Fortemente ridotte le importazioni di gas dall’Algeria

Importazioni di gas dall'AlgeriaSecondo i dati di SRG, le importazioni di gas dall’Algeria hanno fatto registrare negli ultimi giorni un forte rallentamento, crollando ieri a 8 Mmc, contro i 33 Mmc di una settimana prima.

Come riporta SQ, la brusca riduzione dei quantitativi nominati sarebbe dovuta a una non conformità del gas algerino agli standard di qualità di SRG. In particolare, il gas sarebbe troppo umido.

La riduzione di questi giorni avviene rispetto a livelli già particolarmente bassi, a causa della temporanea contrazione delle importazioni del gas algerino di Sonatrach, concordata l’anno scorso.

In termini di sicurezza, l’impatto di una completa interruzione dei flussi dall’Algeria sarebbe in realtà limitato perché la domanda complessiva è molto bassa (ieri, 168 Mmc ieri).

Tuttavia, la capacità di importazione del gasdotto Transmed (97 Mmc/g conferibili) rappresenta quasi il 30% della capacità conferibile della rete nazionale. Anche se ora per ragioni congiunturali le conseguenze di un’interruzione sono ampiamente gestibili, un prolungarsi della situazione attuale, magari per ragioni non meramente estemporanee, rappresenterebbe un fattore di rischio, rendendo la rete nazionale eccessivamente dipendente dalle altre infrastrutture esistenti.

Aggiornamento: oggi (24/02), la situazione sta tornado verso la normalità, confermado la natura episodica della riduzione dei flussi di questa settimana.

Cambiamento climatico: è davvero di origine antropogenica?

Bloomberg - Climate Protection May Cut World GDP 4% by 2030, UN SaysSegnalo un interessante articolo di Ernesto Pedrocchi pubblicato su Energia col titolo di Cambiamento climatico: è davvero di origine antropica? (4/2013, pp. 42-47).

L’articolo ricostruisce i tanti dubbi esistenti sulla natura antropica del cambiamento climatico, ossia sul fatto che le emissioni di anidride carbonica prodotte dalle attività umane siano responsabili delle variazioini temperatura del pianeta.

L’argomentazione di Pedrocchi è piuttosto articolata e parte della considerazione che «la CO2 antropica costituisce oggi solo il 3% delle totali immissioni di CO2 in atmosfera».

Pedrocchi prosegue ricordando che «dal 1750 l’aumento di concentrazione di CO2 nell’atomosfera è continuo ma molto irregolare: alcuni anni è più del triplo di altri, mentre le emissioni antropiche crescono leggermente, ma abbastanza regolarmente, di anno in anno. Questo fa sospettare che responsabile di questa crescita sia un fenomeno naturale e non l’azione dell’uomo».

Pedrocchi spiega che «le serie storiche relative alle glaciazioni degli ultimi 400.000 anni evidenziano che, in generale, è l’aumento di termperatura che precede l’aumento di concentrazione di CO2 in atmosfera e non viceversa». Questa evidenza è tra l’altro sottolineata anche da Sergio Carrà in un altro contributo pubblicato sullo stesso numero di Energia.

Pedrocchi arriva alla conclusione che «questi dati permettono di pensare che non vi è alcuna prova convincente che l’aumento di concentrazione di CO2 in atmosfera giochi un ruolo significativo sull’aumento della temperatura globale media».

Da questa analisi, Pedrocchi avanza una dura critica alle attuali politiche di mitigazione molto di moda in Europa e miranti a ridurre le emissioni di CO2 per combattere il cambiamento climatico.

In assenza di una chiara evidenza scientifica, Pedrocchi sottolinea come investire risorse in attività di adattamento (dalle misure di prevenzione dei dissesti idrogeologici alle tecniche agricole avanzate) sia non solo più sensato, ma anche più efficace. Anche perché l’adattamento ha ricadute positive per chi investe, a prescidere dal comportamento degli altri. Al contrario della mitigazione, che se non adottata da tutti penalizza solo chi si è impegnato.

Difficile dargli torto, anche senza accettare in toto la sua valutazione sul nesso tra attività umane e riscaldamento globale. A rendere ancora più urgente una seria riflessione in merito è l’impatto particolarmente negativo che le politiche di riduzione delle emissioni avranno sull’economia. E un’umanità meno ricca è anche un’umanità con meno mezzi a disposizione per adattarsi a un mondo in continuo cambiamento. Climatico e non.

Geopolitica dell’ambiente e dell’energia

Gnosis - Rivista italiana di intelligenceGnosis, la rivista dell’AISI, ha rinnovato a partire dall’anno scorso la veste grafica e i contenuti. Offrendo interessanti analisi e riflessioni sul tema della sicurezza, declinata nei suoi diversi ambiti. Incluso quello dell’energia.

Purtroppo, un articolo comparso nel 4° e ultimo numero del 2013 affronta la questione dei gasdotti in modo impreciso. Il titolo del contributo è «Geopolitica dell’ambiente e dell’energia» e a beneficio di quanti si troveranno a leggere il contributo, segnalo le inesattezze:

  • Abkhazia e Ossezia del Sud sono regioni georgiane e non russe e sono attualmente controllate dagli indipendentisti appoggiati da Mosca, e non il contrario [pag. 70];
  • il gasdotto Nabucco è stato abbandonato a giugno del 2013, tanto che non esiste più nemmeno il sito internet, e di certo non sarà costruito entro il 2015 [71] o il 2016 [72];
  • il gasdotto Medgaz non è un progetto futuro, ma è operativo dal 2011 [72];
  • il gasdotto Galsi è stato già di fatto abbandonato, tanto che l’Ue è pronta a ritirare i fondi, e manca solo l’annuncio ufficiale [72];
  • il consorzio North Transgas è stato rinominato Nord Stream nel 2006 e il gasdotto Nord Stream non è un progetto futuro, ma è operativo dal 2011 [73];

Ci sono poi alcuni passaggi su cui non mi trovo d’accordo:

  • il gasdotto da seimila km dall’Iran alla Siria attraverso l’Iraq non è un progetto realmente in discussione, perché economicamente insostenibile, e anche solo ipotizzare un nesso col conflitto in Siria è davvero difficile [74];
  • sostenere che Qatar, Emirati Arabi e Oman offrano «garanzie di stabilità» è secondo me un po’ azzardato, dato il contesto regionale in cui sono inseriti i tre Paesi [75];
  • l’Egitto difficilmente diventerà un grande esportatore di gas perché la domanda interna è destinata a crescere con l’economia e la demografia del Paese, mentre le riserve sono cospicue (2.190 Gmc nel 2012) ma non enormi (1% del totale mondiale) [75].

Lo so, è un post noioso e per pignoli. Come il lavoro di ricercatore, d’altronde.

Gazprom Export e le esportazioni verso l’Italia

Gazprom ExportGazprom Export (GE) ha diffuso nei giorni scorsi i dati relativi alle esportazioni nel 2013. Secondo le statistiche fornite, i volumi venduti dall’società all’Italia sono stati pari a 24,1 Gmc, in metto aumento rispetto ai 14,3 Gmc del 2012 (+9,6 Gmc) [a 39 MJ/mc]. E nonostante una contrazione assoluta del mercato italiano pari a 4,8 Gmc (-7%).

Si tratta di una crescita molto forte (+68%), imputabile al recupero di volumi sui contratti take-or-pay. L’aumento è stato consentito dalla parallela e temporanea riduzione dei flussi in arrivo dall’Algeria (-8 Gmc), in seguito alle rinegoziazioni dei contratti con Sonatrach, dalla riduzione delle importazioni dal Nord Europa (-1,5 Gmc) e dalla fermata del rigassificatore di Panigaglia (-1 Gmc). Tutte in larga misura operazioni di gestione del portafoglio da parte di Eni.

L’aumento delle vendite di GE non corrisponde tuttavia a un identico aumento delle importazioni dalla Russia. Secondo di dati del MiSE e di SRG, infatti, le importazioni di gas in ingresso al Tarvisio sono sì aumentate, ma “solo” di 6,3 Gmc, passando da 23,3 a 29,6 Gmc (+27%).

La differenza è dovuta al fatto che non tutte le importazioni di gas russo in Italia avvengono direttamente attraverso GE. La provenienza fisica del gas in ingresso al Tarvisio è la Federazione Russa e Gazprom ha il monopolio sulle esportazioni via tubo dal Paese. Lungo il tragitto, tuttavia, parte del gas è ceduto ad altre società.

Incrociando dunque i dati degli ingressi al Tarvisio con quelli diffusi da GE, emerge come nel 2012 il gas contrattualmente appertenente a GE abbia rappresentato il 61% dei volumi di gas russo. Nel 2013, invece, la quota di GE sul gas in ingresso al Tarvisio è cresciuta fino all’81%, spiegando così la cifra record presente nei comunicati ufficiali.

 

L’asse franco-tedesco dell’energia: i dubbi

Le Figaro - Hollande propose un «Airbus franco-allemand de l'énergie»Nella conferanza stampa del 14 gennaio, il Presidente Hollande ha proposto un asse franco-tedesco per l’energia. La StaffettaQuotidiana ha interpretato la proposta come un’alleanza di piccole e medie imprese dei due Paesi, da costruire intorno all’Office franco-allemand pour les énergies renouvelables.

L’Office è una struttura intergovernativa creata l’estate scorsa dagli omologhi Delphine Batho e Peter Altmaier, in realtà poco più di un’esperienza simbolica, destinata soprattutto allo scambio di informazioni. Nel frattempo, i due sono stati tra l’altro sostituti da Philippe Martin e da Barbara Hendricks e non si sono registrati particolari passi avanti.

In più, secondo Reuters, EDF e E.On non sarebbero stati ufficialmente interpellati da parte dell’Eliseo sull’iniziativa ipotizzata da Hollande. A riprova del fatto che se qualcosa si sta muovendo, non riguarda (almeno ufficialmente) i giganti.

Eppure Le Figaro ricorda la cooperazione tra Framatom e Simens per la realizzazione del reattore EPR e si interroga sulla reale portata delle dichiarazioni di Hollande. D’altronde, coi suoi 56 miliardi di fatturato, Airbus è senza dubbio un termine di paragone piuttosto ambizioso.

Qualche chiarimento dovrebbe arrivare il 19 febbraio, in occasione del prossimo Consiglio dei ministri franco-tedesco. Quando si capirà se Hollande ha lanciato un ballon d’essai o se ha fatto riferimento a un progetto più avanzato. Intanto, purtroppo una cosa è certa: l’Italia continua a non essere un partner attraente.

Hollande: un asse franco-tedesco nell’energia

François Hollande - Ouverture de la conférence de presse du président de la République au Palais de l’Élysée le 14 janvier 2014«Dobbiamo coordinarci per la transizione energetica. Questa è una grande scommessa per l’Europa. Ma noi, la Francia e la Germania, dobbiamo dare l’esempio […] nella costituzione delle filiere industriali comuni per la transizione energetica.

Siamo molto fieri dei risultati di Airbus, una grande impresa franco-tedesca […]. L’idea è quella di fare una grande impresa franco-tedesca per la transizione energetica».

C’è molta retorica nelle parole di Hollande, ma il progetto politico è chiaro (leggere o ascoltare per credere): l’integrazione europea deve essere in realtà un’integrazione franco-tedesca, con buona pace dei Paesi periferici.

E il Presidente cita tre punti chiave: stato sociale, difesa e energia. E proprio al modello industriale della difesa (Airbus) guarda la proposta francese: un campione franco-tedesco, tanto grande da puntare a dominare il mercato europeo e competere a livello globale.

E non rischiare noie dalla Commissione europea, che notoriamente ha un’avversione per i campioni nazionali e per uno Stato troppo interventista (invidia…?). Ma che dovrebbe ancora una volta arrendersi di fronte a una volontà comune franco-tedesca.

Nei fatti, è difficile dire a cosa potrebbe portare la proposta. Perché se dal lato francese è naturale guardare a EDF, su quello tedesco la frammentazione tra grandi operatori (E.on, RWE) e la limitata partecipazione pubblica (in mano a comuni e enti locali, peraltro) rendono davvero difficile trovare un referente. E immaginare uno sviluppo industriale a breve.

Eppure Hollande ha tracciato chiaramente una linea e ha toccato (direttamente o indirettamente) alcuni punti chiave per il governo tedesco: la transizione energetica, lo sviluppo di una filiera industriale di scala credibile, la difesa dei sussidi agli energivori di fronte agli obiettivi ambientali (e alle audaci iniziative del Parlamento europeo).

Se si andrà in quella direzione, l’effetto sarà un’ulteriore marginalizzazione dell’Italia, ridotta ancora di più a mercato finale dove esportare tecnologia. E degli operatori italiani, ai quali si è impunemente impedito l’ingresso in grande stile su alcuni mercati e che certo non avrebbero vita facile a competere con una crescente ingerenza pubblica franco-tedesca.

Insomma, anche se per ora non stiamo parlando di fusioni in vista, il cuore del messaggio è chiaro: finché si tratta di imporre la concorrenza sui mercati periferici (e noi lo siamo, uh se lo siamo), tutti europeisti. Ma quando si tratta fare politica industriale, c’è chi sembra avere le idee molto chiare. Se a Roma c’è un governo, batta un colpo.