Tagli alle rinnovabili? Troppo pochi

LaVoce.info - Tagli alle rinnovabili? Troppo pochiA inizio agosto è arrivato il via libera al dl competitività, che prevede tra l’altro una riduzione dei sussidi alle rinnovabili, arrivati a 5,9 miliardi di euro nei primi sei mesi del 2014. Oltre 32 milioni al giorno.

I tagli, un po’ limati in fase di conversione, sono finalmente arrivati, sulla scia di quando già avvenuto altrove in Europa. Certo, c’è il solito problema dell’incertezza del quadro normativo, che allontanerebbe gli investimenti. Ma non può essere un alibi: se una misura è sbagliata a monte, continuare a mantenerla per via dei “diritti acquisiti” vuol solo dire continuare a far danni ai cittadini.

Come spiegano bene Marco Ponti, Giorgio Ragazzi e Francesco Ramella su LaVoce.info, i sussidi servono per correggere un fallimento del mercato, ossia la presenza di esternalità ambientali negative non internalizzate. Ma per valutare l’adeguatezza delle cifre messe in campo, occorre fare un’adeguata analisi preliminare dei relativi benefici e costi. Che nel caso italiano è mancata.

Considerando il costo delle emissioni di CO2, gli autori mettono in evidenza l’enorme divario tra il valore dei sussidi e il prezzo della CO2 che si sarebbe emessa usando centrali a gas al posto dei pannelli. Le emissioni di CO2, a livello europeo, sono quotate e hanno un prezzo chiaramente definito, quello permessi EU-ETS.

Il risultato è scandaloso: i sussidi al fotovoltaico sono oltre 100 volte più alti del valore del loro contributo. Sì, cento volte di più. Forse è il caso di pensarci bene, prima di fissare nuovi obiettivi alla penetrazione delle rinnovabili. E magari di sforbiciare ancora un po’ i sussidi e quindi le bollette di consumatori e imprese italiani. A proposito di competitività.

Kashagan: ripartenza nel 2016?

Platts - When will Kazakhstan's Kashagan be able to restart production?Il giacimento di Kashagan rappresenta un elemento fondamentale per il futuro delle esportazioni petrolifere kazake, oltre che un investimento da parecchie decine di miliardi di dollari per le multinazionali coinvolte, tra cui Eni.

Come noto, la produzione nel giacimento è iniziata a ottobre 2013, per poi essere interrotta dopo poche settimane a causa dei cedimenti lungo le condotte che dai pozzi portano agli impianti di trattamento a terra.

Il ritorno alla produzione è previsto tra non meno di un anno e mezzo, secondo quanto riportato da Dina Khrennikova, associate editor di Platts, in un podcast dal titolo When will Kazakhstan’s Kashagan be able to restart production?

In particolare, le Autorità kazake e il North Caspian Operating Company (NCOC) hanno pubblicamente parlato di due scenari per il ritorno alla produzione: uno più positivo per la prima metà del 2016 e uno più negativo per la seconda metà del 2016. Tutte e due gli scenari potrebbero essere però troppo ottimistici. Le perdite sarebbero dovute a una scelta sbagliata nel grado dell’acciaio necessario a evitare la corrosione dovuta all’alto contenuto di acido solforico che contraddistingue gli idrocarburi di Kashagan. I problemi potrebbero inoltre essere dovuti anche alle saldature.

Le operazioni sono particolarmente complesse: occorre sostituire 200 km di condotte e i tecnici sarebbero ancora al lavoro per studiare il tipo di acciaio necessario. Secondo il governo kazako, però, la produzione dei tubi dovrebbe cominciare già ad agosto, con le prime consegne a dicembre: scandenze molto probabilmente irrealistiche.

Nonostante gli attriti causati dai ritardi, i rapporti tra il governo kazako e le compagnie sembrano ancora reggere [di necessità virtù…]. Il segno più tangibile è la decisione di imporre alla NCOC una multa di soli 30 milioni di dollari per ogni trimestre di ritardo: tutto sommato una cifra modesta, soprattutto se si considerano le decine di miliardi di investimenti già effettuati.

Un altro segnale di “pace” tra il governo e la NCOC è stato l’annuncio che non ci sarà un’indagine autonoma sui fatti che hanno portato all’interruzione della produzione: i panni sporchi potranno tutto sommato essere lavati in casa del consorzio, senza troppo clamore.

Intanto il governo kazako ha rivisto al ribasso le stime della produzione interna per il 2014 a 82 Mt, in linea con quelle dell’anno scorso. Il dato potrebbe però essere troppo ottimistico, considerando che i livelli del 2013 erano dovuti a una produzione record del giacimento di Tengiz, che non è detto possa essere ripetuta quest’anno.

Se consideriamo il possibile calo dei volumi e la parallela discesa delle quotazioni del greggio in atto, le pressioni sul governo kazako potrebbero far aumentare la tensione con la NCOC, oltre che far suonare l’ennesimo campanello d’allarme sull’eccessivo peso delle esportazioni petrolifere nell’economia del Paese.

La Via del Gas, dal Caspio all’Adriatico

Corriere - La Via del Gas, dal Caspio all’AdriaticoSegnalo un interessante reportage di Carlo Vulpio dal titolo La Via del Gas, dal Caspio all’Adriatico, realizzato per il Corriere.

Una piacevole cronaca di viaggio dedicata soprattutto all’Azerbaigian e alla sua storia, corredata da 67 foto, di cui alcune bellissime.

Però, forse preso dall’entusiasmo e da qualche fonte un po’ superficiale, quando si parla di energia l’autore prende qualche sbandata. Innanzitutto, le riserve del bacino del Caspio sono grandi (8.000 Gmc), ma corrispondono al 4 e non al 46% del totale mondiale.

Per quanto riguarda l’ipotetica conversione a gas delle centrali a carbone, forse le dinamiche del mercato negli ultimi anni potrebbero spegnere gli entusiasmi. Più in generale, quando si parla di “aumentare l’impiego di metano al posto di carbone, olio combustibile e petrolio”, forse si dimentica che oggi in Italia il vincolo al consumo di gas è nella domanda e non nell’offerta.

Anche pensare che la produzione petrolifera dell’Adriatico e il gas azerbaigiano siano direttamente collegati è quantomeno una forzatura, visto che la netto di ogni altra considerazione, la sostituibilità del petrolio col gas è molto limitata.

Infine, dire che “il gasdotto servirà, con altrettante diramazioni, anche i Paesi balcanici e persino Israele e Iran, che certo non si scambiano affettuosità” significa confodere disinvoltamente produttori e (potenziali) consumatori, in un curioso mix geografico.

Molto condivisibile, invece, è l’attacco in chiusura alle istituzioni locali pugliesi, che avversano dieci chilometri di gasdotto interrato ma hanno consentito lo “scempio [di] eolico e fotovoltaico industriali su vasta scala”. L’ennesima conferma che la politica energetica non può che essere decisa dalle istituzioni centrali.

Quotazioni del greggio: regna la calma

IEA - Lower economic growth outlook trims 2014 demand increaseL’avanzata di ISIL in Iraq. Il governo di Kiev incapace di domare i ribelli. Le sanzioni occidentali alla Russia. Le fazioni libiche impegnate in un nuovo giro di fragili alleanze. Gli ingredienti dell’instabilità geopolitica, qualunque cosa significhi, sembrano esserci tutti.

E nelle attese di molti, il prezzo del greggio era destinato a toccare nuovi record, minacciando la debole ripresa economica europea o la crescita asiatica. E invece, dando un’occhiata ai grafici, appare evidente come in realtà gli operatori abbiano mantenuto la calma, dopo un breve picco a 115,19 dollari al barile il 19 giugno.

A spiegare l’arcano è l’Oil market report di Agosto della IEA. Innanzitutto, la domanda globale è attesa più debole delle attese: il taglio nelle previsioni relative 2014 è di un milione barili al giorno, poco più dei consumi italiani.

A questo si sono aggiunti l’aumento di produzione dell’Arabia Saudita e un modesto recupero delle esportazioni libiche. Inoltre, le scorte dei Paesi OCSE hanno continuato a crescere, arrivando a 2.671 milioni di barili.

L’effetto combinato di tutti questi fattori è stato dunque quello di spingere i prezzi verso il basso e di mantenere la calma sui mercati internazionali.

Gli operatori peraltro scontano anche l’effetto di alcuni fattori strutturali già chiaramente emersi: il declino della domanda europea, l’aumento della produzione statunitense (e quindi le minori importazioni), investimenti cumulati di circa 500 miliardi dollari in nuovo upstream petrolifero solo per il periodo 2014-2020.

Insomma, meglio non sopravvalutare la cosiddetta geopolitica. O quantomeno, leggerla in un quadro più ampio.


Prezzo del greggio, in dollari al barile  (02/01/2014 - 04/08/2014)


Corridoio del gas sud-nord: il piano di investimento 2014-2023

South-North Corridor Gas Regional Investment PlanI regolatori di Belgio, Francia, Germania, Italia e Svizzera hanno pubblicato il Piano regionale di investimento 2013-2023. Il documento, coordinato da Snam Rete Gas e Fluxys, è aggiornato ogni due anni e rappresenta un obbligo imposto dal terzo pacchetto energia.

Il piano ricostruisce diversi elementi dello sviluppo del corridoio nord-sud, che collega i tre principali mercati dell’Europa continentale. Il documento analizza infrastrutture, domanda e offerta, sviluppo di nuovi progetti e potenziali criticità dovute e carenze infrastrutturali, utilizzando in particolare l’ENTSOG Network Modelling tool.

Per quanto riguarda quest’ultimo aspetto, le infrastrutture esistenti risultano adeguate. In prospettiva italiana, gli sviluppi attuali sembrano compatibili con la progressiva inversione della capacità di trasporto attraverso la Svizzera, per esportare gas da sud verso nord.

Più in generale, però, risulta utile per capire il contesto un’occhiata alle domande di picco attese: gli operatori di rete di Italia, Germania e Francia si aspettano nel 2023 valori leggermente più bassi di quelli del 2014. Meglio tenerlo a mente, parlando di nuovi sviluppi infrastrutturali.


Picco di domanda gas per il Design Case nella regione (proiezioni 2014–2023)


Cina: dimezzate le stime della produzione di gas da argille

Reuters - UPDATE 1-China finds shale gas challenging, halves 2020 output targetSecondo quanto riportato da Reuters, il governo cinese avrebbe rivisto al ribasso le stime di produzione di gas da argille (shale gas) al 2020. La produzione interna dovrebbe raggiungere i 30 Gmc, invece dei 60 previsti.

A marzo si parlava addirittura di 100 Gmc, ma sono evidentamente emerse difficoltà tecniche e si sta facnedo largo la consapevolezza dell’eccezionalità del caso statunitense. E poi si sa: gli obiettivi dei piani comunisti sono notoriamente “flessibili”.

Anche il nuovo livello di 30 Gmc è tutto sommato ottimistico, considerando che nel 2013 la produzione di gas da argille è stata di 0,2 Gmc. A questi si sono aggiunti 6 Gmc di gas naturale in carbone (coal bed methane) e circa 110 Gmc di gas naturale da giacimenti convenzionali.

Nonostante gli operatori cinesi non badino a spese e Sinopec arrivi a prevedere un costo iniziale a pozzo pari a quattro volte quello dei pozzi statunitensi più economici, i risultati per il momento non sembrano esserci. E occorreranno molti sforzi anche solo per arrivare al livello di 6,5 Gmc previsto dai piani ufficiali per il 2015.

Il livello di 30 Gmc di gas da argille previsto al 2020 è in ogni caso in linea con le previsioni IEA, pari a circa 25 Gmc. A questi si dovrebbero aggiungere circa 20 Gmc di gas in carbone e un circa 130 Gcm da convenzionale.

Il governo di Pechino pone molta fiducia nelle enormi riserve non convezionali di gas da argille (circa 30.000 Gmc tecnicamente recuperabili) per soddisfare almeno in parte l’aumento dei consumi interni, che secondo la IEA dovrebbero arrivare a superare i 300 Gmc nel 2020 e i 460 nel 2030.

È tuttavia probabile che il gas non convenzionale giocherà un ruolo decisivo soprattutto nel prossimo decennio, quando gli operatori cinesi avranno più esperienza e tecnologie più mature. Intanto però saggiamente proseguono i preparativi per aumentare la capacità di importazione e la diversificazione delle fonti, dall’Asia centrale alla Russia, dalla Birmania al GNL.

Aggiornamento: segnalo anche questo articolo dell’Economist sulla questione.