Segnalo un interessante studio del MIT su The Influence of Shale Gas on U.S. Energy and Environmental Policy.
Lo studio compara lo scenario energetico statunitense con e senza gas da argille e valuta l’impatto del non-convenzionale sul costo dell’energia, sugli interscambi con l’estero e sui livelli di occupazione.
I risultati sono tutti largamente prevedibili e naturalmente positivi in tutti gli ambiti. I ricercatori del MIT tuttavia sottolineano che il gas da argille ha anche l’effetto di prevalere sulle rinnovabili, riducendone il peso e quindi aumentando l’impatto in termini di emissioni.
Aggiungerei, però, che non si tratta di un fatto completamente negativo: oltre al fatto che il gas spiazza in larga misura anche il carbone, il cui uso per la generazione elettrica produce più alte emissioni, restano infatti due dati essenziali.
Il primo è che posticipare l’adozione di misure eccessivamente stringenti in materia ambientale, soprattutto nell’attuale contesto macroeconomico, rappresenta un vantaggio competitivo, anche perché consente di scaricare sugli altri i costi dei limiti autoimposti.
Il secondo è che entrare più tardi massicciamente nelle rinnovabili – ossia, quando il gas sarà troppo costoso in termini comparati – consente di utilizzare direttamente le tecnologie più avanzate, scaricando sugli altri i costi rappresentati dagli investimenti già effettuati (per semplificare molto, chi dubita che i pannelli solari tra 10 anni saranno molto più efficienti e molto meno cari? Bene, noi intanto avremo i pannelli di oggi e staremo ancora paganti il V conto energia…).
Molto su cui meditare, su questa sponda dell’Atlantico.