La sicurezza energetica nel mercato unico dell’elettricità

La crescente penetrazione delle fonti rinnovabili nel mix elettrico pone una serie di sfide al sistema elettrico, in primo luogo quella dell’affidabilità. Infatti, in assenza di vento o di cielo coperto gli impianti eolici e quelli fotovoltaici non possono funzionare e questo obbliga il sistema a trovare altrove l’offerta necessaria a coprire la domanda. Molte sono le possibilità: maggiori interconnessioni con l’estero, meccanismi di accumulo dell’energia elettrica, capacità di generazione di riserva, etc. La scelta fra queste soluzioni alternative non è semplice, perchè richiede complesse valutazioni tecnico-economiche e perchè inevitabilemtne avvantaggia gli interessi di qualcuno a scapito di quelli di qualcun altro (vedi contrapposizione Terna- Assoelettrica).

In attesa che lo sviluppo tecnologico ci renda disponibili batterie assai più efficienti e meno costose di quelle attuali, la scelta in Italia e in Europa sembra essere quella di garantire la presenza di un’adeguata capacità di riserva, costituita essenzialmente da centrali a turbo-gas. Questa soluzione non è però esente da problemi: dovendo entrare in funzione solo per poche ore all’anno, questa capacità di riserva non può essere adeguatamente remunerata dalla vendita dell’elettricità alla borsa elettrica.

Una soluzione possibile è quella del pagamento della capacità, di cui nei mesi scorsi si è parlato anche in Italia, ma che non è ben vista dalla Commissione europea, la quale teme possa preservare l’attuale frammentazione dei mercati elettrici europei e mascherare indebiti aiuti di stato. In sostanza, per la Commissione introdurre diffusamente meccanismi che remunerano la capacità rischia di minare l’obiettivo che l’Unione Europea si è data di realizzare il mercato unico dell’energia per il 2014.

Per cercare di sondare le opinioni e le varie posizioni la DG Energia ha lanciato una consultazione pubblica, che si concluderà a breve. Nell’attesa che i risultati siano diffusi, per chi ne vuol sapere di più, consiglio di partecipare al workshop che la Florence School of Regulation ha organizzato per il prossimo venerdì 1 febbraio e che vede la partecipazione di importanti rappresentanti delle autorità di regolazione e dell’accademia.

Smantellare i take-or-pay

RIE - EnergiaSergei Komlev, dirigente di Gazprom Export specializzato in prezzi e contratti, è da alcuni mesi impegnato in una vera e propria “offensiva teorica” votata a difendere lo status quo dei contratti di lungo periodo indicizzati al petrolio con clausola take-or-pay. Segnalo, per chi volesse approfondire, il paper Pricing the “Invisible” Commodity.

Come riportato oggi dalla Staffetta, in Italia l’ultimo numero di Energia ospita un articolo di Komlev. Sintetizzando molto, l’argomentazione centrale è che gli attuali prezzi spot agli hub europei sono frutto di una dinamica marginale, ossia basata sui volumi residuali rispetto alle forniture take-or-pay e che quindi non è in realtà possibile sostenere che i prezzi agli hub sono determinati da dinamiche di domanda e offerta autonome.

La conseguenza è che un meccanismo basato sempre più su prezzi agli hubs che si formano in modo ibrido sia insostenibile, tanto da portare al progressivo smantellamento dei contratti di lungo periodo.

Komlev vede nel fatto che gli hubs non trattino tutta la domanda e tutta l’offerta dei mercati europei una debolezza insanabile, che li rende di fatto ancora strettamente legati ai prezzi dei contratti di lungo periodo (assumendo – senza dimostrare – che questo sarebbe un male per i consumatori europei).

Komlev fa bene il suo lavoro, ma non convince. Il punto è che cercando di argomentare sulla dinamica di mercato, omette di affrontare il punto chiave: l’indicizzazione al petrolio non ha più ragion d’essere e distorce irrimediabilmente i fondamentali del mercato. Il fatto che l’inerzia contrattuale – nonostante i tanti arbitrati – attribuisca ancora un ruolo a questa consuetudine commerciale non è una buona ragione per mantenerla, se non per chi vende.

Qui subentra il secondo punto: il mercato è lunghissimo e la Russia si trova con un potenziale di esportazione completamente orientato verso il mercato europeo, dove la domanda langue e continuerà a languire. A correre rischi sono soprattutto gli esportatori, che si trovano a competere per vedere e che dall’indicizzazione lucrano margini che la domanda reale non giustificherebbe.

Per chiudere, un’ultima nota: superare le attuali formule di indicizzazione non significherebbe in alcun modo che i contratti di lungo periodo debbano necessariamente essere abbandonati, ma solo che sarebbe il mercato a prezzare questa soluzione, in base alla domanda dei clienti. Magari evitando di imporre ai consumatori finali strani meccanismi di assicurazione dalla dubbia utilità.

CE vs Gazprom: un’analisi

The European Commission vs. Gazprom: An Issue of Fair Competition or a Foreign Policy Quarrel? - Nicolò SartoriSegnalo un interessante paper di Nicolò Sartori dal titolo The European Commission vs. Gazprom: An Issue of Fair Competition or a Foreign Policy Quarrel?

Il lavoro ricostruisce agilmente la questione dell’indagine aperta dalla DG Concorrenza nei confronti dell’azienda di stato russa, proponendo alcune riflessioni (moderatamente ottimistiche) sulla possibile evoluzione della vicenda.

Revisione tariffe del gas: centinaia di milioni in gioco

AEEG - 13 novembre 2012 - 471/2012/R/gas In novembre l’Autorità aveva annnunciato l’intenzione di procedere a una revisione delle modalità di calcolo delle condizioni economiche per il servizio di tutela, che copre un terzo del mercato finale italiano (circa 18 Gmc all’anno) e che fa da riferimento anche per le dinamiche di prezzo sul mercato libero.

Attualmente, la tariffa della componente commercializzazione all’ingrosso (CCI, nel gergo dell’Autorità) – ossia il costo della materia prima in bolletta – è fissata con una formula che simula le quotazioni dei contratti di lungo periodo (95% greggio, gasolio e olio combustibile; 5% spot), quelli detenuti dai grandi operatori nazionali.

Tutto bene? Non troppo. Perché l’impianto dei contratti di lungo periodo (solitamente con clausola take-or-pay) è vecchio di decenni e non risponde più alle condizioni reali del mercato (le economie pianificate non esistono più, bruciare olio combustibile per generare grandi quantitativi di elettricità non è praticabile e i monopoli nazionali sono vietati dalla legilazione europea, per citarne solo alcuni). Tant’è vero che, grazie all’eccesso di offerta, i prezzi sui mercati all’ingrosso sono sistematicamente più bassi dei prezzi dei contratti di lungo periodo.

Chi ci rimette? I clienti finali, soprattutto. Perché i grandi operatori, per limitare l’impatto economico, comprano gas a prezzi spot e lo rivendono a prezzo regolato. L’Autorità riconosce apertamente che c’è un problema: «una regolazione divenuta obsoleta che comporta, date le condizioni e l’evoluzione del mercato, l’insorgere di rendite improprie a danno dei clienti finali».

Urgono quindi, secondo l’Autorità, modifiche alle modalità di calcolo delle condizioni economiche, per «trasferire al consumatore i benefici derivanti dallo sviluppo concorrenziale del mercato all’ingrosso». Per i dettagli, rimando al documento, che prevede sia un “allegerimento” della CCI (legandola maggiormente ai prezzi spot), sia un meccanismo di assicurazione contro le oscillazioni delle quotazioni spot (che remunererebbe comunque chi ha in portafoglio i contratti di lungo periodo).

Il risultato? Fino a -7,44% in bolletta, secondo le stime dell’Autorità. Un bel trasferimento di benefici, dai grandi grandi operatori a favore dei consumatori finali.

Una rapida stima dà conto delle dimensioni della questione: proiettando su base annua le tariffe attualmente in vigore per il cliente domestico tipo, un consumo di 18 Gmc vale indicativamente 15,5 miliardi di euro. La riduzione varrebbe 1,2 miliardi di euro all’anno.

Si tratterebbe di una riduzione netta di 800 milioni di euro all’anno per gli operatori (variamente distribuita a seconda dei portafogli e delle modalità di assicurazione introdotte, ma comunque in buona parte Eni e Edison) e 400 milioni all’anno in meno di pressione fiscale.

Gli operatori si stanno muovento attivamente per mettere i ammorbidire le proposte dell’Autorità. Come se questo non bastasse, il rischio è che venga meno anche l’appoggio “politico” all’Autorità (che formalmente resta indipendente) proprio a causa dell’impatto economico della misura, che ridurrebbe il gettito e sarebbe troppo favorevole ai consumatori.

Un duro compito attende l’Autorità: non si può che fare il tifo per lei.

Passo avanti del Nabucco

oint declaration of Nabucco Shareholders, NIC, Potencial Investors and Shah Deniz Consortium dated 10 January 2013I soci del consorzio di Shah Deniz (BP, Statoil, Socar, Total, Lukoil, Nico, Tpao) hanno raggiunto un accordo con il consorzio Nabucco, in base al quale co-finanzieranno i costi di sviluppo del gasdotto fino alla decisione finale sul tracciato, attesa nel corso del 2013. In cambio, i membri di Shah Deniz hanno acquisito un’opzione per rilevare il 50% delle quote del Nabucco, in proporzione alla quota nel consorzio di produzione.

Si tratta di un accordo che non copre la realizzazione vera e propria del gasdotto e lascia aperta la decisione finale. Un accordo analogo era stato in infatti firmato ad agosto 2012 con il consorzio Tap.

Un elemento di possibile criticità dell’accordo di ieri è che, in caso di realizzazione del Nabucco e di esercizio dell’opzione, il 5% del Nabucco passerà agli iraniani di Nico, che possiede il 10% di Shah Deniz. Nico (Naftiran Intertrade Company), creata nell’isola di Jersey ma che da un decennio ha trasferito le proprie attività in Svizzera, è una società controllata dalla National Iranian Oil Company, a sua volta di proprietà del Ministero del petrolio della Repubblica Islamica.

Se il sistema di controllate e sussidiare permette di rendere l’operazione legale, restano forti dubbi sull’opportunità politica dell’operazione, in un momento in cui agli operatori petroliferi sono imposti costi e limiti operativi a causa delle sanzioni europee all’Iran.