Offshore LNG Toscana, tutto pronto

FSRU Toscana (© Anthony Vella - MarineTraffic.com)È arrivata oggi nelle acque antistanti Livorno la nave Golar Frost (oggi FSRU Toscana), la metaniera riconvertita in unità di rigassificazione galleggiante (FSRU, Floating Storage and Regasification Unit) che sarà ancorata in modo permanente al largo di Livorno.

La FSRU Toscana, privata dei motori e riconvertita in terminale a Dubai, è l’elemento centrale del progetto OLT (Offshore LNG Toscana) e sarà ancorata 12 miglia al largo di Livorno. Con una capacità di circa 137.500 metri cubi di GNL, la nave-terminale consentirà infatti la rigassificazione e l’invio a terra via condotta sottomarina del GNL trasportato dalle navi metaniere per una capacità massima annua di 3,75 Gmc, pari a circa il 5% del consumo nazionale.

OLT sarà così il terzo rigassificatore attivo in Italia, dopo Panigaglia (3,3 Gmc/a, ma attualmente quasi fermo) e Porto Viro (8 Gmc/a), ma è il primo interamente imbarcato su una metaniera. Si tratta di una modalità operativa recente, che mira a ridurre i costi e l’impatto ambientale, già ampiamente sperimentatata nel mondo (Regno Unito, Stati Uniti, Brasile, tra gli altri).

Sebbene la capacità del nuovo terminale rappresenti solo una frazione della capacità di importazione della rete italiana, il contributo in termine di aumento della concorrezialità potrebbe essere significativo.

Non solo infatti l’approvvigionamento non avviene sulla base di contratti di lungo periodo, ma i soci di OLT (E.On e Iren) hanno anche deciso di offrire al mercato tutta la capacità. In questo modo sarà teoricamente possibile per gli operatori italiani avvantaggiarsi delle basse quotazioni di eventuali carichi spot sui mercati internazionali.

ps: mercoledì 31 luglio alle 21:00 il titolare sarà ospite di una trasmissione sul tema a Granducato TV.

TAP: raggiunto l’accordo sui nuovi soci

Ingrandisci - TAP: la nuova composizione azionariaA un mese dalla vittoria nella competizione con Nabucco per il trasporto del gas azerbaigiano in Ue, il consorozio TAP ha annunciato ufficialmente l’ingresso di quattro nuovi soci.

Tre dei nuovi soci appartengono al consorzio Shah Deniz (BP, SOCAR e Total), mentre uno è un operatore specializzato in reti (Fluxys). A ridurre la propria quota è stata soprattutto Axpo (passata dal 42,5% al 5%), mentre Statoil e E.On hanno confermato una partecipazione significativa.

Ora dunque gli azionisti di TAP sono la compagnia britannica BP (20%), la compagnia statale azerbaigiana SOCAR (20%), la compagnia di stato norvegese Statoil (20%), la società belga Fluxys (16%), la compagnia francese Total (10%), la compagnie tedesca E.ON (9%) e la compagnia svizzera Axpo (5%).

Nuove commesse navali dall’Algeria

Il cacciamina Katanpaa, simile a quello che sarà realizzato per l'AlgeriaCome abbiamo già detto, la sicurezza energetica è fatta – anche – di relazioni bilaterali coi Paesi produttori e di un allargamento della cooperazione economica che stabilizzi i rapporti e vada a beneficio di tutti, compresa l’industria nazionale.

Un buon segnale arriva in questo senso dall’Algeria, uno dei nostri due grandi fornitori di gas. Il Paese è anche un ottimo cliente della cantieristica militare italiana, anche se l’incapacità dei decisori politici di tutelare l’interesse nazionale è costata parecchio l’anno scorso, quando Thyssen Krupp ha scippato una commessa da 2,2 miliardi a Fincantieri).

Adesso sembrano invece esserci di nuovo buone notizie. Secondo quanto riportato dalla RID di luglio, Orizzonte Sistemi Navali (51% Fincantieri, 49% Finmeccanica) avrebbe chiuso un nuovo contratto per la vendita di un cacciamine alla Marina algerina.

OSN è inoltre già impegnata nella realizzazione di una unità anfibia per l’Algeria (progetto BDSL), commessa per la quale è stato fondamentale il sostegno della Marina Militare (che ha in carico parte della formazione del personale algerino).

La ripresa passa anche per le esportazioni ad alta tecnologia: tocca al governo far valere i rapporti con i nostri partners commerciali, soprattutto quelli in campo energetico. A vantaggio dell’industria nazionale e della stabilità dei rapporti bilaterali.

Ombrina a mare: quanto è difficile investire in Italia

Ombrina Mare Exploration and DevelopmentIl caso della concessione di Ombrina mare è un pezzo di teatro dell’assurdo: godibile, se non fosse cronaca. Medoilgas Italia ha ottenuto dal MiSE il permesso di coltivazione a dicembre 2012 e la VIA (con le prescrizioni del caso) nel gennaio 2013 (qui la documentazione).

Più di tre anni per arrivare in fondo e già qui ci sarebbe da ridire: il problema però è che il Ministero dell’ambiente ha poi cambiato idea su una propria decisione precedente, bloccando tutto.

Come riporta il Sole24Ore, «nell’ottobre 2012, la Direzione valutazioni ambientali disponeva l’assoggettamento del progetto all’Aia (autorizzazione integrata ambientale) solo dopo il quarto anno di esercizio. Si riteneva dunque sufficiente il parere positivo della Commissione di Valutazione impatto ambientale, anche allo scopo di evitare “aggravi procedimentali” alla luce del decreto semplificazione 5/2012».

Peccato però che, una volta arrivata la VIA, al Ministero qualcuno abbia cambiato idea. Senza che infatti nulla nel progetto fosse cambiato, il 9 luglio è stato richiesto a Medoilgas Italia di imporre immediatamente la procedura di AIA, a differenza di quanto già stabilito. Imponendo costi e ritardi evitabili, come ha fatto notare Medoilgas Italia (che a scanso di equivoci si è comunque detta pronta ad affrontare il procedimento).

A pensar male, si potrebbe tracciare un collegamento tra la decisione del Ministero e le elezioni regionali in Abruzzo, che dovrebbero tenersi per la fine dell’anno. A vedere il modo ideologico con cui l’argomento Ombrina mare è affrontato (con sano disprezzo per la realtà), di certo se ne sentirà parlare in campagna elettorale e la tentazione di cavalcare la questione sarà forte per diversi politici.

Beninteso, non voglio entrare nel merito dei procedimenti, ma appare evidente a chiunque che a queste condizioni fare un investimento in questo Paese purtroppo rasenti il masochismo, tanto che per il rischio politico il Times ha equiparato l’Italia a «alcune parti dell’Africa [e] a certi Paesi del Sudamerica». Purtroppo, difficile dargli torto.

TAP: audizione informale in Senato

Realizzazione progetto di cui all'Accordo tra Albania, Gracia e Italia: audizione in Ufficio di Presidenza 10a CommissioneQuesta mattina il country manager Italia di TAP, Giampaolo Russo, è stato sentito dalla Commissione Industria, commercio, turismo del Senato per presentare il progetto e i possibli impatti.

Secondo quanto riportato da SQ, l’audizione di Russo si sarebbe incentrata soprattutto sulle caratteristiche tecniche del progetto e sulle ricadute sul territorio.

SQ ricorda anche che a giungno l’Aeeg ha pubblicato il parere definitivo delle autorità di regolazione italiana, albanese e greca Joint Opinion of the Energy Regulators on TAP AG’s Exemption Application (allegato a 249/13/R/gas), modificato in seguito alle osservazioni della Commissione europea.

Eni scommette sull’Algeria

Scaroni: «Eni consolida la presenza in Algeria» Paolo Scaroni ha annunciato nuovi investimenti in esplorazione in Algeria, dopo aver incontrato il Ministro dell’Energia algerino, Youcef Yousfi.

Eni ha anticipato un interesse alla collaborazione con la compagnia di stato Sonatrach (socio obbligato al 50%) per nuove attività di esplorazione nel Paese, sia offshore sia nell’area dell’Atlante, situata 100 chilometri a sud di Algeri.

A pesare non sono solo i rischi geologici (Scaroni ha definito l’attività “high risk high reward”), ma soprattutto politici. L’Algeria si prepara infatti da mesi alla transizione post-Bouteflika.

L’anziano presidente è rientrato martedì scorso dopo diversi mesi in Francia, dove era stato ricoverato per le conseguenze di un ictus. Le sue reali condizioni mediche sono avvolte dal mistero e ad Algeri è già aperta la competizione in vista delle elezioni presidenziali di aprile 2014.

L’Algeria è riuscita a evitare le conseguenze più destabilizzanti delle rivolte nei Paesi arabi e delle guerre in Libia e Mali, grazie ai solidi apparati di sicurezza e ai proventi delle esportazioni energetiche.

Il continuo aumento di popolazione, la possibilità che la lotta per la transizione si trasformi in scontro aperto, la minaccia di una ripresa delle attività terroristiche islamiste (favorite dalla porosità dei confini sahariani) rappresentano altrettanti elementi di rischio che rendono gli investimenti nel Paese una vera e propria scommessa.

Anche in caso di instabilità, tuttavia, le conseguenze di un’eventuale instabilità potrebbero essere solo transitorie. Come dimostrato anche dal caso libico, la prima priorità di chiunque prenda il potere resta sempre quella di accedere ai flussi di cassa generati dalle esportazioni, a tutto vantaggio di chi già gode di una posizione consolidata nel Paese.

E Eni sembra anche in questo caso avere le carte in regola: presente in Algeria dal 1981, partecipa in 8 permessi in fase di sviluppo e in 24 già in produzione, che l’hanno resa nel 2012 il primo produtte del Paese (come Libia). Un rischio calcolato, insomma.