Turchia: esploso nuovamente il gasdotto dall’Azerbaigian

Explosion closes Azerbaijan-Turkey gas pipeline againA tre settimane dal precedente attacco, il gasdotto che collega il giacimento offshore azerbaigiano di Shah Deniz alla rete turca è stato fatto saltare nella provincia di Kars, nella parte orientale dell’Anatolia.

Il gasdotto era stato riaperto domenica, al termine dei lavori di riparazione dei danni dell’attacco di inizio agosto. Secondo quanto riportato, anche in questo caso le operazioni di ripristino richiederanno parecchi giorni.

L’attacco dovrebbe essere riconducibile al PKK, in risposta agli attacchi operati dall’aviazione turca contro le milizie curde in Siria. Oltre al gasdotto dall’Azerbaigian, nelle scorse settimane sono stati fatti saltare anche il gasdotto dall’Iran, l’oleodotto dall’Iraq e un elettrodotto, confermando la vulnerabilità delle infrastrutture energetiche turche e la loro rilevanza come obiettivi militari.

Turchia: esploso il gasdotto dall’Azerbaigian

Baku-Tbilisi-Erzurum pipeline blasted (UPDATE)Secondo quanto riportato da AzerNews, un’esplosione nella provincia di Sarikamis ha interrotto oggi il gasdotto Baku-Tbilisi-Erzurum che trasporta il gas dal giacimento azerbaigiano di Shah Deniz fino alla rete turca. In un primo momento le autorità turche avevano parlato di un incidente, ma hanno poi ammesso che si è trattato di un attacco deliberato.

Secondo quanto riportato, al momento dell’esplosione la condotta sarebbe stata praticamente vuota in conseguenza di alcuni lavori di manutenzione avviati il 2 agosto su una piattaforma di Shah Deniz.

Si tratta del quarto attacco in breve tempo, dopo che nei giorni scorsi erano stati fatti esplodere il gasdotto dall’Iran, l’oleodotto dall’Iraq e una linea di trasmissione elettrica. In tutti i casi, gli attacchi sarebbero riconducibili ad azioni militari del PKK in risposta ai bombardamenti avviati dalla Turchia contro i curdi col pretesto di combattere l’ISIS.

L’impatto dell’attacco, al pari di quelli dei giorni scorsi, è  soprattutto simbolico, dato che le operazioni di ripristino sono già in corso e non dovrebbero durare più di qualche giorno. L’episodio mette tuttavia ancora una volta in evidenza la vulnerabilità delle infrastrutture energetiche turche. Un dato rilevante anche per noi, dato che il gasdotto esploso è lungo la linea destinata a trasportare in Italia il gas azerbaigiano attraverso il TANAP e il TAP.

Obama colpisce il carbone, ma a contare sono i consumi cinesi

Il presidente statunitense ha annunciato un piano di riduzione delle emissioni più stretto del previsto, con l’obiettivo di un taglio del 32% rispetto ai valori del 2005 entro il 2030. Tante le componenti che contribuiranno al risultato, dall’aumento dell’efficienza alla diffusione delle rinnovabili, ma l’elemento cruciale di questa accelerazione delle politiche climatiche statunitensi sarà la riduzione dell’utilizzo del carbone nella generazione elettrica, a favore in primo luogo del gas naturale, economico e con emissioni pari a quasi la metà.

La data dell’anno base (2005) è convenientemente posta alla vigilia dell’esplosione della produzione del gas da argille negli Stati Uniti e del crollo dei prezzi del gas in Nord America. In pratica, la sostituzione del carbone col gas sta già avvenendo, grazie a meccanismi di mercato. E se le tecnologie di accumulo elettrico continueranno a svilupparsi, anche il solare potrebbe erodere quote significative.

Si attendono i dettagli del piano di Obama e le contromosse dell’opposizione interna, ma la chiave del successo nel raggiungere l’obiettivo del -32% sarà quella di ridurre drasticamente la produzione delle centrali a carbone più vecchie. Ottima cosa, soprattutto perché si ridurranno gli inquinanti locali senza aumentare la dipendenza dall’estero, visto che sia il gas sia il fotovoltaico sarebbero fonti interne. Ma cambierà radicalmente la partita globale della lotta al cambiamento climatico? Guardiamo qualche dato.

L'evoluzione dei consumi di carbone delle principali economie (1965-2014)

Non solo la Cina è il principale consumatore di carbone al mondo da 25 anni, ma è arrivata a consumare più carbone di tutte le altre economie del mondo messe insieme.I principali consumatori di carbone al mondo (2014)

Grazie al costo contenuto, il carbone rappresenta infatti stabilmente la principale fonte di energia delle grandi economie emergenti, una situazione che nelle previsioni dell’IEA è destinata a continuare nei prossimi decenni. Nello scenario di riferimento, i consumi cinesi dovrebbero crescere costantemente anche nel prossimo decennio, arrivando a 10.200 Mtep nel 2030.
La quota del carbone sui consumi di energia primaria (2014)

Insomma, quando si parla di carbone (e di emissioni), si parla in primo luogo di Cina. Il contributo di tutti è utile, ma senza una seria riduzione delle emissioni cinesi, gli sforzi degli altri restano marginali: basti pensare che le emissioni cinesi già oggi sono quasi 2,5 volte quelle di tutti i 28 Paesi UE messi insieme. E che nel 2020 saranno il doppio di quelle statunitensi. Intanto, però, il governo di Pechino ha già annunciato che potrebbero continuare crescere fino al 2030.

La mossa di Obama, oltre a placare la sinistra liberal, dovrebbe in teoria servire a fare pressioni sulla Cina e sugli altri Paesi emergenti in vista della COP21 di Parigi, in programma a dicembre. Sarà tuttavia difficile convincerli a rinunciare al carbone e rallentare così il proprio sviluppo senza fornire alternative energetiche altrettanto economiche. Come peraltro accaduto agli statunitensi, che hanno preso sul serio la riduzione delle emissioni da quando dispongono del gas non convenzionale.
D’altronde, mica tutti sono autolesionisti come gli europei.

Turchia: esploso l’oleodotto dall’Iraq

L'oleodotto Iraq-Turchia attaccato A due giorni dall’attacco che ha distrutto un segmento del gasdotto di importazione dall’Iran, ieri un’esplosione ha interrotto l’oleodotto che dal Kurdistan iracheno arriva fino al terminale turco di Ceyhan, sul Mediterraneo orientale. L’esplosione è avvenuta nel distretto di Cizre, a 18 km dal confine con l’Iraq.

L’oleodotto nei mesi scorsi trasportava in media 600.000 bbl/g, dopo che il governo regionale curdo di Erbil era giunto a un accordo sulla divisione dei proventi delle esportazioni, necessari peraltro anche per finanziare le truppe curde al fronte con l’ISIS. Al momento dell’esplosione l’oleodotto stava funzionando a regime ridotto, secondo quanto riportato, a causa di un tentativo di furto che sarebbe accaduto nella giornata di lunedì.

Oltre al gasdotto e all’oleodotto, nel weekend era stata attaccata anche una linea di trasmissione elettrica, mettendo in evidenza l’importanza delle infrastrutture energetiche come bersagli di questa fase dell’escalation tra il governo turco e le forze curde, capillarmente presenti nell’area.

Turchia: esploso il gasdotto dall’Iran

Si alza la tensione in Turchia e le infrastrutture energetiche del Paese diventano bersaglio di attacchi esplosivi. Dopo l’avvio dei bombardamenti turchi contro le posizioni del PKK, condotti in parallelo agli attacchi all’ISIS, le forze armate curde hanno reagito facendo saltare ieri il gasdotto di importazione del gas iraniano in Turchia.

Turchia: il tratto di gasdotto saltato

L’Iran è il secondo fornitore di gas della Turchia, dopo la Russia, e tutti i flussi dipendono dal transito attraverso le aree orientali del Paese, dove la presenza e la capacità operativa curda sono più forti. Già in passato i gasdotti nell’area sono stati fatti saltare più volte, l’ultima su vasta scala nel 2012.

L'approvvigionamento di gas della Turchia (2014)

L’attacco di ieri non ha posto problemi di forniture ai clienti finali, perché durante la stagione estiva i consumi sono più bassi e perché le forniture russe e azerbaigiane consentono di compensare, in caso di necessità. Tuttavia l’episodio ha messo ancora una volta in evidenza la vulnerabilità del sistema turco, di fatto totalmente dipendente dalle importazioni e caratterizzato da consumi in crescita nel lungo periodo.

Una vulnerabilità che apre a due riflessioni: Gazprom si conferma ancora una volta il fornitore di ultima istanza, chiamato a garantire la sicurezza dell’approvvigionamento quando i clienti europei e turchi ne hanno bisogno, sia che si tratti di instabilità delle forniture nordafricane o mediorientali, sia che si tratti di picchi invernali di freddo. A prescindere dal fatto che in questa circostanza siano aumentate o meno le richieste di gas russo, il polmone dell’approvvigionamento europeo resta la Russia, rete ucraina permettendo.

La seconda riflessione riguarda il gas iraniano: per quanto la coalizione internazionale – Iran incluso – possa sconfiggere militarmente l’ISIS, l’Iraq settentrionale e le aree circostanti sembrano destinati a rimanere fortemente instabili per parecchio tempo a venire. Ne consegue che l’ipotesi di esportare il gas iraniano in Europa via tubo nel corso del prossimo decennio resta un’ipotesi molto improbabile. Più probabile invece che, quando si troveranno i finanziamenti, le eventuali esportazioni di gas iraniano avvengano via tubo verso oriente o via GNL, limitando i rischi per la sicurezza delle esportazioni. Con buona pace del governo turco.

Gazprom rescinde i contratti di Saipem per Turkish Stream

Bloomberg - Saipem Lost Gazprom Contract on Black Sea Link Over DisputesGazprom ha comunicato di aver rescisso i contratti con Saipem per la costruzione della prima linea del gasdotto Turkish Stream. L’annuncio è arrivato ieri sera, dopo che lunedì era già trapelata una prima indiscrezione circa il blocco dei contratti di fornitura di una parte dei tubi necessari alla costruzione del gasdotto.

Il contratto di Saipem ha una valore di due miliardi di euro e ha visto il coinvolgimento di due posatubi della flotta, Castoro Sei e Saipem 7000, attualmente ancora dislocate nel Mar Nero. Originariamente destinate a costruire la prima linea di South Stream e dopo la cancellazione del progetto sarebbero rimaste nell’area a disposizione di Gazprom (a fronte di un pagamento da 25 milioni di euro al mese). Nei giorni scorsi, Castoro Sei si è recata in prossimità del porto di Anapa, sulle coste russe (da dove dovrebbe partire il nuovo gasdotto diretto in Turchia), lasciando presagire un imminente avvio dei lavori.

Gazprom ha dichiarato di essere alla ricerca di un’altra compagnia per effettuare il lavoro di posa, confermando di voler continuare la costruzione. La prospettiva di un rinvio della costruzione a quest’autunno (nella migliore delle ipotesi) era stata ventilata nei giorni scorsi e appare così confermata.

A pesare sulla tempistica della costruzione del Turkish Stream è stato il fatto che il governo russo e quello turco non siano ancora riusciti a trovare un’intesa sullo sconto da applicare alle forniture dirette a BOTAS, la compagnia statale di Ankara. La prima linea del gasdotto dovrebbe infatti interamente servire il mercato turco e la costruzione non può partire fintanto che non si è giunti a un’intesa definitiva sul prezzo delle forniture.

Difficile dire in questa fase se la comunicazione a Saipem faccia parte di una strategia di Gazprom volta a rafforzare la propria posizione negoziale nei confronti dei clienti turchi e dei fornitori (Saipem inclusa, anche se l’ipotesi appare al momento remota), oppure si tratti di un cambio di strategia russo, volto a rafforzare i legami con la Germania attribuendo la priorità al progetto Nord Stream II a scapito di quello Turkish Stream. L’unica cosa certa è che la risposta alla domanda sta per iniziare la posa? è no, almeno per il momento.

Per quanto riguarda gli approvvigionamenti italiani, se la decisione fosse il preludio di un cambio di fornitore, non avrebbe alcun effetto. Ci riguarderebbe, invece, come azionisti di Eni e quindi di Saipem, ma non si tratterebbe più di una questione energetica.

Se la decisione fosse invece il preludio della scelta di non costruire nel medio periodo (5 anni) un nuovo gasdotto sotto il Mar Nero, la questione rilevante per l’Italia sarebbe quella di garantire la stabilità dei flussi in arrivo dalla Russia anche dopo la scadenza dei contratti per il transito in Ucraina (2019). Le opzioni sarebbero due: rinnovare i contratti per le infrastrutture esistenti, che richiederebbero investimenti per l’ammodernamento ma consentirebbero di far leva sulla debolezza negoziale ucraina, indebitata e dipendente dai finanziamenti occidentali.

Oppure utilizzare la Germania e l’Austria come Paesi di transito fino al Tarvisio, dopo aver aumentato la capacità in arrivo via Nord Stream (e aver consacrato definitivamente il ruolo della rete tedesca come perno di tutto il sistema europeo). A questo punto però si porre la questione dell’adeguatezza del sistema produttivo e di trasporto russo a convogliare i volumi sufficienti al punto di partenza del Nord Stream. Scelta tecnicamente fattibile, ma finanziariamente impegnativa, anche considerando che parte degli investimenti sul Corridoio meridionale (quello destinato a fornire il Turkish Stream) sono già stati effettuati.

Insomma, la questione si complica ulteriormente. E su questo fronte, i russi sono maestri.


Aggiornamento: sulla questione, segnalo un interessante articolo di Sissi Bellomo sul Sole24Ore.