Sorgenia: potrà il mercato fare il suo corso?

Centrali SorgeniaLa crisi del settore elettrico che ormai da un paio di anni attanaglia l’Italia sta mietendo la sua prima vittima illustre: Sorgenia.

La società, posseduta per circa il 50% dalla holding Cir di De Benedetti, è infatti oberata di debiti (circa 1,9 mld di euro) dovuti alla realizzazione di ben 4 centrali a gas tra il 2006 e il 2011. Di fronte a un mercato elettrico con eccesso di capacità di produzione e di fronte alla concorrenza crescente delle fonti rinnovabili che hanno spiazzato il gas nel mix di generazione, la società non riesce a far funzionare a sufficienza le proprie centrali nuove di zecca e ha limitato le vendite di elettricità lo scorso anno a una decina di TWh con un ricavo complessivo di circa 2,5 mld di euro.

Troppi pochi per sostenere il debito e così lo spettro del fallimento si avvicina. Oltre alla proprietà (alla Cir si aggiunge la società elettrica austriaca Verbund, che possiede un altro 40% circa di Sorgenia e che ha già deciso di uscire dall’affare), molto esposte sono le banche, le quali potrebbero trovarsi con un’enorme ammontare di crediti non esigibili (tra le più esposte Mps). Certo, potrebbero entrare in possesso delle centrali di Sorgenia, ma la cosa non è affatto allettante al momento.

In un’economia di libero mercato questa situazione dovrebbe portare alla chiusura di Sorgenia e alla dismissione dei suoi asset, che potrebbero essere acquistati a prezzi molto scontati da altre società elettriche. Alcune delle centrali, come per esempio quella di Vado Ligure, posseduta da Tirreno Power, a sua volta controllata da Sorgenia per circa il 40%, dovrebbero essere chiuse. Si contribuirebbe così a ridurre quell’eccesso di capacità presente sul mercato. Tuttavia, il settore elettrico non è un mercato in concorrenza perfetta e già si ipotizza un intervento del Governo per aiutare Sorgenia indirettamente, potenziando il meccanismo di capacity payment introdotto due anni fa a vantaggio del termoelettrico.

Al momento non credo che questo sia qualcosa che al Paese serva, ma solo l’ennesimo aiuto alle grandi imprese pagato da tutti noi tramite la bolletta elettrica. Mi auguro che Renzi, l’innovatore della politica italiana, sia coerente con le idee che continuamente sostiene e decida di non aiutare un’impresa che ha fatto investimenti sbagliati.

L’impatto del non convenzionale sulle relazioni internazionali

John M. DeutchCome ormai è noto, gli Stati Uniti hanno conosciuto negli ultimi 4-5 anni una rivoluzione energetica analoga per importanza a quella che si sta cercando di attuare in Europa. Tuttavia, se da questa parte dell’Atlantico si cerca di promuovere tramite i sussidi pubblici lo sviluppo delle fonti rinnovabili, dall’altra parte dell’oceano sono le imprese private del comparto petrolifero che hanno aperto la strada allo sfruttamento di enormi giacimenti di gas e petrolio non convenzionali.

Le conseguenze di questa rivoluzione si stanno oggi manifestando appieno e stanno portando gli USA verso l’autosufficienza energetica in termini netti (si esporta carbone e si importano uranio e petrolio). Per il professore del MIT nonché ex direttore della CIA, John Deutch, che ha tenuto ieri a Milano una lezione presso il FEEM, questo non significa che gli USA diventeranno energeticamente indipendenti, ma semplicemente che dipenderanno molto meno dalle importazioni di materie prime energetiche dall’estero.

Ciò, a sua volta, permetterà a Washington una maggiore libertà sullo scenario internazionale e rappresenterà certamente un duro colpo, sia dal punto di vista economico che politico, per quei Paesi produttori che dipendono molto dalle quotazioni sostenute del greggio (vedi Russia e Iran, ma anche Venezuela). Quotazioni che per Deutch dovrebbero attestarsi sui 70-90 $ al barile nei prossimi anni.

Secondo Deutch, in sostanza, la rivoluzione del non convenzionale avrà effetti positivi e duraturi (15-20 anni) per i consumatori di tutto il mondo. A patto, naturalmente, che l’industria sia in grado di gestire al meglio l’impatto ambientale che le attività di fracking comportano, smontando così una delle maggiori cause di opposizione da parte delle comunità locali allo sfruttamento degli idrocarburi non convenzionali.

Il significato della crisi ucraina per il mercato del gas

OIES - What the Ukrainian crisis means for gas marketsSegnalo un ottimo e tempestivo paper dell’OIES dal titolo What the Ukrainian crisis means for gas markets. Il lavoro ricostruisce il ruolo dell’Ucraina quale transito per il gas russo diretto in Europa, i rapporti tra Kiev e Mosca e l’impatto di una possibile crisi.

L’ipotesi che un’interruzione possa essere deliberatamente causata da Mosca è esclusa. Tuttavia se, come nel 2009, Naftogaz continuasse a non pagare le forniture e Gazprom dovesse di conseguenza interrompere le forniture per il mercato interno ucraino, Naftogaz potrebbe deviare i flussi diretti in Europa verso i propri clienti, spingendo infine i russi a bloccare del tutto le esportazioni.

L’impatto sarebbe comunque limitato ai Paesi dell’Europa orientale e con conseguenze minori rispetto a quelle già modeste di cinque anni fa, grazie al miglioramento delle interconnessioni all’interno dell’UE.

Lo scenario di una nuova disputa tra Gazprom e Naftogaz secondo gli autori è addirittura probabile. Quest’ultima ha infatti un debito di 2 miliardi di dollari (dopo che 3,3 miliardi sono stati cancellati a Febbraio), destinato a crescere a causa della strutturale carenza di liquidità e alle attività gestite in perdita.

La crisi incombente sembra essere un invito ad accelerare la costruzione di South Stream, che nonostante i costi proibitivi sta in questi mesi mostrando la validità del suo obiettivo strategico.

ZOOM - Gasdotti di transito verso l'Europa (© Jonathan Stern 2014)Il nuovo gasdotto da 63 Gmc/a poterebbe infatti la capacità di esportazione dalla Russia in Europa (Ucraina esclusa) a 165 Gcm/a, corrispondenti a poco più degli attuali livelli complessivi di esportazione in Europa (UE+Turchia e Balcani non UE).

South Stream priverebbe così Kiev di ogni potere di ricatto nei confronti sia di Gazprom, sia dei Paesi europei. Secondo i dati di Sberbank riportati nello studio, nel 2013 Gazprom ha esportato in UE 86 Gmc attraverso l’Ucraina, per un controvalore superiore a 33 miliardi di dollari: un forte incentivo per produttori e esportatori ad aumentare l’affidabilità dei flussi.

Difficile però al momento dire se dal lato europeo prevarrà la razionalità o se la logica dello scontro ideologico frenerà lo sviluppo infrastrutturale e la sicurezza energetica europea.

ps: per correttezza, segnalo che a pagina due del report l’unità di misura è milioni di metri cubi (Mcm) e non migliaia di metri cubi, come erroneamente indicato.

Geopolitica e relazioni internazionali: il ruolo dell’energia

Geopolitica e relazioni internazionali: il ruolo dell’energiaSono disponibili qui le slides relative alla lezione Geopolitica e relazioni internazionali: il ruolo dell’energia, tenuta all’ISPI l’8 Marzo 2014, nell’ambito del Professional Diploma per operatori economici “Obiettivo Russia”.

Rispetto alla versione proiettata in aula sono stati rimossi i refusi, di cui mi scuso con gli studenti.

Corridoio meridionale: la confusione del Sole

Sole24Ore - La crisi del metano rilancia il corridoio sud dell'Italia Nei momenti di crisi, per l’opinione pubblica è particolarmente importante avere informazioni affidabili e analisi puntuali dei fatti. E invece a noi italiani stamattina è capitato il Sole24Ore.

Stamattina, pagina 7, taglio basso (per chi si avvale ancora della carta): La crisi del metano rilancia il corridoio sud dell’Italia. Titolo fumoso, ma il concetto è solido e condivisibile: meglio diversificare rispetto alla Russia, ben venga il gasdotto dall’Azerbaigian.

Lo svolgimento però inanella una serie di errori di cui è opportuno informare il lettore:

  • il progetto Nabucco è morto e sepolto, tanto che non esiste nemmeno più il sito web;
  • il gas di Shah Deniz oggi non finisce nella rete russa, ma è esportato in Georgia e Turchia attraverso il South Caucasus Pipeline;
  • il TANAP al momento ha di certa solo la prima fase da 16 Gmc/a (10 TAP, 6 mercato turco), mentre gli eventuali upgrade sono ancora tutti da discutere;
  • la concorrenza del rigassificatore OLT di Livorno rispetto ai gasdotti esistenti è al momento pari a zero, visto che il terminale è in stand-by;
  • il gas azerbaigiano trasportato dal TAP è già stato interamente venduto (e non prenotato) e gli acquirenti hanno già firmato i contratti di fornitura.

Lo so, sono dettagli: ma a volte fanno la differenza.

Aggiornamento:

  • la composizione azionaria del consorzio TAP (correttamente indicata nell’articolo) è diversa da quella di TANAP.