La Commissione adotta la strategia per l’Unione energetica

EC - Energy UnionMercoledì 25 febbraio la Commissione europea ha adottato la comunicazione A Framework Strategy for a Resilient Energy Union with a Forward-Looking Climate Change Policy, il documento che lancia l’Unione energetica.

La strategia si basa su cinque dimensioni: la sicurezza energetica (ossia degli approvvigionamenti), la piena integrazione del mercato dell’energia a livello europeo, l’efficienza energetica, la decarbonizzazione dell’economia, l’investimento su ricerca, innovazione e competitività.

Oltre alla comunicazione relativa all’Unione energetica, la Commissione ha anche adottato una comunicazione relativa alla conferenza sul clima di dicembre a Parigi. In vista dell’incontro, la Commissione vuole rilanciare il ruolo di guida dell’UE nella riduzione delle emissioni climalteranti a livello globale. Resta però da vedere se e quanto le altri grandi economie saranno disposte a seguire.

La Commissione ha infine adottato una comunicazione relativa alle interconnessioni elettriche tra le reti nazionali dei Paesi membri. Dodici su ventotto non soddisfano infatti l’obiettivo minimo di interconnessione attualmente vigente, secondo il quale la capacità di scambio con l’estero deve corrispondere ad almeno il 10% della capacità installata.

Crisi libica: nessun rischio per la sicurezza energetica italiana

Il Giornale - Il tecnico italiano ex ostaggio dell'Isis: "Vogliono solo il petrolio"La situazione libica è giunta nei giorni scorsi a un nuovo momento di crisi, con l’avanzata delle fazioni che si rifanno all’ISIS. Tornano così gli allarmi per gli approvvigionamenti energetici nazionali: dalla Libia arrivano infatti in Italia importanti forniture di petrolio e di gas naturale, ma anche in caso di completo collasso della produzione libica non ci sarebbero problemi per l’Italia.

Nei primi undici mesi del 2014, gli operatori nazionali hanno importato mediamente 3,3 milioni di tonnellate (Mt) di petrolio libico, pari al 6,7% del totale. Per quanto riguarda il gas naturale, nel 2014 le importazioni italiane dalla Libia attraverso il gasdotto Greenstream sono state di 6,4 miliardi di metri cubi, pari all’12% del totale importato.

Quantità rilevanti, ma perfettamente sostituibili, come ampiamente dimostrato nel 2011. Allora i flussi di greggio si interruppero per sei mesi e quelli di gas per sette senza alcuna conseguenza rilevante per i consumatori.

Nel caso del petrolio, a garantire la sicurezza è l’esistenza di un mercato sostanzialmente globale e liquido. Sebbene esistano diversi tipi di greggio adatti a diversi impianti di raffinazione, l’offerta sul mercato è abbastanza varia e diversificata da offrire facilmente un sostituto (nel caso specifico, l’Azerbaigian). La produzione libica, a regime, non arriva peraltro nemmeno al 2% del totale mondiale.

Nel caso del gas, a garantire la sicurezza è l’esistenza di un sistema di approvvigionamento diversificato e ridondante. La capacità di importazione della rete italiana ammonta infatti a oltre 100 Gmc/a, di cui il gasdotto della Libia rappresenta appena 9 Gmc/a. Il resto della capacità arriva da Nord Europa, Russia, Algeria e tre rigassificatori: decisamente abbastanza per rimpiazzare i flussi libici senza problemi.

La sicurezza degli approvvigionamenti italiani è poi amplificata dal calo dei consumi dovuto alla crisi economica. Nei primi undici mesi del 2014, le importazioni italiane di greggio sono state pari a 49,3 Mt, mentre nello stesso periodo del 2011 erano state di 62,3 Mt.

Parallelo anche il calo delle importazioni di gas: nel 2014 sono state di 54,5 Gmc, contro i 68,7 Gmc del 2011. E nel frattempo i rigassificatori in servizio sono passati da due a tre.

Gli interessi delle imprese italiane in Libia sono fortissimi, a cominciare da Eni, che è il primo operatore del Paese. Senza considerare le innegabili questioni di sicurezza. Tuttavia, sul fronte degli approvvigionamenti energetici, la completa destabilizzazione della Libia non porrebbe problemi rilevanti per l’Italia.

Focus trimestrale sicurezza energetica – Q3 e Q4 2014

OPI - Focus trimestrale sicurezza energetica Q3 Q4 2014È stato reso pubblico il focus sulla sicurezza energetica relativo agli ultimi due trimestri 2014, realizzato per l’Osservatorio di Politica Internazionale (Senato, Camera e MAE).

Il primo capitolo del Focus è dedicato all’analisi del fabbisogno di gas nei principali mercati europei, con specifico riferimento alla generalizzata contrazione dei consumi nel corso del 2014 e alla composizione dell’approvvigionamento di gas dei principali Paesi europei.

Il secondo capitolo è invece dedicato all’offerta e, nello specifico, alle politiche dei Paesi produttori di gas naturale e dei Paesi di transito dei gasdotti attualmente in funzione o in fase di progettazione/realizzazione. Ai recenti sviluppi del sistema di infrastrutture di trasporto e alle prospettive di realizzazione di nuovi progetti è poi dedicato il terzo capitolo.

Infine sono presenti due approfondimenti, uno di Nicolò Rossetto dedicato agli impianti essenziali per la sicurezza del sistema elettrico italiano, l’altro di Francesco Ramella dedicato alla necessità di cambiare strategia sui sussidi alle rinnovabili.

Il Turkish Stream prende forma

Turkish StreamDopo l’annuncio dell’abbandono di South Stream e la firma del memorandum con la turca Botas, prosegue lo sforzo di Gazprom per sviluppare una nuova infrastruttura di esportazione del gas diretta in Europa attraverso  la Tuchia. I dettagli della tratta hanno cominciato a essere diffusi nei giorni scorsi, anche per dare credibilità alle strategie di diversificazione russa.

Il nuovo progetto di gasdotto, chiamato Turkish Stream, dovrebbe partire dalla costa russa, nella zona di Anapa, e attraversare il Mar Nero. Il punto di attracco è previsto nell’area del villaggio di Kıyıköy, nella Turchia europea, mentre il punto di ingresso nella rete di distribuzione turca sarà nella zona di Lüleburgaz. Il punto di uscita verso l’UE è invece previsto nella zona di Ipsala, vicino al confine turco-greco.

Nel complesso, la lunghezza della tratta onshore è prevista di circa 180 km, mentre non ci sono ancora notizie esatte sulla tratta offshore (e infatti le navi Siapem sono alla fonda). È probabile che si sia presa inizialmente in considerazione anche l’ipotesi di un raddoppio di Blue Stream, ma Gazprom e Botas hanno preferito mantenere la maggior parte della tratta offshore, forse anche per sfruttare i contratti già assegnati da South Stream per le condotte sottomarine e la posa dei tubi.

Analogamente a South Stream, la capacità complessiva di Turkish Stream dovrebbe essere di 63 Gmc annui, distribuiti su quattro linee da 15,75 Gmc annui ciascuna. Secondo quando dichiarato da Gapzrom, 47 Gmc annui saranno destinati all’ingresso in UE, mentre gli altri 16 saranno destinati alla domanda turca, prevista in forte aumento.

La costruzione della prima linea destinata a rifornire il mercato turco occidentale non dovrebbe essere in dubbio, dato che domanda, offerta e capacità di costruzione ci sono. Permangono forti dubbi sull’effettiva realizzazione delle successive tre linee, destinate a rifornire un mercato europeo debole e sulle quali è facile attendersi da parte della Commissione un veto sul piano regolatorio.

Di grandi volumi di gas russo in transito in Turchia se ne riparlerà dunque forse tra qualche anno, anche se nel frattempo una stabilizzazione dell’Ucraina e un più ampio coinvolgimento finanziario occidentale a fianco di Kiev potrebbero rendere il transito attraverso l’Ucraina un’opzione meno rischiosa e tutto sommato conveniente per Gazprom.

Meno benzina, più tasse

Consumi di benzina e gasolio in Italia e gettito fiscale (elaborazione di Matteo Villa su dati UP)Negli ultimi quindici anni, i consumi di gasolio e benzina in Italia sono progressivamente diminuiti, sia per maggiore efficienza, sia per effetto della crisi.

Un bel problema per lo Stato, che notoriamente raccoglie circa il 70% del prezzo alla pompa. In totale, oltre 40 miliardi di euro all’anno, sufficienti a coprire le spese della difesa, dell’amministrazione della giustizia, della sicurezza pubblica e di tutta l’amministrazione centrale dello Stato.

Per evitare che il calo strutturale dei consumi si traducesse in un calo strutturale permanente del gettito, negli ultimi anni il legislatore ha proceduto ad aumentare progressivamente la pressione fiscale, compensando la perdita di gettito. Un’operazione che con ogni probabilità continuerà in futuro.

I dettagli sono analizzati da Matteo Villa in un post per l’ISPI Energy Watch, ripreso anche da SQ.

Greggio: è iniziata la risalita?

Oil-price.net - Crude Oil and Commodity PricesIl prezzo di un barile di Brent è tornato sopra quota 55 dollari, dopo essere stato ampiamente sotto i 50 dollari nell’ultima parte di gennaio. La domanda è naturale: siamo di fronte a una risalita?

Ci sono segnali che vanno in direzioni opposte, come spiega FT. Per cominciare, diversi sono gli indizi che portano nella direzione di un aumento immediato dei prezzi.

Sul lato dell’offerta, il numero di impianti di trivellazione in funzione negli Stati Uniti ha iniziato a contrarsi, perché i giacimenti non convenzionali hanno bisogno di trivellazioni continue e dunque i produttori indipendenti che li sfruttano posso rispondere più rapidamente alle variazioni di prezzo sospendendo le operazioni.

Peraltro, anche gli investimenti in produzione convenzionale stanno rallentando drammaticamente: Royal Dutch Shell, ConocoPhilips e BP sono le majors che hanno annunciato i tagli più grossi, ma la tendenza a sospendere i progetti più costosi è generalizzata.

Sul lato dell’offerta, la domanda sta iniziando a crescere in risposta ai prezzi più bassi, soprattutto dove i prodotti petroliferi sono meno tassati, ossia negli Stati Uniti. La domanda statunitense di benzina ha infatti superato in media i 9 milioni di barili al giorno per tutto il mese scorso.

Infine, a confermare (forse) le aspettative di rimbalzo sono arrivate le dichiarazioni del segretario generale dell’OPEC, Abdalla El-Badri, che ha detto di recente che le quotazioni petrolifere “maybe prices have reached a bottom”. Sibillino, ma per alcuni analisti potrebbe essere un appiglio.

Tuttavia, anche i segnali di una possibile ripresa della discesa dei prezzi non sono trascurabili. In primo luogo, la produzione interna statunitense continua a crescere per effetto degli investimenti dell’anno scorso e la settimana scorsa ha raggiunto il livello di 9,2 milioni di barili al giorno, il più alto degli ultimi 31 anni.

Inoltre, dai produttori OPEC continua a non arrivare alcun segno di riduzione dei volumi e addirittura i due membri africani, Angola e Nigeria, hanno aumentato la produzione per cercare di restare a galla finanziariamente, portando a gennaio la produzione complessiva del cartello a 30,37 milioni di barili al giorno.

Sul lato della domanda, ci sono parecchi dubbi sul ritmo della crescita globale, soprattutto dopo che l’IMF ha tagliato di 0,3 punti percentuali le previsioni di crescita per il 2015 e il 2016, rispettivamente a 3,5% e 3,7%.

Qualche segnale di sfiducia arriva infine anche dai mercati finanziari, dove gli hedge funds stanno scommettendo su un nuovo ribasso del WTI, esponendosi come non si vedeva dal novembre 2010.

Insomma, troppo presto per tirare le conclusioni. Ma se il prezzo dovesse ripartire, potremmo presto trovarci presto a discutere dei downsides of expesive oil.