Il calo delle quotazioni del greggio: un bene o un male per i paesi importatori?

petrolioStamattina ho letto sul Sole 24 Ore un lungo articolo in cui si riportavano le opinioni di vari analisti finanziari sugli effetti del calo delle quotazioni petrolifere.

Data l’entità della variazione del prezzo (-60% circa se calcolato in dollari, -45% circa se calcolato in euro) e l’importanza della commodity (anche perchè rappresenta un riferimento di prezzo per altre fonti di energia), l’impatto sul quadro macro-economico può essere significativo, sia in positivo che in negativo.

Nell’articolo si sottolineano i vari rischi che il ribasso comporta, in particolare le perdite finanziarie per le imprese energetiche e le società finanziarie, nonché la minore domanda di investimenti nel settore oil&gas.

Ad ogni modo, credo che per paesi come l’Italia i vantaggi sono e saranno maggiori degli svantaggi: maggiore potere di acquisto grazie alla riduzione della spesa per energia e trasporti, rafforzamento del dollaro e quindi dell’export (salvo ovviamente che verso i paesi esportatori di greggio), sollievo per il settore della raffinazione.

Non credo molto alle minacce di una deflazione indotta dal calo di materie importate e ai danni che essa produrrebbe. Molto più colpevole è un’indiscriminata politica di austerità delle finanze pubbliche.

Nel complesso quindi il calo dovrebbe essere una cosa abbastanza buona, a meno che non siate azionisti di Eni, Tenaris o creditori del Venezuela. Ma questa è un’altra storia.

PS: commenti da parte di macro-economisti sono ben accetti.

PPS: per chi oggi fosse a Padova, consiglio un convegno al Centro Levi Cases dell’Università di Padova. Massimo Nicolazzi parlerà di idrocarburi non convenzionali e dell’impatto del loro sfruttamento sui mercati energetici.

La crisi del settore della raffinazione in Europa

ISPI - 2014 in refining: Europe is ailing, Italy is worseDue giorni fa è stato segnalato un post di Simona Benedettini sul mercato della capacità inglese. Oggi, vi rimando al secondo post apparso sul nuovo Osservatorio energia dell’ISPI.

Il pezzo, firmato da Matteo Villa, fa il punto della situazione sull’andamento del settore della raffinazione del petrolio in Europa e tratteggia un quadro piuttosto fosco.

Dalla crisi finanziaria del 2008 in poi l’Europa ha visto le proprie raffinerie fronteggiare da un lato il calo della domanda interna e dall’altro la crescente competizione dei produttori extra-UE, col risultato che i margini si sono notevolmente ridotti e si è registrata la chiusura di alcuni stabilimenti, non ultimo nel nostro paese.

Insomma, anche la raffinazione soffre nel Vecchio continente dell’eccesso di capacità e della mancata crescita dell’attività economica. Da sette anni ormai, il Pil europeo è stagnante e grazie alla maggiore efficienza la domanda di energia non può che essere in calo.

In questo contesto negativo, il calo dei prezzi del greggio degli ultimi mesi può dare una temporanea boccata d’ossigeno, ma non è affatto sicuro che questa cosa durerà a lungo e che i problemi del settore si ridimensioneranno. Anzi, il dato strutturale è che senza politiche adeguate la UE rischia davvero di perdere un settore economico storicamente molto importante.

Il mercato britannico della capacità

IEW - The British capacity market: a hidden déjà vu?La penetrazione delle rinnovabili nel paniere elettrico europeo negli ultimi anni, oltre a causare un enorme trasferimento di ricchezza nella casse dei percettori dei sussidi, ha amplificato il rischio –  insito nei mercati liberalizzati – di un’insufficienza di investimenti in capacità di generazione disponibile.

In un quadro di incertezza, infatti, gli investitori di mercato possono non assumersi tutti gli oneri finanziari necessari a sviluppare e mantenere abbastanza capacità di generazione da soddisfare sempre la domanda finale, perché rischierebbero di ritrovarsi con degli impianti sotto-utilizzati e quindi anti-economici. Una condizione insostenibile se non si può scaricare direttamente sui consumatori il loro costo, come avveniva in regime di monopolio.

Allo stesso tempo, però, la disponibilità di energia elettrica in modo costante e affidabile è l’aspetto in assoluto più delicato per la sicurezza energetica delle società industrializzate, altamente dipendenti dall’elettricità sia per i processi produttivi, sia per gli apparati di telecomunicazioni.

Per questo, in un mercato liberalizzato è necessario che la collettività si faccia carico di remunerare degli operatori per mantenere operativi e disponibili impianti sufficienti a garantire che ci sia sempre capacità di riserva pronta a entrare in funzione per sopperire all’instabilità di altri produttori, in particolare di quelli da rinnovabili.

Il 16 dicembre scorso la Gran Bretagna è stato il primo Paese UE a tenere un’asta della capacità di generazione, lo strumento più efficace per allocare in modo efficiente i sussidi necessari a mantenere livelli minimi di capacità di generazione.

Su questo tema segnalo l’ottimo post di Simona Bendettini, The British capacity market: a hidden déjà vu?, che inaugura le attività dell’Osservatorio Energia dell’ISPI, l’ISPI Energy Watch.

Mercato LNG e Politica energetica europea

casp_report_8_bykSegnalo la pubblicazione da parte Caspian Strategy Institute del nuovo numero del Caspian Report, all’interno del quale potete trovare la mia sintesi dell’accordo europeo su energia e clima dello scorso ottobre (pp. 128-131), ma soprattutto un articolo di Matteo Verda sulle prospettive attuali per il mercato del gas naturale liquefatto (pp. 34-43).

Buona lettura e un augurio di felice anno nuovo a tutti i lettori di SicurezzaEnergetica.

Il pricing del gas in Europa

CIEP - Long-Term Gas Import Contracts in EuropeLong-Term Gas Import Contracts in EuropeLong-Term Gas Import Contracts in EuropeSegnalo un interessante e agile studio di Luca Franza dal titolo Long-Term Gas Import Contracts in Europe. The evolution in pricing mechanisms, pubblicato da Clingendael.

Il lavoro analizza l’evoluzione dei meccanismi di prezzo dal 2008 a oggi, evidenziando l’allineamento alle quotazioni degli hub dei prezzi previsti dai contratti di lungo periodo indicizzati al petrolio.

L’autore propone anche una rassegna delle previsioni sui consumi europei nei prossimi decenni, soprattutto per quanto riguarda il termoelettrico, e individua le condizioni che possono portare a prezzi più o meno elevati.

Invito a leggere lo studio, ma la sensazione che se ne trae è che i contratti indicizzati più flessibili non sembrano destinati a perdere di rilevanza rapidamente come si pensava, soprattutto se le quotazioni agli hub europei saranno relativamente elevate a causa della ripresa della domanda europea e della competizione asiatica per l’LNG. E questo senza considerare quel che è successo negli ultimi mesi al prezzo del greggio.

Quanto è difficile essere obiettivi, onesti e accessibili nel fare informazione

ReportUsualmente sono uno spettatore contento di Report, che reputo uno dei pochi programmi di giornalismo d’indagine di buon livello che viene fatto in Italia e che va a fare le pulci a politici, imprenditori, sindacati e quant’altro.
Proprio per questo sono tuttavia deluso da una parte della trasmissione andata in onda domenica 21 dicembre, ‘O sole mio, che si proponeva di aggiornare l’analisi condotta in una puntata della scorsa primavera dedicata al fracking.
Tra le inesattezze, imprecisioni o affermazioni che a un pubblico poco preparato possono risultare tendenziose mi limito a indicare:
• Min. 2: parlando del rischio sismico in Italia non si distingue bene fra i rischi connessi all’estrazione di idrocarburi, che non necessariamente avvengono col fracking, e i rischi connessi all’immissione e estrazione di gas da siti di stoccaggio, attività che non impiega tecniche simili a quelle del fracking.
• Min. 3: qualche decina di trivellazioni fatte a 10-20 km dalla costa o in alcune aree poco abitate (Basilicata) non credo danneggino il turismo italiano più di quanto non facciano la scarsità dei collegamenti di trasporto, il poco inglese degli operatori o l’edificazione di centinaia di centri commerciali e capannoni industriali.
• Min. 3: vero, l’industria estrattiva è a bassa intensità di lavoro, ma può dare sbocco a produttori di tecnologia e lavoro a varie centinaie di persone altamente specializzate (ingegneri, geologi,..) oltre che a qualche migliaio di operai. Come al solito, dirimente è l’origine di questi fattori della produzione e l’effetto moltiplicatore che può generare. Se fossero tecnologie e ingegneri italiani forse il gioco varrebbe la candela.
• Min. 4: non si capisce cosa si intenda e in base a che assunzioni si possa affermare che il 75% dei danni ambientali causati dall’inquinamento (????) provengano dalla produzione di energia. D’altra parte essendo l’energia utilizzata in ogni attività, l’affermazione rischia di perdere di significato. Un numero messo così credo miri impressionare e non ad informare.
• Min. 4: riportando il dato dei costi ambientali stimato dalla EEA, il giornalista riferisce a parole il limite estremo del range indicato nel testo del documento (169 mld di euro) e non anche quello minimo (102 mld): un po’ asimmetrica come lettura.
• Min. 6: la produzione elettrica da fotovoltaico non può sostituire quella da gas o carbone perché se il sole non c’è, anche avere 1.000 km2 di pannelli fotovoltaici non basterebbe a coprire la domanda. Gli impianti fotovoltaici NON rimangono per sempre: dopo 20-25 anni i pannelli si degradano e vanno sostituiti. La Road Map 2050 non è ancora vincolante: è solo una proposta della Commissione europea in risposta a un impegno vago preso dal Consiglio europeo di ridurre entro il 2050 le emissioni clima-alteranti dell’80-95%.
• Min. 6: le riserve provate di idrocarburi in Italia valgono sì meno di 2 anni di fabbisogno (a spanne), ma il loro sfruttamento a tassi ragionevoli, anche doppi di quelli attuali, causerebbe il loro esaurimento fra non meno di 10-15 anni, tempo sufficiente ad ammortizzare gli investimenti. E tutto questo senza dimenticare che le riserve provate potrebbero anche crescere nel tempo a seguito di nuove scoperte geologiche e/o tecnologiche.
• Min. 7: non è vero che il gas in Italia viene usato soprattutto per fare elettricità: più della metà viene usato per produrre calore nelle case o nelle industrie. E di nuovo, il fotovoltaico può sostituire solo parte della produzione elettrica da gas (di notte come si fa? Le batterie non sono ancora economiche e hanno pure esse costi ambientali).
• Min. 8: a fronte di (circa) 70 mld di euro annui di fonti energetiche importate dall’Italia non si cita che l’investimento in rinnovabili nel 2011-13 è stato in Italia di circa 30-40 mld di euro, il quale ci permette sì di ridurre le importazioni, ma dato che le rinnovabile aggiunte hanno coprono solo il 3-4% della domanda totale di energia primaria, si vede bene che si tratta di un investimento costoso e non molto efficace (in termini di importazioni evitate).
• Min. 9: il contenuto del servizio devia paurosamente dall’argomento che doveva essere aggiornato, ossia il tema della sismicità legata alle attività estrattive: non se ne parla più. Forse non ci sono molti argomenti o forse si voleva fare una puntata pubblicitaria al solare.
• Min. 10: la filiera delle rinnovabili è in crisi e si perdono posti di lavoro. È vero, ma non si dica che si vuole ammazzare un settore che andava in contro-tendenza rispetto al ciclo economico nazionale! Con 20-30 miliardi di sussidi in 3-4 anni credo che anche il settore delle bambole gonfiabili sarebbe cresciuto e avrebbe assunto migliaia di lavoratori.
• Min. 15: anche le conclusioni della Gabanelli non citano nemmeno per striscio il tema di apertura (e della puntata di aprile che si doveva aggiornare).

Sperando che la colpa sia dovuta ai tempi stretti del giornalismo e non a malafede o impreparazione del giornalista, mi è parso utile segnalarlo su questo blog. Anche questo è servizio pubblico.