I’m smart because you’re stupid: l’autoconsumo e il mercato elettrico italiano

IEW - I’m smart because you’re stupidLe politiche nate rapsodicamente negli ultimi anni per promuovere le rinnovabili hanno creato significative distorsioni nei mercati elettrici di tutta Europa, a partire da quello italiano.

Una di queste distorsioni è messa ben in evidenza in un post di Carlo Durante, pubblicato dall’IEW: I’m smart because you’re stupid.

Come spiega chiaramente Durante, nel decennio scorso il regolatore ha adottato una serie di misure volte a favorire la diffusione delle rinnovabili presso produttori che fossero anche consumatori, in piena sintonia col concetto di generazione distribuita.

In particolare, lo schema di agevolazione più recente è quello dei sistemi efficienti di utenza (SEU), che consente a un utente, che consuma attraverso la propria rete l’energia che produce, di essere esonerato da una parte dei costi di sistema, risparmiando così il 35-40% rispetto a una bolletta “normale”.

Questo schema, che vale per impianti fino a 20MW, è risultato particolarmente appetibile per le piccole e medie imprese, che pagano l’elettricità molto più cara sia delle famiglie sia delle grandi industrie e che grazie allo schema possono risparmiare molto sull’energia.

Le piccole e medie imprese però hanno bisogno di energia in modo affidabile ed economico, che magari combini alla generazione elettrica anche la produzione di calore. In altre parole, più che pannelli fotovoltaici, le imprese hanno fatto installare impianti di cogenerazione, in primis a gas.

Il risultato è che una parte importante dei consumi (7% nel 2014) si è spostata sull’autoconsumo per evitare i costi di sistema della bolletta, esplosi negli ultimi anni a causa delle rinnovabili sussidiate. Dato che i costi di sistema restano sostanzialmente invariati, il peso sui consumatori non inseriti negli schemi di autoconsumo è così ulteriormente aumentato.

Nel tentativo di correggere questa stortura, nei prossimi mesi potrebbero arrivare proposte di nuovi interventi. Il rischio è che la pezza risulti peggio del buco.

Scala Mercalli: una buona puntata con qualche precisazione

Scala_MercalliA qualcuno potrà sembrare che stia facendo una crociata contro Rai 3 (vedi qui e qui). Non è così. Tuttavia, la puntata di sabato di Scala Mercalli, mi ha dato lo spunto per alcune osservazioni e precisazioni che ritengo utili avanzare ai nostri lettori e solleticare il loro senso critico.

Infatti, sebbene il livello della puntata sia insolitamente alto per un programma televisivo – in particolare è apprezzabile come si spieghino con precisione di linguaggio e pazienza vari concetti legati al clima e all’inquinamento – qualche cedimento si registra quando si passa ai ragionamenti di tipo più economico e di prescrizioni di policy.

Primo, quando attorno al minuto 55 si parla di idrocarburi, si arriva a sostenere che l’estrazione dello shale non ha senso nè in termini energetici, nè in termini economici: curisoso che diverse imprese ci abbiano investito quasi mille miliardi di dollari. Forse è lecito avere dei dubbi. 🙂

Certo, il rendimento energetico dell’estrazione di idrocarburi non convenzionali è inferiore a quello che si ha oggi nei ricchi campi sauditi o che si aveva nei giacimenti del Nord America che venivano sfruttati 80-90 anni fa, ma contemporaneamente è aumentata molto l’efficienza delle macchine che usano quegli idrocarburi: il valore economico di una singola unità fisica di petrolio o gas disponibile per il consumo finale è dunque molto aumentata, perchè con essa riesci a ottenere maggiori servizi energetici.

Bisogna poi non confondere le risorse con riserve: la Terra contiene sì un ammontare finito di risorse di idrocarburi, ma le riserve non sono “finite” a priori. La tecnologia e le preferenze dei consumatori possono rendere più o meno sfruttabili economicamente certe risorse, che quindi possono trasformarsi o meno in riserve.

Secondo, quando attorno al minuto 70 si presenta il caso danese e lo si esalta così tanto, si omette forse di notare che:

  • la resa energetica dei pannelli fotovoltaici in Danimarca è probabilmente inferiore a quella dell’estrazione di gas da scisto (il fattore di carico sarà circa 800-900 ore l’anno);
  • la Danimarca è un discreto produttore di petrolio e gas naturale e possiede una quantità di vento e di spazio dove coltivare piante e animali notevole (bassa densità di popolazione, piovosità che favorisce la crescita delle biomasse, ecc.), che altri paesi non hanno;
  • la Politica Agricola Comune probabilmente facilita non poco i progetti “verdi” danesi, in quanto tende a sussidiare l’allevamento di bovini e la produzione di cereali in modo sproporzionato;
  • non si dimentichi che il metano rilasciato dalla digestione degli animali da allevamento (bovini in primis) è un potente gas a effetto serra (le scoregge fanno male al clima 🙂 );
  • l’Italia ha un mix elettrico non meno verde della Danimarca, dato che nel 2014 circa il 40% della elettricità prodotta è venuta da rinnovabili.

Infine, quando attorno al minuto 100 si parla di abitazioni efficienti e si porta il caso dell’Appenino bolognese, non viene evidenziato il costo delle case efficienti. L’intervistato parla di un 10% in più. Tradotto in soldi, se una casa normale costa 250-300.000 euro, ciò significa 25-30.000 euro in più. Non sono pochi e ciò implica che per recuperare l’investimento addizionale, che ovviamente solo le famiglie più benestanti possono permettersi, servono, a spanne 15-20 anni (gli intervistati parlano infatti di un risparmio sulle bollette di 1.000-1.500 euro l’anno).

Non si indaga poi il fatto che bruciare legna non è necessariamente più pulito che bruciare metano: se le caldaie non sono avanzate, la quantità di particolato e di ceneri rilasciate non è poca.

Non sono contro l’efficienza energetica, ci mancherebbe, ma bisognerebbe stare attenti a riportare tutti i lati della medaglia quando si vuole informare correttamente il pubblico.

Ps: resta un peccato che la Rai continui a trasmettere i suoi programmi di approfondimento scientifico-culturale prevalentemente il sabato sera, quando la maggior parte degli adolescenti e dei giovani tende a uscire. Credo bisognerebbe essere più coraggiosi nelle scelte del palinsesto: se stimolato adeguatamente, il pubblico risponderà.

Le instabilità geopolitiche mettono a rischio la sicurezza energetica dell’Italia?

OE - Le instabilita' geopolitiche mettono davvero a rischio la sicurezza energetica dell'Italia?Ripropongo una mia intervista pubblicata da Orizzontenergia.

Dott. Verda, a suo parere la crisi libica rischia di compromettere la sicurezza degli approvvigionamenti energetici nazionali?

No, non vedo un rischio rilevante. Il greggio libico rappresenta il 7% dei consumi italiani e può essere sostituito da altri produttori, a cominciare dall’Azerbaigian, che attraverso il terminale di Ceyhan esporta un greggio leggero simile a quello libico. Inoltre, bisogna ricordare che al posto del greggio è sempre possibile importare direttamente i prodotti petroliferi.

Per quanto riguarda il gas, nel 2014 le importazioni di gas libico attraverso il Greenstream sono state di 6,5 miliardi di metri cubi, pari al 12% del totale. Una quantità che può essere facilmente sostituita aumentando le importazioni dagli altri fornitori, in particolare dall’Algeria. La capacità di importazione italiana è infatti utilizzata a circa la metà del valore massimo teorico: il margine di sicurezza è ampio.

Peraltro, abbiamo già fatto a meno delle forniture libiche nel 2011 e da allora la situazione è cambiata in meglio, dal punto di vista della sicurezza. Paradossalmente, la crisi economica ci ha aiutati: i consumi di gas si sono ridotti del 21%, quelli petroliferi del 19%. Il risultato è che abbiamo bisogno di meno importazioni, ma l’offerta è rimasta abbondante.

Qualora i flussi di gas e greggio da Libia dovessero interrompersi, quali sarebbero le conseguenze per i consumatori?

Le conseguenze per i consumatori sarebbero molto poche. Probabilmente ci sarebbe un piccolo differenziale nei prezzi finali, dovuto a un possibile aumento dei costi per gli operatori qualora dovessero pagare un premio per approvvigionarsi altrove. Si tratterebbe in ogni caso di conseguenze molto limitate dal punto di vista del prezzo finale, dato che la materia prima conta per meno della metà sia per il gas sia per i prodotti petroliferi.

A rimetterci sono invece gli operatori maggiormente attivi in Libia, a cominciare da Eni. L’azienda è infatti il principale operatore estero in Libia e ha nel Paese uno dei suoi maggiori centri di investimento internazionali.

Come commenta le recenti dichiarazioni del Presidente di FederPetroli in merito alla situazione libica “tutti i giacimenti sia onshore che offshore riteniamo siano a rischio”?

Senza dubbio corrisponde al vero. La situazione sul campo in Libia è molto complessa, con numerose fazioni in lotta per il controllo del territorio e soprattutto della principale fonte di reddito, l’estrazione di idrocarburi. Ogni infrastruttura di produzione e trasporto è insieme un obiettivo di conquista e un bersaglio militare.

Le infrastrutture a terra sono quelle che corrono più rischi, perché più accessibili. Tuttavia, se i barconi dei clandestini possono raggiungere le acque italiane, è facile immaginare che le infrastrutture in acque libiche non siano fuori dalla portata di un eventuale attacco.

South Stream vs Turkish Stream: la decisione di Gazprom di aggirare l’Ucraina stravolgerà davvero gli equilibri del gas europeo?

Prima di tutto bisogna aspettare, per capire come evolverà la situazione sul terreno in Ucraina e per vedere quali infrastrutture saranno effettivamente realizzate. Gazprom sembra determinata a costruire un nuovo gasdotto verso la Turchia. A ben vedere, si tratta di una scelta ragionevole: si tratta dell’unico grande mercato in crescita a Ovest della Russia, col Turkish Stream Gazprom potrà mantenere il proprio ruolo di primo fornitore del Paese.

Per quanto riguarda invece il completo aggiramento dell’Ucraina, sarei cauto. Si tratta di un’opzione costosa, che richiede grandi investimenti sia da parte della Russia per portare il gas al confine greco, sia da parte dei clienti europei.

Inoltre, appare sempre più evidente che il governo di Kiev si sta avviando verso una crisi finanziaria molto più forte, che si risolverà solo con massicci prestiti occidentali. Un governo ucraino dipendente dall’Occidentale è però destinato a essere un partner più affidabile per il transito verso Occidente del gas russo. Gazprom potrebbe così aver meno bisogno che in passato di diversificare completamente i transiti e, quindi, decidere di non aver bisogno di tutte e quattro le linee da 16 Gmc ipotizzate per il Turkish Stream.

Dal punto di vista europeo, non credo che vedremo uno stravolgimento, ma una lenta evoluzione. Come peraltro avvenuto nei decenni passati, quando abbiamo visto posare, uno dopo l’altro, Yamal-Europe, Blue Stream e Nord Stream.

Contro l’inquinamento non servono opposizioni di principio ma vigilanza

basilicataQualche giorno fa ho visto una puntata di Presa Diretta dedicata allo Sblocca Italia e ai danni ambientali che lo sfruttamento di idrocarburi starebbe producendo nell’area della Val d’Agri in Basilicata.

Personalmente, si tratta di una regione che amo e che ho apprezzato molto turisticamente, soprattutto per i suoi paesaggi poco popolati, i suoi panorami selvaggi, nonché per la bontà della cucina.

Di conseguenza, fa bene il programma a evidenziare il problema dell’impatto ambientale che le attività estrattive e di lavorazione possono generare.

Tuttavia, come altre volete evidenziato, è necessario evitare sensazionalismi e affermazioni basate unicamente sull’emotività, che spesso inducono al rifiuto e all’opposizione totale.

Non ha senso dire che il 70% della Basilicata potrebbe essere coperto di pozzi petroliferi (non si tratta di formazioni shale e quindi i pozzi sarebbero al massimo poche decine sparsi su migliaia di km2). Non ha senso dire che tutto il petrolio italiano ci basterebbe solo per due anni e quindi è inutile che roviniamo il paesaggio per sfruttarlo (agli attuali tassi di sfruttamento ci vorrebbero più di dieci anni per estrarre le sole riserve provate: poi se ne possono trovare ancora altre). Per non parlare del filmato di Ficarra e Picone (due comici che apprezzo), basato puramente sull’emotività e non su dati o ragionamenti bilanciati.

Al contrario, qui come altrove (Ilva, TAP, TAV, ecc.) è necessario un cambio di mentalità. L’attività economica va sostenuta e facilitata. E invece di fare ostruzionismo duro e puro, è meglio pretendere un’applicazione delle norme e un assiduo controllo da parte degli enti preposti, che devono essere dotati delle competenze tecniche e dei requisiti di indipendenza necessari, per poter vigilare, fare attente analisi e sanzionare comportamenti illeciti.

Invece di vietare i pozzi di petrolio, bisogna controllare che questi siano fatti a regola d’arte e rispettino elevati standard di sicurezza!

Insomma, invece di gridare sempre al lupo al lupo come Pierino, bisogna diventare più seri. Questo richiede impegno e costanza, ma certo fa parte di quell’evoluzione necessaria per mantenere l’Italia tra il novero dei paesi avanzati.

Ps: quando dico che alcuni interventi di questa puntata di Presa Diretta come di altri programmi televisivi sono molto emotivi e poco ragionati, mi riferisco soprattutto al fatto che spesso indicano un danno, un costo ambientale o altro senza contestualizzarlo, senza indicare il corrispettivo beneficio o il costo opportunità della scelta alternativa. Ad esempio: 250 milioni di euro di entrate per la Basilicata all’anno con le nuove regole sono oltre 350 euro per ogni lucano all’anno. Oppure: dei 7-8 miliardi di euro di valore del petrolio estratto in Italia l’anno scorso, è parziale dire che solo 400-500 milioni sono rimasti in Italia. Se contiamo gli stipendi dei lavoratori, i dividendi pagati da Eni agli azionisti italiani, ecc. il valore è molto maggiore.

Insomma, bisogna sempre essere molto prudenti quando si fanno analisi costi-benefici.

Slides – Geopolitica e trasporto di energia

SE - Geopolitica e trasporto di energiaPer gentile concessione di Antonio Sileo, sono disponibili qui le slides relative al suo intervento dal titolo «Geopolitica e trasporto di energia, ovvero come può il commercio aiutare a conoscersi e allontanare le guerre», tenuto il 19 febbraio presso il Dipartimento di Economia dell’Università di Padova.круглосуточные займы на карту без проверок

 

Tensioni in Libia ma non sui mercati del petrolio

mappa-libia-cirenaica3Nonostante le numerose tensioni geopolitiche che hanno caratterizzato questo primo scorcio di 2015, il prezzo del petrolio, dopo un mini-rimbalzo a inizio febbraio, si mantiene su livelli piuttosto contenuti, attorno ai 60 $ al barile.

In particolare, la situazione di profonda crisi che caratterizza la Libia non sembra incidere troppo sulle quotazioni internazionali.

Su questo tema vi segnalo un mio breve contributo apparso oggi su AgiEnergia.