Il Renewable Energy Report del Politecnico di Milano

logoLo scorso martedì è stato presentato a Milano l’ultimo lavoro dell’Energy and Strategy Group del Politecnico meneghino, questa volta dedicato non a una specifica tecnologia, ma all’insieme delle fonti rinnovabili elettriche.

I tempi in cui ogni fonte si meritava la sua analisi specifica, visto la crescita sostenuta degli investimenti e il margine ottenibile dalla messa in produzione di nuovi siti, sembrano ormai passati, come testimonia anche, prosaicamente, il coffe break ormai ridotto all’osso – nulla delle ricche tavole imbandite di un paio di anni fa.

Tuttavia, scorrendo le analisi presentate nel Report e ascoltando gli interventi dei vari relatori intervenuti alla presentazione, si ha la conferma di come ormai il settore stia entrando in una fase di maturità e contribuisca finalmente in modo positivo all’economia del Paese. Nonostante qualcuno invochi ancora l’allocazione di incentivi aggiuntivi all’interno del tanto atteso Green Act o di un nuovo decreto ministeriale che dovrebbe succedere a quello del 6 luglio 2012, l’attenzione è ormai sempre più posta alla ricerca di un efficientamento nell’uso dell’enorme parco di generazione esistente, il quale sembra ormai essersi stabilizzato attorno ai 32 GW (+18,1 GW di idroelettrico) – nel 2014 sono entrati in funzione meno di 700 MW.

Si è parlato perciò molto di Operation&Maintenance, di mercato secondario degli impianti (forte sembra qui essere l’interesse di fondi finanziari esteri), di concentrazione della proprietà, di ristrutturazione del debito e di integrazione delle rinnovabili nel mercato elettrico. Quest’ultima è ormai una priorità per il sistema, dato che il contributo delle rinnovabili alla produzione elettrica nazionale ha raggiunto l’anno scorso il 45%.

Il rapporto costituisce dunque un prezioso strumento per capire lo stato delle rinnovabili in Italia e non solo, ma tuttavia in alcuni punti risulta debole e dimostra un certo sbilanciamento “ideologico” a favore delle rinnovabili.

In particolare, a mio avviso, è forzata la sezione dedicata all’impatto delle rinnovabili sulla bolletta elettrica italiana. Nonostante si dichiari la difficoltà di identificare questo impatto per la pluralità di fattori agenti, il rapporto alla fine cita comunque dei valori puntuali, la cui metodologia di calcolo appare talvolta sommaria e, in ultima analisi, tendenziosa. Mi limito al caso del PUN.

Data l’esistenza di un sistema di prezzo marginale nella borsa italiana e data la non convessità della funzione di produzione di elettricità, dovuta all’esistenza di numerosi impianti con capacità discreta, con vincoli di rampa e di potenza minima, ecc., mi sembra poco corretto cercare di inferire l’impatto delle rinnovabili sul PUN guardando alla mera correlazione fra produzione di energia da rinnovabili e PUN.

Anche la stima dello scenario conservativo mi sembra piuttosto curiosa: su che base si conclude che se il costo del gas naturale è calato del 18% e che le centrali a gas producono cica il 34% dell’energia elettrica in Italia, allora il minore prezzo del gas è responsabile del 6% del calo del PUN???? O che il calo della domanda e del PIL sia responsabile solamente del 3% del calo del PUN???

Insomma, credo si sia voluto fare una stima a spanne, ma in questo caso, come in altri, le spanne possono nascondere più di quanto rilevano e allora sarebbe più corretto fare a meno di calcolarle ed evitare di proporre al pubblico dei numeri.

Turkish Stream, TAP e la competizione che non c’è

pipesCome spesso accade quando si parla di nuovi gasdotti, una certa confusione sembra aleggiare intorno alle questione del Turkish Stream, il gasdotto proposto da Gazprom come sostituto di South Stream. In particolare, si parla di un’ipotetica competizione con il sistema TANAP/TAP, ossia l’infrastruttura che dovrà portare il gas azerbaigiano in Italia.

Per il momento, parlare di competizione è fuori luogo. I due gasdotti infatti sono molto diversi tra loro: il TAP, che ha appena ricevuto l’autorizzazione definitiva dal Governo italiano, porterà gas azerbaigiano sul mercato italiano, su quello greco e su quello bulgaro. 10 Gmc/a a regime, già tutti venduti e in consegna dal 2020.

Il Turkish Stream servirà invece a portare gas russo sul mercato turco, sostituendo il Trans-Balkan Pipeline, che dal 1987 raggiunge il mercato turco partendo dall’Ucraina e che dal 2003 è stato affiancato dal Blue Stream. Con il Turkish Stream, tutti i flussi di gas russo diretti in Turchia eviterebbero l’Ucraina, analogamente a quanto avviene nel caso delle Germania.

Per ora, del Turkish Stream si costruirà una linea sola da 15 Gmc/a, con l’inizio dei lavori di posa a giugno, secondo quanto annunciato da Gazprom. A eseguire i lavori sarà Saipem, sulla base dei contratti siglati in precedenza per South Stream. Proprio la necessità di assorbire i costi dei contratti di posa già siglati, delle forniture di tubi già consegnate e dei lavori di potenziamento della rete russa già eseguiti ha pesato sulla decisione russa di procedere in tutta fretta, con il primo gas annunciato in flusso per l’anno prossimo. Intanto, Gazprom e Botas stanno negoziando gli ultimi dettagli dei nuovi contratti di lungo periodo, mentre Gazprom e gli operatori privati turchi hanno già siglato i contratti.

La competizione, se mai ci sarà, potrebbe dunque essere in futuro per i volumi addizionali. Sul fronte South Stream, però, che si proceda a costruire altre linee non è affatto scontato, almeno a breve. Anzitutto, perché in questo caso Gazprom dovrebbe decidere di investire ulteriori risorse ex-novo, cosa piuttosto complicata in questo periodo. Inoltre, un’Ucraina completamente dipendente dall’Occidente e dai prestiti internazionali difficilmente potrà minacciare un’interruzione dei flussi di gas russo verso i clienti europei, riducendo l’urgenza della diversificazione delle rotte per Gazprom.

Sul fronte TAP, la capacità di portare nuovi volumi dipenderà invece dai ritmi di sviluppo della produzione azerbaigiana e soprattutto dalle prospettive del mercato europeo. E qui, per il gas azerbaigiano come per quello russo via Turchia, potrebbero esserci problemi. Perché se è vero che produzione in calo e i consumi in debole crescita faranno aumentare le importazioni, è però possibile che la competizione sul lato dell’offerta cresca, soprattutto dal mare.

La caduta dei prezzi del greggio ha infatti spinto verso il basso i prezzi del GNL in Asia, tanto che le quotazioni spot sono arrivate a essere temporaneamente più basse di quelle europee, nel corso del primo trimestre di quest’anno. Dopo una latenza di alcuni mesi, infatti, i prezzi dei contratti di lungo periodo indicizzati al greggio – dominanti sui mercati dell’Asia Orientale – si sono adeguati al ribasso. Con effetti inevitabilmente globali, visto che l’Asia rappresenta il 75% della domanda mondiale di GNL.

La prima conseguenza per l’Europa della convergenza dei prezzi globali del GNL è stata il rallentamento del re-export di GNL dalla Spagna. Negli ultimi anni, la crisi ha colpito duramente la domanda iberica e dal mercato spagnolo una parte dei carichi di GNL comprati con contratti di lungo periodo per il mercato interno sono stati ri-esportati, lucrando sul differenziale di prezzo.

La vicenza spagnola è giusto un sintomo, ma le conseguenze per l’Europa potrebbero però non finire qui. Se i prezzi sul mercato asiatico non dovessero tornare a salire, il mercato europeo sarebbe sempre più attraente per gli esportatori di GNL. La capacità di importazione europea ammonta infatti a quasi 200 Gmc, ma è utilizzata solo per un quarto, lasciando spazio per un forte aumento dei flussi, se il prezzo del GNL sarà abbastanza competitivo.

Se Turkish Stream e TANAP/TAP avranno da competere, non sarà solo tra di loro e sarà più per un mercato europeo anemico ed eccessivamente rifornito che non per oscure trame geopolitiche. E la partita, come quasi sempre avviene, sarà soprattutto una questione di prezzi finali e di costi.

Quale futuro per l’energia mondiale?

oeSegnalo una mia intervista per Orizzontenergia, dedicata ad alcuni grandi temi di attualità: boom asiatico, rivoluzione americana, fossili vs rinnovabili, competitività vs clima e lotta ai cambiamenti climatici.

Le rinnovabili hanno futuro anche senza sussidi? Sono davvero sostenibili?

Assolutamente sì. Oltre all’idroelettrico, finalmente anche le rinnovabili discontinue si stanno avvicinando sempre di più alla grid parity, almeno in alcuni mercati occidentali. Ci vorrà tempo, ma la loro quota nel paniere energetico è destinata a crescere nei prossimi decenni, anche senza sussidi. Un elemento chiave sarà sicuramente quello dell’accumulo elettrico, per il quale si vedono segnali interessanti. In ultima analisi, tutto dipende dal ritmo dell’innovazione tecnologica.

In un’ottica di lungo periodo, a ben vedere i sussidi hanno fatto più male che bene. Certo, hanno arricchito molti, ma hanno distorto gli incentivi per gli operatori a cercare maggiore efficienza o prestazioni migliori. Se si sta su un mercato truccato, le pressioni sistemiche a dare il meglio sono inevitabilmente ridotte.

Investire in ricerca sarebbe stato sicuramente una scelta più saggia, anche per le ricadute in termini industriali. Ma ormai l’errore è stato fatto, l’importante è non ripeterlo in futuro. Se si vuole premiare le fonti a emissioni zero e ridurre l’uso delle fonti fossili, bisogna dare un prezzo alle esternalità negative generata da queste ultime, in termini di inquinamento locale e di effetto climalterante.

Il resto dell’intervista è accessibile qui.

L’uscita dell’Italia dal Trattato sulla carta dell’energia

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L’annuncio dell’uscita dell’Italia dal Trattato sulla carta dell’energia è passato praticamente inosservato perfino tra gli addetti ai lavori per un trimestre, fino a quando la notizia non è stata battuta da SQ.

Il provvedimento risale infatti alla Legge di stabilità di dicembre e prevede il taglio di una serie di spese superflue dovute alla partecipazione italiana a organizzazioni internazionali. Nella revisione della spesa è caduta anche la partecipazione italiana al Trattato sulla carta dell’energia, siglato nel 1994 per favorire gli investimenti nel settore energetico tramite la protezione degli investimenti e il commercio nel settore dell’energia.

La decisione, oltre a far risparmiare all’Italia 450.000 euro all’anno, non sembra destinata ad avere particolari conseguenze, visto che esiste un’ampia serie di altre disposizioni vincolanti a protezione degli investimenti in Italia e di quelli italiani all’estero.

Inoltre, il trattato ha già perso in ogni caso gran parte del proprio senso. Il suo scopo era infatti quello di favorire gli investimenti energetici e i commerci con la Russia attraverso le ex repubbliche sovietiche. La Russia è però uscita dal trattato nel 2009 senza mai averlo ratificato, lasciando così il trattato e il suo Segretariato basato a Bruxelles (il vero centro di costo) privi di una vera e propria utilità.

Per un approfondimento sulla questione, segnalo un post di Francesca Morra e Lorenzo Parola Any consequences stemming from Italy’s withdrawal from the Energy Charter Treaty? pubblicato dall’ISPI Energy Watch.

Energie per l’Italia del futuro

Energie per l’Italia del futuroSegnalo un’interessante conferenza dal titolo Energie per l’Italia del futuro, in programma per il 22 Magggio a Ravenna. L’incontro è parte di una tre giorni dal titolo Fare i conti con l’ambiente, giunta quest’anno all’ottava edizioni.

La conferenza, introdotta da Davide Giusti e Paolo Errani, sarà suddivisa in cinque turni tematici:

  1. Uomini e altri animali (Enrico Alleva, etologo dell’Istituto Superiore di Sanità);
  2. L’energia dei nonni: Carlo Maria Cipolla, seduzioni intellettuali (Davide Tabarelli, Nomisma Energia, e Luigi Pedrazzi, Associazione Il Mulino);
  3. Energie pubbliche, energie private: investitori, mercati, forniture (Raffaella Di Sipio, fund investor);
  4. L’ape e il comunista: appunti di storia politica e culturale (Umberto Minopoli, Ansaldo Nucleare);
  5. Energia per l’Italia del futuro (Federico Testa, Commissario Enea, e on. Gianluca Benamati, X Commissione Attività Produttive).

Un evento senza dubbi curioso e stimolante. Se siete in zona, l’appuntamento è per venerdì 22 maggio 2015, dalle 10:00 alle 13:00, presso il Palazzo Rasponi dalle Teste in Piazza Kennedy a Ravenna.

Forum strategico Francia-Italia

Segnalo un evento organizzato dall’Istituto Affari Internazionali (IAI) e dall’Institut Français nell’ambito del Forum strategico Francia-Italia, dal titolo Riflessioni comparate su modelli e strategie energetiche. Si tratta di una conferenza dedicata al confronto tra i due modelli energetici, a cui parteciperanno ricercatori e professionisti dei due Paesi, in programma a Roma per il 13 maggio alle 15:30 a Palazzo Rondinini.

Rispetto al programma originale, al posto del sottoscritto interverrà Nicolò Rossetto.

Energia: Italia e Francia modelli a confronto