Politiche energetiche europee: nuovi obiettivi, vecchi errori

European Council (23 and 24 October 2014) Conclusions on 2030 Climate and Energy Policy FrameworkLe istituzioni europee hanno annunciato l’accordo sui nuovi obiettivi di politica energetica al 2030. Dopo mesi di negoziazioni, gli obiettivi annunciati sono in linea con quelli proposti all’inizio dell’anno dalla Commissione.

Il primo obiettivo è relativo alle emissioni di CO2: -40% delle emissioni rispetto ai valori del 1990. Con serena noncuranza del quadro economico, prosegue l’autolesionismo europeo: mentre infatti le emissioni crescono in quasi tutto il mondo e l’Europa diventa sempre più marginale, aumentano i costi per le sempre meno numerose industrie europee.

Se – ammettendo che il riscaldamento globale sia un problema e sia umano – il primo obiettivo è giusto ma inefficiente, il secondo è proprio sbagliato. Si continuano infatti a imporre crescenti livelli minimi di rinnovabili sui consumi finali, che in altre parole sono una previsione del fatto che le rinnovabili da sole non sono in grado di arrivare a quei livelli grazie alla loro competitività. E dunque devono essere imposte per legge, imponendo inefficienza economica.

Gli obiettivi di penetrazione delle rinnovabili al 2030 sono del 27%. Ma a livello europeo, senza obiettivi nazionali grazie alla resistenza di diversi Paesi, a cominciare da Polonia e Regno Unito. Come si farà davvero a far rispettare quel livello in assenza di responsabilità precise resta indefinito.

L’obiettivo potenzialmente più importante, quello dell’aumento dell’efficienza, ancora una volta è stato messo da parte e definito “indicativo”, ossia simbolico. Il valore di riferimento sarebbe un aumento del 27% rispetto all’evoluzione inerziale al 2030, ma senza obblighi e quindi (quasi) senza valore.

Una quarta misura molto importante è invece quella relativa alle interconnessioni elettriche tra le reti nazionali europee, che dovranno salire al 15% della potenza installata. Si tratta di una misura importante per aumentare l’integrazione economica e la sicurezza a livello europeo, ma che riguarda con particolare urgenza la penisola iberica e l’area del Baltico.

Nel complesso il quadro d’azione al 2030 è la prosecuzione inerziale delle poco entusiasmanti politiche europee, ossessionate dalla questione climatica. In teoria, in vista della conferenza mondiale di Parigi sul clima prevista per il 2015, l’accordo dei giorni scorsi prevede la possibilità di rivedere il quadro d’azione. In pratica, però, anche se il resto del mondo continuerà a rifiutare accordi vincolanti, è molto probabile che l’unilateralismo autolesionista dell’Europa continui.

Slides – La generazione distribuita

La generazione distribuitaUno dei maggiori cambiamenti registrati nel settore elettrico negli ultimi anni è rappresentato dalla forte crescita della generazione distribuita, ossia dall’insieme di impianti connessi in media e bassa tensione.

Solo in Italia questi sono passati da circa 4 GW di potenza installata e 12-15 TWh di produzione annua nei primi anni 2000, fino ad arrivare nel 2012 a circa 30 GW di potenza e quasi 60 TWh di produzione. In meno di 10 anni sono passati perciò dall’essere marginali al rappresentare circa 15-18% della produzione nazionale.

Il loro impatto sul sistema non può dunque più essere trascurato. Per chi ne volesse sapere qualcosa di più, rimando alla presentazione che ho proposto due giorni fa al gruppo di lavoro Energia e ecologia dell’ALDAI a Milano: La generazione distribuita (N. Rossetto – 23 10 2014).

Il trasporto marittimo di risorse energetiche: i passaggi fondamentali

AgiEnergia - Il trasporto marittimo di risorse energetiche: i passaggi fondamentaliSegnalo un’interessante analisi di Annalisa De Vitis dal titolo Il trasporto marittimo di risorse energetiche: i passaggi fondamentali, pubblicata da AgiEnergia.

Partendo da un’analisi dell’EIA, il lavoro ricostruisce l’importanza dei principali punti di cogestione del traffico marittimo mondiale, a partire dagli stretti di Hormuz e Malacca. Agile e utile a rinfrescare la memoria su un tema sempre di attualità.

Settore petrolifero russo: una sintesi

CIEP - Factual information on oil pipelines, gas pipelines and gasflows from Russia to EUPer chi avesse bisogno di farsi rapidamente un’idea del settore oil&gas russo e dei rapporti con l’Europa, senza perdere troppo tempo o affidarsi a fonti di dubbia origine, segnalo un paio di schede realizzate dal Clingendael International Energy Programme (CIEP).

Una scheda è dedicata al , l’altra al . Per uno sguardo più ampio al settore energetico russo, segnalo invece la scheda dell’Energy Information Administration statunitense.

Stess test UE: qualche problema in Europa orientale

Q&A on Gas Stress TestsLa Commissione europea ha pubblicato ieri i risultati dello stress test sui sistemi gas dei Paesi europei condotto quest’estate. Due gli scenari testati: un’interruzione completa dei flussi dalla Russia e un’interruzione dei flussi attraverso l’Ucraina.

Tacendo sul fatto che la prima ipotesi è più propaganda che un effettivo esercizio da pubblicare, il dato principale è che, in caso di interruzione dei flussi attraverso l’Ucraina, a essere colpiti sarebbero soprattutto cinque Paesi dell’Europa orientale: Bulgaria, Grecia, Ungheria, Romania e Crozia.

Sul fronte delle contromisure, una maggiore integrazione delle reti con un ampio ricorso al controflusso e un coordinamento nell’uso degli stoccaggi sarebbero largamente sufficienti a evitare scenari apocalittici. La Commissione, naturalmente, raccomanda anche un ruolo più ampio della Commissione nel gestire il tutto.

A parte la poca rilevanza delle conclusioni, il lavoro presenta una serie di analisi interessanti e merita di essere letto. In particolare, sono pubblicamente disponibili:

Buona lettura.

Prezzi del greggio: continua la discesa

Reuters - UPDATE 2-IEA sees 2015 oil demand growth much lower, supply hitting pricesGuai in vista per i Paesi produttori la cui stabilità finanziaria dipende dalle esportazioni di greggio. E che potrebbero vedere diminuire ancora il valore della loro produzione: in questi giorni le quotazioni del Brent sono scese stabilmente sotto i 90 dollari, dopo aver toccato in giugno i 115 dollari ed essere stabilmente sopra i 100 dal 2011.

Tre le cause principali: sul lato dell’offerta, il boom del non convenzionale statunitense. Sul lato della domanda, il rallentamento della crescita globale e il dollaro forte, che penalizza tutti gli importatori (tranne quelli che stampano dollari).

Tanto che la IEA ha tagliato del 20% le proprie stime di crescita della domanda per il 2015. Il calo dei prezzi quindi non sembra essere ancora abbastanza marcato da stimolare un aumento significativo della domanda.

E nemmeno da far scattare una riduzione della produzione OPEC per stimolare una crescita dei prezzi a causa della scarsità. I Paesi del cartello sembrano infatti più impegnati a difendere i volumi di esportazione che non ad alterare i prezzi di mercato, approfittando dei costi di produzione mediamente più bassi rispetto agli altri Paesi.

La situazione potrebbe continuare fino alla soglia degli 80 dollari al barile, quando invece tagliare i volumi per aumentare i prezzi potrebbe tornare a essere profittevole per i Paesi OPEC.

Intanto però a rimetterci sarebbero soprattutto due categorie. Da un lato, i produttori con costi molto alti, come quelli statunitensi e canadesi da non convenzionale. Dall’altro, i Paesi produttori con le finanze pubbliche più a rischio.

In particolare, tra i Paesi OPEC il Venezuela è particolarmente sensibile alla questione, tanto da aver proposto di anticipare il prossimo incontro ufficiale dell’organizzazione, previsto per il 27 Novembre. Le finanze venezuelane rischiano davvero di non riuscire a reggere il colpo di una riduzione dei prezzi, soprattutto con una produzione in costante declino e con 5,2 miliardi di dollari di prestiti in scadenza nel solo mese di ottobre.

Se i sauditi sceglieranno di non reagire, lasciando scendere ancora i prezzi e rendendo strutturale il calo, i problemi potrebbero emergere anche per altri Paesi. A cominciare da Algeria e Russia, che hanno impostato i rispettivi bilanci pubblici per il 2015 sulla base di prezzi intorno ai 100 dollari. E che potrebbero trovarsi a dover fare tagli dolorosi alla propria spesa pubblica, al pari di parecchi Paesi nel Golfo.

E per noi? Dipende. L’impatto sull’Italia sarebbe positivo in quanto Paese importatore (30 miliardi di euro nel 2013), perché la riduzione dei prezzi potrebbe bilanciare il deprezzamento dell’euro rispetto al dollaro. Ma sarebbe anche potenzialmente negativo come Paese esportatore, soprattutto se la crisi dovesse indebolire la domanda di merci italiane nei Paesi del Golfo e in Russia.