Quanto è lontano il Levante

Quanto è lontano il LevanteLo sfruttamento del gas presente nei giacimenti del Mediterraneo orientale è una questione complessa e piuttosto delicata. La coltivazione di giacimenti sottomarini e la costruzione di infrastrutture di esportazione richiedono infatti grandi investimenti (nell’ordine dei miliardi di dollari), che gli operatori internazionali e gli istituti di credito sono pronti a fare solo se esiste una ragionevole certezza che i rischi di natura politica – se non direttamente militare – non siano troppo alti.

Partendo da queste premesse, difficilmente può venire in mente un posto peggiore delle coste orientali del Mediterraneo.

Tuttavia, trattandosi di giacimenti in mare, diversi operatori hanno deciso di accettare la sfida e avviare le operazioni di espolorazione e di estrazione. Il giacimento Tamar (250 Gmc; fonte: BMI) è già in produzione e arriverà a regime (4 Gmc/a) nel 2017, anno in cui dovrebbe anche inziare la produzione di Leviathan (530 Gmc; 16 Gmc/a). Gli altri giacimenti sono invece di piccole dimensioni oppure sono in fase di prospezione.

In totale, nel corso del decennio si avrà realisticammente una produzione non oltre i 20 Gmc/a, di cui il 40% deve andare per legge al mercato interno israeliano. Si parla dunque al massimo di 12 Gmc/a disponibili per l’esportazione in tempi relativamente certi.

Anche al netto dei problemi politici di definire una rotta (Turchia? Cipro?), non ci sono al momento i presupposti per avere un volume di esportazione tale da ripagare l’investimento di una condotta sottomarina (le stime arrivano a oltre 20 miliardi di dollari).

Molto più fattibile invece l’ipotesi di costruire un terminale di liquefazione (galleggiante o a terrra), che tra l’altro consentirebbe di dirigere i carichi sui mercati più remunerativi, ossia tendenzialmente su quelli asiatici, ma senza rinunciare a ogni altra opzione, Europa inclusa: a decidere è il prezzo (che peraltro attualmente si aggira intorno ai 40 centesimi di dollaro al metro cubo). Per gli operatori, in ogni caso la priorità resta  quella di coprire gli investimenti.

Si arriva così a un punto delicato: sebbene qualcuno sostenga il contrario, le eventuali esportazioni del gas del Mediterraneo Orientale verso i mercati europei avrebbero un impatto marginale (per non dire nullo). A fronte di importazioni attuali di 300 Gmc/a e attese a 350 Gmc/a al 2020 (fonte: IEA), 12 Gmc/a non farebbero di certo la differenza, soprattutto se paragonati con gli oltre 120 Gmc/a russi e i 100 Gmc/a norvegesi.

Nota: per chi volesse approfondire la questione del corridoio mediterraneo orientale, segnalo l’interessante nota di lavoro di Simone Tagliapietra (Towards a New Eastern Mediterranean Energy Corridor?) e la seconda sezione del Focus Sicurezza Energetica, a cura di Carlo Frappi.

Aggiornamento: John Roberts suggerisce anche la possibilità di utilizzare la tecnologica di compressione del gas senza liquefazione.

Focus sicurezza energetica – Q2 2013

Focus Sicurezza Energetica - Q2 2013È stato reso pubblico il focus sulla sicurezza energetica relativo al periodo luglio/settembre 2013 realizzato per l’Osservatorio di Politica Internazionale (Senato, Camera e MAE).

Il primo capitolo del Focus è dedicato all’analisi del fabbisogno di gas nei principali mercati europei, con specifico riferimento al difficile contesto della generazione termoelettrica da gas e alla composizione dell’approvvigionamento di gas dei principali Paesi europei.

Il secondo capitolo è invece dedicato all’offerta e, nello specifico, alle politiche dei Paesi produttori di gas naturale e dei Paesi di transito dei gasdotti attualmente in funzione o in fase di progettazione/realizzazione. Ai recenti sviluppi del sistema di infrastrutture di trasporto e alle prospettive di realizzazione di nuovi progetti è poi dedicato il terzo capitolo.

Infine è presente un approfondimento di Veronica Venturini dedicato alla Lisbon Stratergy e alla valutazione in itinere del raggiungimento degli obiettivi 20-20-20.

Ecco rischi e priorità della politica energetica italiana

Ecco rischi e priorità della politica energetica italianaFormiche ha pubblicato un estratto a mia firma dal rapporto “La visione strategica della leadership italiana”, a cura dell’Istituto Machiavelli e dell’Ispo, che sarà presentato il 10 dicembre all’Hotel Jumeirah, a Roma.

L’Italia è storicamente un grande importatore di energia. Le poche riserve di combustibili fossili e i limiti tecnologici allo sviluppo delle rinnovabili hanno infatti obbligato gli operatori nazionali a rivolgersi all’estero per soddisfare il crescente fabbisogno energetico che ha caratterizzato l’economia italiana tra il dopoguerra e gli anni Settanta. Dopo la traumatica esperienza dell’autarchia, l’accesso ai mercati internazionali ha così rappresentato un elemento essenziale dello sviluppo economico e sociale del Paese.
Anche nei decenni successivi, caratterizzati da tassi di crescita dei consumi inferiori, il ricorso alle importazioni ha in ogni caso rappresentato l’unico modo per avere accesso a quantitativi sufficienti di energia a prezzi economicamente sostenibili. I consumi energetici sono così potuti crescere in modo quasi ininterrotto fino a metà degli anni Duemila.

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E.ON in uscita dal mercato italiano?

E.ONE.ON starebbe cercando di lasciare il mercato italiano, dismettendo impianti e attività per un controvalore di 3 miliardi.

Si tratterebbe in particolare dell’idroelettrico di Terni (531 MW); della centrale olio-carbone di Fiume Santo (Sassari) (900 MW); delle centrali a gas di Livorno Ferraris (Vercelli) (805 MW), Ostiglia (Mantova) (1.137 MW), Scandale (Crotone) (814 MW), Tavazzano e Montanaso (Lodi) (1.440 MW), Trapani (214 MW); degli impianti da fonti rinnovabili, sia eolici (328 MW) sia fotovoltaici (46 MW); delle attività commerciali (poco meno di un milione di clienti, tra elettricità e gas); della quota nel rigassificatore offshore Olt di Livorno (47%); infine, della quota nel corsozio TAP (9%).

Enel e Eni non sembrano interessati, mentre Edison potrebbe rilevare qualcosa (magari l’idroelettrico di Terni, il pezzo più pregiato). Si tratta in ogni caso di una normale dinamica di riorganizzazione del mercato, che anche qualora si realizzasse non ne rivoluzionerebbe la struttura.

Peraltro, il piano di uscita di E.ON dall’Italia si baserebbe su uno spezzettamento delle attività, cedute a pacchetti a diversi acquirenti, evitando così un processo di concentrazione in mano a un operatore già presente sul mercato. Particolamenre interessante sarebbe poi l’ipotesi alternativa di un ingresso di Gazprom sul mercato italiano, con l’acquisto in blocco di tutte le attività di E.ON.

Probabilmente non se ne farà nulla, visti i chiari di luna (anche per le banche), ma resta un capitolo interessante da seguire, anche perché sarebbe un segnale della scarsa fiducia degli operatori non tanto nel mercato italiano, quanto nelle prospettive di effettiva integrazione del mercato a livello europeo.

Nota: nel coprire la notizia, Repubblica ci regala un finale di pezzo da brivido, a cui ho dedicato un rapido post.

Spezzatino di E.ON e giornalismo creativo

Repubblica - E.On Italia in vendita come “spezzatino” per gli asset in corsa Eni, Edison e GazpromCome riportato, E.ON starebbe valutando l’uscita dal mercato italiano e Repubblica ha coperto puntualmente la notizia in un articolo dal titolo E.On Italia in vendita come “spezzatino” per gli asset in corsa Eni, Edison e Gazprom.

Il pezzo sembra filare liscio in quasi in fondo, se si chiude un occhio sul fatto che la quota di mercato di Gazprom sul mercato europeo è del 25% e non del 35%. Il dramma è però nell’ultimo capoverso, dedicato al TAP: in poche righe si riesce a sbagliare il nome del paese produttore (l'”Arzebajan”!) e la composizione azionaria del consorzio (cambiata cinque mesi fa…), per poi chiudere con un curioso ragionamento:

Opera strategica non tanto per l’Italia, ma per le forniture nel resto d’Europa, visto che l’infrastruttura può essere raddoppiata fino a “portare” oltre 20 miliardi di metri cubi all’anno.

In che modo 20 Gmc per un mercato da 500 siano più strategici di 10 per un mercato da 80 proprio mi sfugge.

Potrei aggiungere che forse gli amici giornalisti dovrebbero leggere un po’ di più, ma mi asterrò dal farlo.

Il mercato del bilanciamento

Così paghiamo le rinnovabili anche quando non servonoSegnalo un interessantissimo contributo di Michele Governatori dal titolo Così paghiamo le rinnovabili anche quando non servono. Si tratta di un pezzo un po’ tecnico, ma molto utile per capire come funzionano i mercati elettrici e quali siano le conseguenze della scelta di integrare sempre più rinnovabili.

Più in generale, il contributo si presta a una riflessione più ampia: la scelta compiuta in questi decenni di affidarsi alla regolazione anziché all’intervento pubblico diretto richiede che i meccanismi di regolazione siano ben compresi dal decisore politico ex ante, in modo da evitare continui interventi e distorsioni (come nel caso del mercato del bilanciamento del gas).