Il TAP procede a piccoli passi

Trans Adriatic Pipeline (TAP)Il Consiglio dei ministi di ieri ha appravato il ddl di ratifica degli accordi con Albania e Grecia per la costruzione del gasdotto TAP, secondo quanto riportato oggi dal Sole24Ore.

Si tratta di un nuovo passo avanti, che si somma alla recente approvazione dell’esenzione all’accesso a terzi da parte della Commissione europea.

Procede dunque la competizione tra TAP e Nabucco per il trasporto del gas azerbaigiano in UE. La decisione, attesa per maggio, è slittata a giugno o luglio, secondo quanto dichiarato da Vaqif Sadiqov, ambasciatore azerbaigiano in Italia.

Difficile dire già oggi chi avrà la meglio: il Nabucco è senza dubbio favorito dalla maggior dinamicità dei mercati balcanici, mentre il TAP offre una composizione azionaria più stabile e credibile, oltre a coinvolgere direttamente un grande mercato come quello italiano.

Determinante sarà di certo la posizione del governo azerbaigiano, la cui posizione ufficiale per ora è che le infrastrutture si debbano fare entrambe. Idea ambiziosa, ma al momento poco sostenibile non solo per i dubbi sui tempi di sviluppo dell’ulteriore capacità produttiva azerbaigiana, ma anche per la perdurante crisi della domanda europea.

Nota: la composizione azionaria del Nabucco indicata da Federico Rendina sul Sole non è corretta: da aprile, l’austriaca OMV ha rilevato la quota di RWE, diventando azionista di riferimento (anche se con l’intenzione dichiarata di favorire l’ingresso di non ben definiti nuovi soci).

Consiglio europeo: eppur si muove

Consiglio europeoL’energia spiccava tra gli argomenti del Consiglio europeo del 22 maggio scorso, occupando ben 5 delle 9 pagine delle conclusioni. Chi vi cercasse prese di posizioni roboanti, avrebbe sbagliato posto e istituzione (e probabilmente anche continente).

Tuttavia qualcosa sembra essersi mosso: finalmente l’isteria millennarista della lotta al cambiamento climatico ha segnato il passo, a favore dell’attenzione alla competitività. Contenere i costi dell’energia è infatti la priorità numero uno: nulla di epocale, ma forse riusciremo ad avere politiche più sensate anche a livello europeo.

Gli altri punti sono grandi classici: più mercato interno e interconnessioni, più scambio di informazioni, più diversificazione ed efficienza, un quadro più affidabile per gli investimenti.

Su quest’ultimo punto si specifica «in primo luogo dal mercato» (bontà loro), ma poi si auspica anche una «revisione da parte della Commissione delle norme in materia di aiuti di Stato per consentire interventi mirati al fine di agevolare gli investimenti nel settore energetico».

Posizioni insomma come sempre in equilibrio tra posizioni piuttosto distanti tra loro, come nel sibillino richiamo a proseguire l’esame della «questione del nesso contrattuale dei prezzi del gas e del petrolio».

Nell’insieme, la farraginosa macchina del compromesso europeo sembra aver ripreso qualche contatto con la realtà. Di strada da fare ce n’è come sempre molta, eppur si muove.

Greggio: Scaroni prevede prezzi in calo

FT - Tough oil pricing ahead, says Eni chiefIn un’intervista sul Financial Times, Paolo Scaroni si è allineato alle previsioni ribassiste sulle quotazioni del petrolio, riconoscendo apertamente che è «più probabile che [il prezzo del greggio] vada su che non giù», a meno che non si registri un inatteso boom nell’economia mondiale.

L’orizzonte temporale indicato è quello tra due e cinque anni e i principali drivers saranno la domanda debole e l’arrivo sul mercato di nuova capacità produttiva.

Se la previsione è certamente mainstream, più interessante appare il ragionamento relativo alle dinamiche di prezzo innescate dall’anomalia del gas da argille statunitense, che costa molto meno (4 USD) del greggio (16 USD) a parità di potere calorifico (MBTU).

Prezzi così bassi stanno creando un’importante finestra di opportunità di mercato per il gas anche nel settore trasporti, tradizionale roccaforte dei consumi petroliferi. Il passaggio al metano di intere flotte commerciali potrebbe ridurre la domanda petrolifera, innescando un ulteriore spinta ribassista per il greggio.

Questo scenario si manterrebbe plausibile anche con prezzi del gas in netto aumento e quotazioni del greggio in discesa, dato l’enorme divario esistente e la naturale inerzia dei livelli di domanda.

Per quanto riguarda l’impatto del calo delle quotazioni del greggio sugli operatori, Scaroni sottolinea come – nonostante l’impatto negativo sui bilanci – le grandi multinazionali abbiano margine per restare sul mercato. Nel caso di Eni, Scaroni indica che la società potrebbe affrontare prezzi in caduta fino a 45 USD al barile.

Il dubbio è che possano farlo i Paesi produttori, ma questa è un’altra storia.

 

Eni è al 70% privata: ma va?

Eni diventa «privata»: i fondi battono il Tesoro in assembleaI fatti: domenica in assemblea dei soci di Eni Spa i privati partecipanti avevano un pacchetto azionario complessivo superiore a quello dello Stato (CDP e Tesoro hanno il 30,1%), che era in minoranza.

Un numero crescente di soci privati (30,98% delle quote) ha infatto preso parte all’assemblea, soprattutto i fondi di investimento stranieri. Dunque? Tutto nella norma, per una società per azioni. Ma non in Italia, dove l’azionista pesante ha sempre contato su un formidabile moltiplicatore di forze: l’acquiescenza formale.

Fuori luogo il moltiplicarsi di commenti che annunciano con indignazione la privatizzazione di Eni. L’azienda, creata com Ente pubblico nel 1953, è diventata una SpA nel 1992 ed è stata quotata a Milano, Londra e New York dal 1995.

«In poco più di due anni e mezzo il Ministero del Tesoro, con quattro offerte, ha collocato sul mercato circa il 63% del capitale dell’Eni, con un incasso complessivo di oltre 21 miliardi di euro (oltre 41.000 miliardi di lire)», secondo la ricostruzione ufficiale. Un altro 5% è stato venduto nel 2001, fruttando 2,7 miliardi di euro.

Lo Stato è ancora oggi l’azionista di maggioranza (relativa) e può far valere la minoranza di blocco per ogni decisione straordinaria e, come extrema ratio, usare i privilegi connessi alla golden share.

La vera domanda è: è ancora necessario che una quota così alta di Eni sia in mano pubblica? Politicamente, è opinabile. Di certo però in materia di sicurezza energetica la risposta è no.

Perché il gas e il petrolio sui mercati italiani arrivano in ogni caso, proprio perché sono mercati (anche meglio: sono parte di mercati internazionali). Le necessità e il contesto storico sono molto cambiati rispetto agli anni Cinquanta e anche ammesso che sia necessario avere una voce in capitolo sulle decisioni di uno dei tanti operatori del mercato, la golden share è più che sufficiente.

Il resto è solo matenimento di un’ingerenza pubblica che comprime l’efficienza, distorce gli investimenti e la possibilità di creare ricchezza, come dimostrato dalle lunghe resistenze alla separazione da Snam Rete Gas.

Possibili problemi per i prezzi spot del gas

FT - Companies end co-operation with gas price agenciesStanno emergendo in questi giorni sempre più notizie relative a un problema che potrebbe avere importanti conseguenze per i mercati spot del gas naturale in Europa, secondo quanto riportato dal Financial Times (e brevemente ripreso da SQ).

A partire da novembre, quando scoppiò il caso delle manipolazioni dei tassi Libor – un numero crescente di operatori ha smesso di comunicare i dati relativi ai prezzi di scambio alle Price-reporting agencies (Platts, Argus e Icis Heren).

A RWE e Centrica si è aggiunta di recente anche Statoil, assieme a diversi traders. Gli operatori vogliono evitare di essere coinvolti in eventuali scandali che dovessero emergere relativamente a possibili manipolazioni dei prezzi. Tra l’altro, il regolatore britannico sta già indagando Heren proprio per sospetta manipolazione delle quotazioni NBP.

Le PRA sostengono di avere comunque accesso a dati sufficienti per garantire l’affidabilità delle quotazioni pubblicate (tra cui TTF, a l’Aeeg guardava come possibile benchmark per la prezzatura della componente materia prima in vista della riforma delle tariffe del servizio di maggior tutela), ma il dubbio che ci sia qualche scandalo in arrivo è legittimo.

La vicenda rappresenta in ogni caso un campanello d’allarme circa la necessità di regolare a livello europeo in modo più trasparente le attività di scambio e di determinazione delle quotazioni giornaliere ai punti di scambio.

Questo è tanto più vero nella fase attuale, in cui si mettono sempre più in discussione le formule di indicizzazione alle quotazioni del greggio presenti nei contratti di lungo periodo. Queste formule, con tutti loro difetti, hanno almeno il pregio di avere un riferimento certo e molto difficile da manipolare.

Nota: il tema è stato ripreso, con alcune interessanti aggiunte, da Matteo Monti.

Bilancio energetico nazionale

Bilancio energetico nazionaleIl Dipartimento per l’energia del Ministero dello sviluppo economico ha pubblicato il Bilancio energetico nazionale provvisorio relativo al 2012.

I dati provvisori confermano un calo generale dei consumi (-3,5%) a 178 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio (Mtep).

La contrazione riguarda in particolare il petrolio (-8,1%), a 63,6 Mt, e il gas naturale (-3,9%), a 61,4 Mtep (pari a 73,2 miliardi di metri cubi), oltre alle importazioni elettriche (-5,8%), a 9,5 Mtep.

Stabile invece il consumo di combustibli fossili, a 16,6 Mtep, grazie ai prezzi particolarmente competitivi. In crescita infine, naturalmente grazie agli incentivi, la produzione da fonti rinnovabili (+9,1%), a 26,9 Mtep.

Per chi fosse interessato, metto a disposizione la mia elaborazione dei dati ufficiali pubblicati: