La IEA dà i voti alla politica energetica della UE

iea_eu_reportA poche settimane dall’accordo del Consiglio europeo sul quadro energetico e climatico al 2030, la IEA pubblica una dettagliata analisi della politica energetica europea, evidenziando in particolare i risultati e le sfide emerse dopo il 2008, anno a cui risale il precedente (e unico) studio dell’agenzia parigina in merito.

Alla presentazione del rapporto avvenuta due giorni fa a Bruxelles, il direttore generale della IEA, van der Hoeven, ha evidenziato i grandi progressi ottenuti in questi sei anni e ha riconosciuto la leadership europea in materia di lotta al cambiamento climatico e promozione dell’efficienza energetica.

L’Europa, secondo la van der Hoeven, è ben avviata sulla strada della transizione a un’economia a basso contenuto di carbonio, ma deve comunque affrontare una serie di sfide non da poco.

Innanzi tutto, è necessario lavorare ancora al completamento del mercato interno, che è ancora diviso in mercati regionali, accrescendo le interconnessioni e le procedure di accoppiamento dei mercati. In secondo luogo bisogna aggiustare l’ETS, in modo che dia certezza agli investitori. È poi necessario continuare a sviluppare le rinnovabili, garantendone l’integrazione nel mercato interno e minimizzando gli effetti distorsivi sulla borsa elettrica. È inoltre necessario diversificare le fonti di approvvigionamento degli idrocarburi e promuovere un adeguato sfruttamento delle risorse interne. Infine, bisogna preservare un mix elettrico di base diversificato, che non veda la drastica riduzione nei prossimi anni del ricorso al nucleare e al carbone.

Per concretizzare queste e le altre raccomandazioni basate sul rapporto è necessario una forte Unione dell’energia, che metta in comune le risorse e coordini le iniziative dei vari stati membri. Proprio quest’ultimo accenno lascia intuire un certo allineamento di pensiero tra la IEA e la Commissione europea. Che siano unite nella lotta a ridurre il potere dei governi nazionali? 🙂

South Stream: Putin annuncia la cancellazione

Reuters - Russia's South Stream pipeline falls victim to Ukraine crisis, energy routA esprimersi è stato Putin in persona: South Stream non si farà, almeno per il momento. Nonostante le aziende russe e i committenti internazionali fossero già impegnati nelle attività preliminari della costruzione, l’annuncio è stato netto e lascia poco spazio alle interpretazioni.

South Stream diventa la prima vittima eccellente della crisi dei prezzi del greggio. La contrazione delle quotazioni sta già costando alcune decine di miliardi di dollari all’anno alla Russia e mancano indizi affidabili su quando i prezzi torneranno a crescere. Per le aziende e per il governo russi è dunque il momento di tagliare le spese inutili, a cominciare proprio dal gasdotto sotto il Mar Nero.

Negli  ultimi mesi, i dubbi erano diventati sempre più insistenti. A pesare, oltre agli effetti della crisi del greggio, altri tre fattori: le sanzioni internazionali, che hanno compromesso in parte le relazioni economiche. Più importante ancora, e parzialmente sovrapposta alla prima, è stata la guerra di logoramento della Commissione, che da tempo si è attestata su posizioni antirusse e che ha fatto della riduzione dei rapporti con la Russia un mantra.

Infine, l’elemento che forse ha pesato di più è la debolezza del mercato europeo, di cui si fanno fatica a immaginare le prospettive. Sebbene la IEA preveda un aumento dei consumi europei a 518 Gmc entro il 2030, la situazione economica del continente e le incertezze legate alle politiche ambientali rendono particolarmente rischioso investire in nuova capacità di esportazione verso l’UE. Soprattutto se l’alternativa è la Cina, dove la nuova domanda non manca e i capitali da investire nemmeno.

L’annuncio di Putin è arrivato durante una visita ad Ankara. Ed è stato seguito dall’annuncio che un gasdotto da 63 Gmc sotto il Mar Nero si farà comunque, ma con approdo in Turchia. Dove peraltro già arriva il Blue Stream. Secondo le dichiarazioni, sarebbere già stato firmato un accordo preliminare per destinare 14 Gmc al mercato turco – quello sì in forte crescita – e il resto ai mercati europei.

Si tratta probabilmente di una mossa mediatica per mascherare la retromarcia russa, ma se fosse realizzato priverebbe la strategia europea del Corridoio meridionale del gas della sua funzione anti-russa. La realizzazione di TAP-TANAP e quella del nuovo gasdotto russo saturerebbero ampiamente la nuova domanda di gas per i prossimi decenni, quantomeno su quella direttrice.

Resta da vedere quali saranno le prossime mosse russe. Di certo, il grande perdente di oggi è un’azienda italiana: Saipem, che avrebbe dovuto realizzare la prima linea e parte della seconda, per un totale di 2,4 miliardi di euro di commesse. Certo, potrebbe in teoria prendere l’eventuale nuova commessa russa, ma intanto oggi il titolo in borsa è crollato.

Gas per l’Italia: il progetto TAP nel contesto geopolitico attuale

Limes - Gas per l'Italia: il progetto Tap nel contesto geopolitico attualeSegnalo che lunedì 1° dicembre alle 11:30 si terrà a Bari un incontro dal titolo Gas per l’Italia: il progetto Tap nel contesto geopolitico attuale, organizzato da Limes per approfondire la questione dell’approvvigionamento energetico del nostro Paese.

A discuterne saranno Lapo Pistelli, viceministro degli Affari Esteri, Franco Cassano, componente della Commissione Esteri della Camera, e Giampaolo Russo, amministratore delegato di Tap Italia, e il sottoscritto. A moderare l’incontro sarà Lucio Caracciolo.

Qui è possibile scaricare la mia relazione.

Il greggio a quota 70 dollari

FT - Living With Cheaper OilProsegue il processo di aggiustamento del prezzo del greggio (siamo a quota 70), alla ricerca di un nuovo punto di equilibrio tra i fondamentali. Ossia tra una domanda più debole del previsto e un’offerta in continua espansione, grazie anche al non convenzionale statunitense.

E visto che i sauditi hanno deciso di non tagliare le quantità, il riequilibrio dei fondamentali sta passando da un riaggiustamento dei prezzi. Come da manuale di economia. Quanto durerà questo calo e fin dove si spingerà è difficile da prevedere, ma dipende molto da quanto elastica si rivelerà la domanda, a cominciare da quella cinese. E naturalmente da quanta produzione uscirà dal mercato nei prossimi trimestri.

E sono proprio i produttori indipendenti nordamericani, quelli che hanno investito nel non convenzionale, che ora sembrano quelli destinati a pagare le conseguenze più care del calo dei prezzi.

Perché loro, a differenza degli operatori dei grandi giacimenti convenzionali, devono rifinanziare su base annuale le continue trivellazioni. Un’operazione facile sopra i 100 dollari, molto difficile quando i prezzi di mercato e i costi di produzione si avvicinano così tanto. Tanto è vero che ora stanno letteralmente crollando in borsa, ma sono rischi del mestiere.

In ogni caso, per mettere le cose in prospettiva, è utile guardare ai prezzi del greggio degli ultimi quaranta anni, in dollari del 2013. Quel che salta all’occhio non è quanto sia basso il livello di oggi, ma quanto fosse alto quello di sei mesi fa.

Prezzo del greggio medio annuale e quotazioni attuali (dollari del 2013 al barile, 1970-2013)

South Stream: si costruisce davvero?

TASS - Russia's Gazprom to start laying underwater part of South Stream on December 15La saga di South Stream continua. Stretto fra le sanzioni americane ed europee – che però non hanno colpito direttamente Gazprom – e la traballante situazione ucraina, il progetto di gasdotto russo-europeo è in un momento particolarmente difficile. Per tacere dell’opposizione della Commissione Europea.

A pesare davvero è poi la debolezza della domanda europea, che continua a calare e che non si sa se e quanto tornerà a crescere. Certo, la produzione interna europea che cala, ma a che ritmi e con quali sostituti resta una questione aperta.

Eppure a guardare le operazioni, il sospetto che Gazprom voglia andare avanti nonostante tutto viene. Nei mesi scorsi nel porto di Burgas sono stati consegnati i primi tubi per la sezione offshore, probabilmente quelli prodotti da Severstal. Gli altri tubi sono stati commissionati alla tedesca Europipe e alla russa OMK.

Un altro indizio che qualcosa si stia davvero muovendo arriva dalle navi Saipem, che poseranno la prima della quattro condotte. Le operazioni di posa dovrebbero avvenire entro il terzo trimestre del 2015, affinché il gasdotto sia operativo entro la fine dell’anno. Nelle operazioni sono coinvolte la Castoro Sei, che ha in passato ha posato una parte di Nord Stream, e Saipem 7000, che in passato ha posato una parte di Blue Stream.

Ed effettivamente, se si guarda al posizionamento delle due navi coinvolte, si nota che nelle ultime settimane sono rimaste stabilmente in acque bulgare. In particolare, Castoro Sei si trova ormeggiata a un molo del porto di Burgas, mentre Saipem 7000 si trova nelle acque della Baia di Burgas.

MarineTraffic - Posizionamento di Castoro Sei al 24/11/2014MarineTraffic - Posizione di Saipem 7000 il 24/11/2014Il fatto che le navi Saipem si trovino nelle acque bulgare e che abbiano con ogni probabilità effettuato le operazioni di carico dei tubi non vuol dire necessariamente che il gasdotto si farà, si farà entro il 2015 e che sarà operativo e in grado di veicolare parte delle esportazioni russe verso l’UE. Eppure è un chiaro segnale che qualcosa si sta muovendo.

Sanzioni alla Russia: corsi e ricorsi storici

NYT - Reagan Lifts Sanctions On Sales For Soviet Pipeline; Reports Accord With AlliesSpesso rileggersi i giornali del passato è un esercizio molto utile per capire le dinamiche del presente. Tra i tanti precedenti storici, le sanzioni imposte quest’anno dagli Stati Uniti alla Russia per via delle vicende ucraine ne hanno uno particolarmente interessante: le sanzioni imposte all’Unione Sovietica da Reagan nel 1981, in risposta all’introduzione della legge marziale in Polonia.

Le sanzioni colpivano in primo luogo l’esportazione di tecnologia necessaria all’ampliamento della rete di gasdotti diretti in Europa occidentale. E molta della retorica di allora sulla dipendenza europea dall’impero del male sembra riecheggiare nei giornali di oggi.

Per fare un viaggio nel tempo, suggerisco la lettura di questo articolo del New York Times del 13 Novembre 1982, il giorno in cui le sanzioni all’Unione Sovietica furono ritirate. L’articolo si chiude con questo istruttivo passaggio:

Martin S. Feldstein, the chairman of the President’s Council of Economic Advisers, said the sanctions had ”worked temporarily.” ”I think we have inflicted some pain,” he said, ”but we were also creating some side effects for our allies and ourselves so it was an inefficient way to penalize the Russians. We were hurting the allies and ourselves.”

The pipeline project, which is due to become a major source of Western currency for the Soviet Union by the end of the decade, was never seriously threatened by the sanctions, officials have said, but the sanctions did have the effect of making it more expensive for them.

A futura memoria.