Il ruolo dell’energia nella crisi ucraina

CSIS - Crisis in Ukraine: What role does energy play?Segnalo anche io un post del CSIS dal titolo Crisis in Ukraine: What role does energy play? Si tratta di un’analisi lucida e puntuale, con una sensibilità piuttosto europea, nonostante sia diretta al decisore statunitense.

Per chi non avesse voglia di leggere tutto, riporto i passaggi chiave:

D1: In che modo la questione energetica ha contribuito alla crisi nella regione?

L’energia non ha fatto precipitare la crisi, ma ne è stata un dimensione importante (a causa della dipendeza ucraina e dal parallelo indebitamento di Naftogaz).

D2: Che probabilità ci sono che la Russia interrompa le forniture di gas all’Ucraina e all’Europa?

Non ci sono state minacce da parte delle autorità russe o di Gazprom di tagliare le forniture del gas a causa delle tensioni geopolitiche (il problema per l’Europa resta la perenne morosità ucraina).

D3: L’Europa può usare l’energia per fare pressioni sulla Russia o per ridurre la propria vulnerabilità?

Nel breve periodo, Europa e Ucraina hanno pochi strumenti a loro disposizione per ridurre la propria vulnerabilità energetica (soprattto l’Ucraina, che non ha altri fornitori). In un orizzonte temporale più lungo, l’Ucraina può diversificare, aumentare la produzione interna e ridurre i consumi di gas.

Q4: Gli Stati Uniti possono usare l’energia per fare pressioni sulla Russia, sostenere l’Ucraina o ridurre la vulnerabilità europea?

Nel breve periodo, no, perché non esportano gas (per quanto concerne il petrolio, rilasciare scorte per abbassare i prezzi mondiali e danneggiare la Russia non è un’opzione percorribile). In un orizzonte temporale più lungo, gli Stati Uniti possono avviare l’esportazione di GNL, ma non ci sono garanzie che gli europei sarebbero disposti a pagare il gas al prezzo dei consumatori asiatici (e il gas statunitense prenderebbe probabilmente quella via, essendo fatto da imprese in regime di concorrenza).

Il caro-energia blocca le imprese? Un falso mito

LaVoce.info -  Il grande bluff del costo dell’energiaAlzi la mano chi non ha sentito dire almeno una volta che il costo dell’energia è uno dei grandi ostacoli alla competitività delle nostre imprese. A quanto pare, è un falso mito e a spiegarci perché sono Roberto Della Seta e Francesco Ferrante, nel post Il grande bluff del costo dell’energia.

Numeri alla mano, gli autori mostrano che i grandi energivori in realtà pagano prezzi dell’energia elettrica assolutamente competitivi a livello europeo, mentre le piccole e medie imprese che pagano di più l’energia elettrica, in realtà ne consumano così poca (in rapporto al fatturato) da non incidere in modo determinante sulla loro competitività.

Gli autori si dedicano all’elettricità, ma un discorso simile vale anche per il gas, come avevamo già visto qui a novembre dell’anno scorso. Per inciso, un plauso al ruolo di Eurostat nel garantire (perfino in Italia) un dibattito basato sui numeri e non sui sentito dire.

Bel post molto utile, da leggere e diffondere. Non concordo però con le conclusioni, perché se è vero che quello del caro-energia è un bluff che giustamente si smonta coi numeri, anche il fatto che le rinnovabili sussidiate siano in assoluto un grande investimento “in futuro” è davvero tutto da dimostrare.

La crisi delle utility richiede nuovi modelli per il mercato elettrico

Stefano Verde - The distributional implications of support for renewable electricityNel post di ieri abbiamo parlato della crisi che ha colpito una delle utility italiane, Sorgenia.

Guardandosi intorno, tuttavia, ci si accorge che il problema è gobale e sta colpendo molti Paesi economicamente avanzati, dove il rallentamento della domanda per motivi macroeconomici e per la maggiore efficienza energetica da una lato e lo sviluppo della generazione distribuita dall’altro stanno erodendo sia i volumi che i prezzi, che le utility energetiche possono praticare, col risultato che queste non riescono a coprire i loro costi e stanno notevolmente riducendo i loro investimenti sia in generazione che nelle reti di trasporto e distribuzione.

Il problema, va sottolineato, non riguarda solo i produttori, ma anche gli stessi consumatori, perchè l’avvento della generazione distribuita ha effetti redistributivi importanti: la famiglia povera che non ha i 5 o 6.000 euro per installare un pannello fotovoltaico sussidia in bolletta la famiglia benestante che lo fa.

Insomma, è necessario un ripensamento del mercato elettrico e della sua regolazione, se si vuole riuscire a produrre energia elettrica in modo efficiente, sicuro, sostenibile e alla portata di tutti.

Di seguito trovate alcuni link a delle possibili letture apparse di recente sul tema su Forbes, The Economist, The Rocky Mountain Institute e The Electric Power Research Institute.

 

Il significato della crisi ucraina per il mercato del gas

OIES - What the Ukrainian crisis means for gas marketsSegnalo un ottimo e tempestivo paper dell’OIES dal titolo What the Ukrainian crisis means for gas markets. Il lavoro ricostruisce il ruolo dell’Ucraina quale transito per il gas russo diretto in Europa, i rapporti tra Kiev e Mosca e l’impatto di una possibile crisi.

L’ipotesi che un’interruzione possa essere deliberatamente causata da Mosca è esclusa. Tuttavia se, come nel 2009, Naftogaz continuasse a non pagare le forniture e Gazprom dovesse di conseguenza interrompere le forniture per il mercato interno ucraino, Naftogaz potrebbe deviare i flussi diretti in Europa verso i propri clienti, spingendo infine i russi a bloccare del tutto le esportazioni.

L’impatto sarebbe comunque limitato ai Paesi dell’Europa orientale e con conseguenze minori rispetto a quelle già modeste di cinque anni fa, grazie al miglioramento delle interconnessioni all’interno dell’UE.

Lo scenario di una nuova disputa tra Gazprom e Naftogaz secondo gli autori è addirittura probabile. Quest’ultima ha infatti un debito di 2 miliardi di dollari (dopo che 3,3 miliardi sono stati cancellati a Febbraio), destinato a crescere a causa della strutturale carenza di liquidità e alle attività gestite in perdita.

La crisi incombente sembra essere un invito ad accelerare la costruzione di South Stream, che nonostante i costi proibitivi sta in questi mesi mostrando la validità del suo obiettivo strategico.

ZOOM - Gasdotti di transito verso l'Europa (© Jonathan Stern 2014)Il nuovo gasdotto da 63 Gmc/a poterebbe infatti la capacità di esportazione dalla Russia in Europa (Ucraina esclusa) a 165 Gcm/a, corrispondenti a poco più degli attuali livelli complessivi di esportazione in Europa (UE+Turchia e Balcani non UE).

South Stream priverebbe così Kiev di ogni potere di ricatto nei confronti sia di Gazprom, sia dei Paesi europei. Secondo i dati di Sberbank riportati nello studio, nel 2013 Gazprom ha esportato in UE 86 Gmc attraverso l’Ucraina, per un controvalore superiore a 33 miliardi di dollari: un forte incentivo per produttori e esportatori ad aumentare l’affidabilità dei flussi.

Difficile però al momento dire se dal lato europeo prevarrà la razionalità o se la logica dello scontro ideologico frenerà lo sviluppo infrastrutturale e la sicurezza energetica europea.

ps: per correttezza, segnalo che a pagina due del report l’unità di misura è milioni di metri cubi (Mcm) e non migliaia di metri cubi, come erroneamente indicato.

Corridoio meridionale: la confusione del Sole

Sole24Ore - La crisi del metano rilancia il corridoio sud dell'Italia Nei momenti di crisi, per l’opinione pubblica è particolarmente importante avere informazioni affidabili e analisi puntuali dei fatti. E invece a noi italiani stamattina è capitato il Sole24Ore.

Stamattina, pagina 7, taglio basso (per chi si avvale ancora della carta): La crisi del metano rilancia il corridoio sud dell’Italia. Titolo fumoso, ma il concetto è solido e condivisibile: meglio diversificare rispetto alla Russia, ben venga il gasdotto dall’Azerbaigian.

Lo svolgimento però inanella una serie di errori di cui è opportuno informare il lettore:

  • il progetto Nabucco è morto e sepolto, tanto che non esiste nemmeno più il sito web;
  • il gas di Shah Deniz oggi non finisce nella rete russa, ma è esportato in Georgia e Turchia attraverso il South Caucasus Pipeline;
  • il TANAP al momento ha di certa solo la prima fase da 16 Gmc/a (10 TAP, 6 mercato turco), mentre gli eventuali upgrade sono ancora tutti da discutere;
  • la concorrenza del rigassificatore OLT di Livorno rispetto ai gasdotti esistenti è al momento pari a zero, visto che il terminale è in stand-by;
  • il gas azerbaigiano trasportato dal TAP è già stato interamente venduto (e non prenotato) e gli acquirenti hanno già firmato i contratti di fornitura.

Lo so, sono dettagli: ma a volte fanno la differenza.

Aggiornamento:

  • la composizione azionaria del consorzio TAP (correttamente indicata nell’articolo) è diversa da quella di TANAP.