnalo l’Analisi dei rischi di illegalità e penetrazione della criminalità organizzata nel settore dell’energia eolica in Italia dell’Osservatorio socio-economico sulla criminalità del CNEL (qui la sintesi). L’indagine è dell’anno scorso e nel frattempo alcune procedure sono cambiate, ma il problema di fondo conserva la sua attualità.

Capgemini sottolinea i rischi delle rinnovabili

Sicurezza energetica in Europa a rischio black-out dalle fonti rinnovabili Secondo quanto riportato da Adnkronos, la multinazionale francese di consulenza Capgemini ha realizzato uno studio sull’impatto delle fonti rinnovabili in Europa, condotto dall’Osservatorio europeo dei mercati energetici.

Il risultato conferma una dinamica sempre più evidente: la diffusione delle rinnovabili discontinue sta mettendo a rischio la sicurezza energetica europea. In particolare la diffusione dei grandi parchi eolici nel Nord Europa ha un effetto strutturale molto grave: la pesante incentivazione ha infatti minato la competitività delle centrali termoelettriche, spingendo diversi operatori a programmarne la chiusura.

Il ruolo delle centrali termoelettriche, sempre disponibili, è tuttavia fondamentale per mantenere in equilibrio la rete e compensare gli squilibri dovuti alla natura discontinua della produzione rinnovabile (eolica e fotovoltaica). Si crea così un potenziale rischio per la stabilità del sistema elettrico europeo, sempre più interconnesso, paradossalmente creato dall’intervento pubblico.

Molto di cui riflettere, in Germania come in Italia. Ma soprattutto a Bruxelles.

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Aggiornamento: qui il report completo.

Eni World Oil and Gas Review 2013

Eni - World Oil and Gas Review 2013Eni ha pubblicato la World Oil and Gas Review 2013, l’annuario statistico dedicato agli idrocarburi. Giunta alla sua dodicesima edizione, la WOGR rappresenta il contraltare della Statistical Reveiw of World Energy di BP, ma si differenzia da quest’ultima per un’attenzione più marcata ai soli idrocarburi, di cui fornisce dati molto più approfonditi (anche se con serie storiche molto più brevi).

Particolarmente interessante la terza parte della WOGR, quella dedicata alle attività raffinazione. Con una completezza unica tra le fonti aperte a livello mondiale, l’annuario ricostruisce paese per paese la qualità dei greggi prodotti e la capacità di raffinazione. Uno strumento molto prezioso per chi voglia approfondire il tema.

Commissione vs Gazprom: si avvicina la resa dei conti

Gazprom, al via procedura Ue Si avvicina un passaggio cruciale nella guerra tra la Commissione europea e Gazprom. Giovedì il commissario alla concorrenza Joaquin Almunia ha annuciato l’imminente invio all’azienda russa di una lettera con le contestazioni emerse alla fine dell’istruttoria per pratiche anticoncorrenziali nel gas avviata l’anno scorso (qui gli addebiti).

In sintesi, la Lituania ha contestato il comportamento di Gazprom, accusando l’azienda di imporre prezzi troppo alti e di abusare della propria posizione dominante. La Commissione ha così avviato l’indagine (estendendola a otto paesi dell’Europa orientale) e le dichiarazioni di Almunia fanno intendere che le prove raccolte spingeranno la Commissione a prendere provvedimenti contro Gazprom.

L’azienda rischia in teoria una multa fino a 10,9 miliardi di euro (il 10% del fatturato di Gazprom), anche se difficilmente si arriverà a una sazione così alta. Dopo l’invio della lettera e la possibilità per i legali di Gazprom di accedere al materiale raccolto si aprirà infatti una fase difensiva, durante la quale l’azienda potrà anche negoziare sanzioni più miti (oltre che naturalmente ricorrere in giudizio).

 La  lettera a Gazprom apre lo scenario di uno scontro che non sarà solo giudiziario, ma anche politico: difficilmente infatti il Cremlino resterà impassibile rispetto a un’eventuale contestazione. Ogni allarme circa le forniture di gas per questo inverno è però esagerato e strumentale, perché resta in ogni caso nell’interesse russo mostrarsi un fornitore affidabile in ogni circostanza.

I prossimi aggiornamenti relativi all’indagine saranno pubblicati nel registro dei casi al numero 39816.

ps: i più maligni potrebbero ipotizzare un collegamento tra il recente pressing mediatico di Gazprom su South Stream e il fatto che la decisione della Commissione fosse attesa per questo periodo.