Segnalo un saggio di Diego Cordano dal titolo Ucraina e sicurezza energetica, pubblicato nella sezione approfondimenti del sito dei Servizi di informazione. Il lavoro è suddiviso in due parti. Nella prima, l’autore propone una riflessione sul concetto di guerra ibrida e sulla letteratura in materia. Nella seconda propone invece una lettura della questione russo-ucraina in chiave energetica, individuando tre modalità con cui gli aspetti energetici sono risultati rilevanti.
La prima modalità è quella del controllo militare delle infrastrutture chiave, tra cui naturalmente spiccano quelle energetiche. Durante le diverse fasi del conflitto, il controllo di gasdotti, linee elettriche e terminali di importazione, come dimostrato nelle operazioni condotte dalle forze armate indipendentiste sia in Donbass sia in Crimea.
Particolare accento è posto anche sull’entità delle riserve energetiche dell’area orientale del Paese, la cui sottrazione al controllo di Kiev costituisce un elemento fondamentale di indebolimento. Per quanto riguarda i giacimenti di carbone del Donbass, rappresentano infatti il 90% della produzione ucraina, anche se l’elemento più importante delle attività nella regione è la produzione industriale (un quinto del totale di tutta l’Ucraina, prima della guerra).
Per quanto riguarda gas e petrolio, le risorse presenti nell’area orientale del Paese sono probabilmente consistenti come sostengono le fonti citate dall’autore – a cominciare dal campo di gas da argille di Yuzivska, in Donbass – ma non sono ancora state provate e le attività di coltivazione richiederebbero in ogni caso diversi anni e molti miliardi di investimenti internazionali. Non solo è Shell ha dichiarato la forza maggiore per Yuzivska, ma anche Chevron ha abbandonato le attività in Ucraina occidentale, vicino al confine con la Polonia, per vai delle condizioni geologiche avverse e dell’incertezza sul quadro fiscale in Ucraina.
La seconda modalità è quella della pressione economica, a partire anzitutto dalla questione del prezzo delle forniture di gas naturale russo all’Ucraina. L’autore ricostruisce puntualmente i livelli di prezzo praticati da Gazprom a seguito delle decisioni russe di non rinnovare gli sconti concessi al governo ucraino prima delle destituzione di Yanuchovic e giunti a scadenza nel corso del 2014.
Tutto vero, a cominciare dalla volontà russa di indebolire il nuovo governo di Kiev, ma il rischio però è quello di far apparire le scelte russe come unilaterali, laddove si inseriscono in un intreccio di mosse e contromosse, da parte delle diverse fazioni interne al sistema politico ucraino e da parte dei governi occidentali.
Per esempio, il ritiro degli sconti sul gas ha riallineato i prezzi praticati a Naftogaz a quelli pagati dai clienti dell’Europa occidentale (al netto di sconti particolari) e ha fatto venir meno una situazione di beneficio precedente concessa a Yanukovich, in risposta al cambio di regime a Kiev e all’inizio del sostegno finanziario occidentale all’Ucraina. Il contesto è come sempre fondamentale.
La terza modalità è quella della comunicazione strategica russa. Vecchia probabilmente quanto la guerra, la propaganda è utilizzata con maestria dal governo russo, come dalle controparti occidentali.